Egitto

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    La stele di Rosetta

    di Gaetano Bonelli

    Palermo 16 Luglio 2007 ore 15:53

    Il 2 luglio 1798 l'esercito francese sbarcò in Egitto, al comando di
    Napoleone Bonaparte. L’Egitto era alleato dell’Inghilterra e
    l’imperatore francese tentava con questa spedizione di colpire duramente la sua
    mortale nemica.
    Al seguito dell’imperatore viaggiavano scienziati con l’incarico di
    scoprire e studiare i resti delle antiche civiltà egiziane.
    Un giorno d’agosto del 1799, Pierre Francois Xavier Bouchard, un
    ufficiale francese, stava eseguendo degli scavi per la costruzione del forte
    Julien in una zona vicino la città di Rosetta. Durante gli scavi viene
    portata alla luce una tavoletta con delle incisioni misteriose.
    Incuriosito ordina di trasportare la tavoletta in un luogo in cui degli
    esperti venuti al seguito di Napoleone potessero studiarla con calma. A prima
    vista si nota come nella parte bassa della pietra vi sono delle
    incisioni greche, nella parte centrale in carattere demotico, lingua corsiva
    degli egizi già parzialmente nota, mentre in alto vi sono dei
    geroglifici.Gli ellenisti che conoscono bene il primo testo capiscono
    immediatamente che questo è la traduzione degli altri due. Non era altro che un
    decreto emesso da un faraone, Tolomeo V Apifane che aveva governato nel
    196 avanti Cristo. Questa scoperta avrà ripercussioni incredibili sul
    futuro dell’archeologia. Infatti prima di tale scoperta il
    problema principale degli archeologici di fronte a scoperte egiziane,
    era proprio il non comprendere i geroglifici. Non potevano ne datare ne
    attribuire ai vari faraoni la paternità di templi e tombe. Con la
    stele di Rosetta tutto ciò risulterà possibile.
    Purtroppo però per i francesi la scoperta fu loro ma la tavoletta fu
    portata a Londra in Inghilterra. Napoleone abbandonò le sue truppe ad una
    sconfitta certa e anche se il generale francese Menou caricò la stele
    su una delle navi francesi il plenipotenziario Hamilton la scoprì e la
    caricò su una nave diretta a Londra.
    Menou di questa stele fece vari calchi e uno di questi arrivò nelle
    mani di Champoleon che decise di mostrarla ad un suo cugino quindicenne :
    Champollion. La pietra in basalto nero di Rosetta, grande quanto la
    ruota di un carro, venne alla luce il 19 luglio 1799. Mostra tre sezioni
    di scrittura: nella parte superiore ci sono 14 righe in geroglifico: 22
    in demotico nella parte centrale e 54 righe in grafia maiuscola greca
    nella parte più bassa. Confrontando una copia dei tre testi, un
    diplomatico svedese esperto di lingue orientali, Akerbald, dimostrò che i nomi
    dei re, nela parte greca, comparivano nella stessa posizione nel testo
    demotico e avanzò con una certa sicurezza l'ipotesi che le tre sezioni
    fossero la traduzione di un unico testo: un protocolla del collegio
    sacerdotale di Menfi, datata 27 marzo del 196 a.C., che esaltava Tolomeo V
    Epifane per la sovvenzione accordata a un tempio. Fu una benedizione
    che in epoca tolemaica, quando le funzioni di governo erano tutte
    affidate a greci e greca era la lingua ufficiale, gli atti pubblici
    avessero pubblicazione bilingue, in egizio e in greco. La Stele di
    Rosetta sembra una facile porta d’accesso alla lingua egiziana, dal momento
    che una delle tre iscrizioni è nella lingua greca ben conosciuta. Non
    tutto però risultò essere così facile, infatti i geroglifici si
    presentarono con troppi segni per essere una scrittura alfabetica e troppo pochi
    invece per esprimere una scrittura ideografica.
    In questo clima di incertezza e di mancati progressi nella
    decodificazione della Stele si inserì il giovane Champollion. Come molti giovani
    dell’epoca Champollion non studiò a scuola ma venne seguito da un
    precettore che lo avvicinò a molte materie linguistiche. Uno dei suoi sogni fu
    proprio quello di decifrare la lingua egiziana e dare un ordine alla
    storia egizia.
    Il suo lavoro però, come del resto quello dello scienziato inglese
    Thomas Young e dello svedese Akerblad, andava molto a rilento. Uno dei
    grossi problemi che dovette incontrare fu quello politico. Sostenitore di
    Bonaparte quando quest’ultimo venne spedito sull’isola d’Elba, cadde in
    disgrazia.
    Trasferitosi a Parigi, non mollò, e con grande interesse seguì gli
    sviluppi dei suoi concorrenti, il più temuto fu proprio l’inglese Young che
    dalla sua ebbe una grande preparazione. Dopo vent’anni nessuno dei
    tre, tra cui anche lo svedese Akerblad, fu in grado di risolvere l’enigma
    della Stele di Rosetta. Il punto critico che accomunò tutti fu il
    capire se la scrittura egizia era fonetica o ideografica, esprimeva un suono
    o un’idea ?
    Il clima tra gli scienziati era incandescente, per capire il livello di
    tensione basta leggere le poche righe di questa lettera:
    Io penso, signore, che voi siate più avanti e che voi leggiate una gran
    parte, almeno, del testo egizio. Se ho un consiglio da darvi, è quello
    di non comunicare troppo le vostre scoperte a Monsieur Champollion.
    Potrebbe accadere che ne pretendesse in seguito la priorità. Egli cerca
    in più punti della sua opera di far credere che abbia scoperto molte
    parole dell’iscrizione di Rosetta. Temo che si tratti di ciarlataneria e
    ho buone ragioni di pensarlo.
    Questa lettera era indirizzata all’inglese Thomas Young.
    Chi la scrisse ? Si potrebbe pensare ad un acerrimo nemico ed invece
    con grande stupore fu scritta dallo stesso maestro di Champollion:
    Sylvestre de Sacy.
    Finalmente arriviamo al fatidico 14 Settembre del 1822. Champollion
    ebbe un’intuizione geniale: e se i geroglifici fossero un insieme di segni
    fonetici e ideografici ? Corse dal fratello con un fascio di carte
    gridando “Je tiens l’affaire” (ho trovato la soluzione).
    Confrontando una copia dei tre testi, un diplomatico svedese esperto di
    lingue orientali, Akerbald, dimostrò che i nomi dei re, nela parte
    greca, comparivano nella stessa posizione nel testo demotico e avanzò con
    una certa sicurezza l'ipotesi che le tre sezioni fossero la traduzione
    di un unico testo: un protocolla del collegio sacerdotale di Menfi,
    datata 27 marzo del 196 a.C., che esaltava Tolomeo V Epifane per la
    sovvenzione accordata a un tempio in occasione del primo anniversario della
    sua incoronazione. Il testo riporta tutti i benefici resi al paese dal
    re, le tasse da egli abrogate, e la conseguente decisione del clero di
    erigere in tutti i templi del paese una statua in suo onore, e statue
    d'oro da collocare accanto a quelle degli dei, e di indire festeggiamenti
    in onore del re. Stabilisce inoltre che il decreto sia pubblicato
    nella scrittura delle parole degli déi (geroglifici), nella scrittura del
    popolo (demotico) e in greco. La parte greca inizia così:
    Basileuontos tou neou kai paralabontos tén basileian para tou
    patros... (Il nuovo re, avendo ricevuto la monarchia da suo padre...)
    Champollion intuì che il cartiglio (parte di testo circondata ed
    evidenziata da una linea) nel testo geroglifico conteneva il nome del
    faraone, ed era riportato allo stesso modo nel testo greco sottostante. Dopo
    molti anni di faticoso e duro lavoro, mediante accurati confronti con
    altri testi, lo studioso fu in grado, nel 1822, di decifrare i
    geroglifici basandosi su un’altra lingua utilizzata nel tardo egizio: il copto.
    Ad ottenere il merito fu una successiva scoperta avvenuta nel 1815,
    quando furono rinvenuti nell’isola di Philae, due piccoli obelischi:
    erano una seconda stele in quanto vi era inciso il doppio testo geroglifico
    e greco; inoltre vi compariva il nome di un altro faraone Tolomeo
    (Evergete II) con la consorte Cleopatra III . Lo scienziato, leggendo il
    testo greco, aveva notato che per otto volte ricorreva un anello ovale
    chiamato cartiglio, contenente numerosi geroglifici e comprendente due
    segni che non vengono letti: uno determinativo che indica la
    categoria maschile o femminile cui il nome appartiene e un altro
    indicante la desinenza dello stesso.
    Champollion mise in ordine le lettere del nome riportato, osservando
    la posizione degli ideogrammi, sotto i corrispondenti segni del
    cartiglio e potè comprendere ad ogni segno quale lettura del nostro alfabeto
    corrispondessero. Lo stesso fece per Cleopatra, l’altro nome
    raffigurato. Percepì dunque che per ciascun geroglifico non corrispondeva
    necessariamente una parola; inoltre essi non erano pittogrammi o ideogrammi in
    quanto non rappresentavano esclusivamente oggetti o concetti ma
    all’interno di un identico testo, essi, potevano avere sia valore simbolico
    sia fonetico.
    Proseguendo Champollion, trascrisse un alfabeto che pubblicò in
    seguito: Le Lettre à M. Dacier. Le basi per la nascita di una moderna scienza
    dell’egittologia sono poste.

    Nel 1824 Champollion scrisse un libro con le sue scoperte. Nel 1825
    visita l’Italia e copia i testi dei geroglifici contenuti a Torino,
    subito si accorse però che il materiale a sua disposizione non era
    sufficiente per migliorare le sue conoscenze. Insieme a Ippolito Rosellini,
    erudito toscano appassionato delle scoperte di Champollion, partì per
    l’Egitto, i due viaggiarono prendendo appunti e disegnando le pitture
    murali dell’Antico Egitto. Al suo rientro vennero infine riconosciute le sue
    capacità. Eletto membro dell’Academie venne creata apposta per lui una
    cattedra di egittologia al College de France.
    Di li a poco il troppo lavoro minò irreparabilmente il suo fisico; morì
    giovanissimo a Parigi a soli 42 anni.


    http://www.comincialitalia.net/interna.asp...d_articolo=3663



    Il bowling ai tempi del faraone scoperta la pista da gioco egiziana

    Il ritrovamento nel corso della missione dei ricercatori
    dell'Università di Pisa
    nel sito archeologico di Narmouthis. "Nuove informazioni sugli usi e
    costumi di quel popolo"

    di LUIGI BIGNAMI
    Sono ancora gli egizi a far parlare di sé con la loro capacità unica di
    aver precorso i tempi. E questo anche quando volevano divertirsi un
    po'. La scoperta è frutto della missione archeologica dell'Università di
    Pisa realizzata sul sito greco-romano di Narmouthis (a 100 km a
    sud-ovest del Cairo, nell'oasi del Fayum). Qui i ricercatori italiani hanno
    riportato alla luce quella che può essere considerata la più antica pista
    da "bowling" ossia il gioco con le grosse bocce che servono per
    abbattere dei birilli. Il divertimento si teneva all'aperto, su di un
    pavimento appositamente realizzato con mattoni di limo, il noto fango
    fertilizzante del Nilo

    Si è giunti alla conclusione che su di esso si giocava a bowling dove
    aver scoperto una scanalatura non molto larga che termina in un buco di
    12 cm di diametro con una piastra in terracotta sistemata sotto di
    esso. A ciò si è aggiunto il ritorvamento di due piccole bocce di pietra
    levigata dello stesso diametro della scanalatura che venivano lanciate,
    proprio come si fa con la moderna boccia da bowling nello stretto
    corridoio. "E' una costruzione unica; verosimilmente è il primo tentativo di
    praticare un gioco simile al moderno bowling", afferma Edda Bresciani,
    egittologa a capo della missione. Il tutto risale ad un'età compresa
    tra il III e II secolo avanti Cristo



    Perché è interessante questa scoperta? Aristide Malnati è archeologo
    all'Università Cattolica di Milano: "Il ritrovamento così inusuale è
    destinato ad allargare la nostra conoscenza sulle attività ludiche in
    Egitto. Sullo stesso scavo o nel corso di operazioni archeologiche su siti
    vicini sono stati in più occasioni rinvenuti giochi per bambini o per
    adulti: bambole (in legno o in pezza), piccoli palloni anch'essi di
    pezza, trottole o giochi con bastoncini. Erano tutti oggetti che allietavano
    la vita già di per sé vivace dei giovani egizi in quelle zone; e poi i
    dadi, gli strumenti per giocare alla morra o forme di intrattenimento
    ludico più complesse (come un antico backgamon, con regole a noi
    ignote). E' un aspetto questo, ancora troppo poco noto del mondo egizio che
    ci aiuta ad immaginare però, come si intrattenessero tra loro gli adulti
    degli stessi antichi villaggi"

    Nella stessa area archeologica è stata scavata recentemente anche una
    ulteriore area di svago e riposo: un sistema idraulico ad oggi senza
    paralleli, degno dell'ingegneria idraulica dei romani: si tratta di una
    cisterna ricavata nella roccia fino all'attacco della volta e fornita
    d'acqua da un condotto a sua volta collegato a un canale esterno al
    villaggio. Ancora Malnati: "Erano le terme di Narmouthis dove giovani
    fanciulle o matrone più attempate si recavano per migliorare l'aspetto fisico;
    e lì vicino gli uomini si cimentavano nel bowling sul campo appena
    trovato: era probabilmente la zona ricreativa di questo antico villaggio"

    I recenti scavi hanno infine rivelato particolari informazioni sulla
    vita delle guarnigioni romane, che di volta in volta si sono succedute a
    presidiare l'abitato e la zona. L'esplorazione degli alloggiamenti
    militari ha continuato a fornire con abbondanza i barilotti di forma
    ellissoidale destinati a contenere la razione quotidiana di vino. Un grande
    ambiente intonacato e decorato a motivi geometrici era forse il
    quartiere del capo del "castrum" (l'alloggiamento militare). Il villaggio
    cambiò fisionomia con l'avvento del cristianesimo e con il tramonto
    dell'Impero romano; tanto che nell'epoca del fiorire delle chiese prima e delle
    moschee poi, avvenne inesorabile lo smantellamento o la perdita di
    valore di molte strutture precedenti, come la cisterna o come il campo da
    bowling. In seguito, con l'avanzata del deserto, Narmouthis fu
    abbandonata

    (16 luglio 2007)


    http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/s...ia-faraone.html

     
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