L’Egitto sfida Torino "Ridateci il Papiro"

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    Per Zahi Hawass, segretario generale del Consiglio supremo delle
    Antichità, il prezioso rotolo deve tornare al Cairo

    ELENA MARCO

    Il Papiro di Torino deve tornare al Cairo. Lo stesso deve accadere
    per la stele di Rosetta, di cui fa vanto il British Museum di Londra, e
    per tanti altri reperti «rubati» all’Egitto, come il busto di Nefertiti
    (a Berlino) e lo zodiaco di Dendera (al Louvre). Storie diverse per le
    quali Zahi Hawass, in Egitto il segretario generale del Consiglio
    supremo delle Antichità, e quindi un’autorità internazionale, propone ora,
    lo stesso identico finale: il ritorno immediato e incondizionato di
    questi tesori a casa, in Egitto. Ma mentre per gli altri la richiesta era
    nota, per il «Canone reale» custodito a Torino si tratta di una novità.
    Hawass non aveva infatti mai espresso finora il desiderio che il papiro
    che elenca le varie dinastie e che ha contribuito a renderci più chiara
    la storia dell’Egitto, tornasse a casa. «Lotterò per avere il Papiro di
    Torino, il famoso canone reale che risale probabilmente al regno di
    Ramses II», avverte in un’intervista al mensile scientifico
    «Newton», spiegando come questo documento si trovi ai primi posti
    dell'elenco di richieste di restituzione che sta, una dopo l'altra, con
    metodica scienza, inviando alle singole nazioni.

    Il papiro, scoperto da Bernardino Drovetti, è uno dei documenti più
    preziosi trovati finora lungo le rive del Nilo. Il testo è composto su
    diverse colonne e la scrittura, ieratico, una semplificazione dei più
    complessi geroglifici, elenca le varie dinastie e rappresenta un
    complemento dell’unico altro elenco (dal quale differisce in alcune date) dello
    storico Manetone. Il papiro, che si trova in una piccola saletta alla
    sinistra dell’ingresso al museo, è internazionalmente conosciuto proprio
    con il nome di «Papiro di Torino».

    Perché proprio ora deve tornare in Egitto ciò che se n'è andato, in
    vario modo e per diversi motivi, quasi un secolo fa? Si tratta forse di un
    «effetto laterale» di quanto sta accadendo tra il governo italiano e il
    Getty? O è l'ennesimo capriccio del potente egittologo, per molti
    «l'ultimo dei faraoni»? La risposta sta, forse, nell'ultimo progetto di Zahi
    Hawass: realizzare entro qualche anno, cinque al massimo, il nuovo
    grande Museo dell'antico Egitto proprio al Cairo, dove già ne esiste uno,
    non uno qualsiasi ma il più grande del mondo.

    «Sarà il Museo perfetto», così lo definisce Hawass. Con tanto di
    teatro, cinema, negozi, ristoranti e tutto ciò che consente di visitare un
    Museo con la famiglia ma restarci non un paio d'ore, ma tutto il giorno.
    Il piano prevede la realizzazione di altri 13 musei sparsi un po'
    dappertutto: uno copto, un altro riservato al culto dei coccodrilli, un
    altro ancora che si inaugurerà a maggio interamente dedicato a Cheope.

    Il più recente intervento di Hawass nella richiesta ai vari paesi di
    reperti in qualche modo rubati, ha riguardato i capelli del faraone
    Ramses II, che ha causato una imbarazzante crisi diplomatica tra Egitto e
    Francia. Agli inizi di dicembre su Internet sono state messe in vendita
    «trecce di capelli provenienti dalla mummia di Ramses II». Prezzo: 2000
    euro. Venditore: Jean Michel Diebolt, figlio di uno degli scienziati
    del Commissariato dell'Energia atomica di Grenoble che nel 1977 aveva
    esaminato proprio i capelli del faraone concludendo che, incredibilmente,
    erano rossi. La mummia era stata trasferita a Parigi per un «consulto»
    perché si stava deteriorando per colpa di alcuni funghi e alcuni
    capelli erano stati inviati al laboratorio di Grenoble per essere esaminati.
    Il padre di Diebolt ne aveva portato a casa qualche esemplare, che il
    figlio, ingenuamente, ha deciso di mettere in vendita. Ma non aveva
    tenuto conto dell’ira di Hawass, che ne ha preteso la restituzione.


    http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezion...15887girata.asp

     
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    "Il Papiro non tornerà in Egitto"

    30/12/2006 (8:40) - TENSIONI TRA TORINO E IL CAIRO

    La direttrice del Museo Egizio: la richiesta è assurda, il reperto non fu rubato
    VITTORIO SABADIN
    Non solo il busto di Nefertiti (a Berlino), lo Zodiaco di Dendera (a Parigi), la Stele di Rosetta (a Londra), il busto di Akhnaton (a Boston) e la statua di Hemiunu (a Hildeshiem, Germania): il potente sovrintendente delle antichità egizie Zahi Hawass rivuole indietro qualcosa anche da Torino, il «Canone Reale» che si trova nel Museo Egizio. Si tratta di piccoli frammenti di papiro, tanto insignificanti sul piano estetico quanto preziosi su quello storico: contengono infatti uno dei pochi elenchi esistenti delle dinastie che hanno regnato nel corso dei millenni in Egitto e ci hanno aiutato nel comprendere meglio la storia di quella straordinaria civiltà.

    «Non abbiamo ricevuto alcuna lettera ufficiale da Hawass - dice la direttrice del museo, Eleni Vassilika - e tutto mi fa pensare che quello che ha espresso è un desiderio, ma non un’intenzione. Sono comunque sorpresa, perché nell’elenco di reperti che l’Egitto rivuole indietro da vari musei e che Hawass ha consegnato all’Unesco, il Papiro di Torino non era menzionato. Non posso davvero pensare che abbia deciso di aggiungere, a solo pochi mesi di distanza, un’altra richiesta».

    Clima di terrore
    Hawass potrebbe però davvero deciderlo. L’uomo che porta sempre in testa il cappello di Indiana Jones, del quale tiene anche la frusta appesa in ufficio, ha cambiato tutte le regole degli scavi in Egitto e può, se lo vuole, vietare di affondare un badile nella sabbia a chiunque non rispetti i suoi desideri. Da tempo, nessuno può più annunciare al mondo di avere fatto una scoperta senza prima avvisarlo in modo che, nella foto, ci sia anche lui. La sua inflessibile gestione ha riportato ordine nell’egittologia, ma anche creato tra gli archeologi un clima molto vicino al terrore.

    «La decisione finale - precisa Eleni Vassilika - spetta al ministero dei Beni Culturali, e in teoria è anche possibile che per mantenere buoni rapporti con l’Egitto il governo acconsenta. Ma non ci sono le basi giuridiche per una simile pretesa. Le prime leggi che hanno regolamentato in Egitto l’esportazione di reperti sono posteriori al ritrovamento fatto da Bernardino Drovetti. Il papiro è stato trovato e non scavato. Quando si scava valgono norme diverse, più restrittive. E in ogni caso Drovetti era molto amico del pascià Mohammed Ali, che gli aveva regalato numerosi oggetti».

    Ma perché proprio il Papiro reale e non altri reperti di maggior valore estetico, come la statua di Ramesse II o gli oggetti della Tomba di Kha? «Non lo so - afferma la direttrice dell’Egizio -. Ma molte delle cose che rivuole indietro sono icone che identificano un museo o una città con l’egittologia. Questo vale per Nefertiti a Berlino, per lo Zodiaco del Louvre, per la Stele di Rosetta al British e per il “Codice reale” che è noto appunto con il nome di “Papiro di Torino”. Forse vuole semplicemente riportare al Cairo gli oggetti che hanno contribuito a rendere famoso nel mondo il museo che li ospita».

    All’Egizio tutti ritengono che la cosa non avrà un seguito e si augurano che, se lo avrà, il ministero negherà la restituzione. «Sono favorevole a ridare indietro - dice Eleni Vassilika - oggetti chiaramente rubati o esportati illegalmente, ma gli altri reperti devono restare nel museo nel quale si trovano. Queste opere sono un patrimonio dell’umanità, custodito da seri professionisti. E’ necessaria la stabilità almeno nei musei, perché i confini dei paesi e i governi cambiano. Qual era e qual è il confine della Macedonia? E i reperti della civiltà greca che si trovano nella Cipro turca sono adesso turchi?».

    Non resta che attendere la prossima mossa di Hawass. Per il momento, la spiegazione più semplice alla sua curiosa richiesta va probabilmente fatta risalire alla esposizione a Torino (a palazzo Bricherasio) di un altro papiro di epoca tolemaica, quello di Artemidoro, che scatenò proteste e richieste di spiegazioni da parte dell’onnivoro sovrintendente egiziano. Non avendo ottenuto soddisfazione, Hawass ha forse deciso di vendicarsi con un altro museo della città.

    http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezion...15933girata.asp
     
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