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Il mito di Adone e la tradizione di "Su Nenniri"
Tratto da:
http://www.contusu.it/index.php?option=com...id=365&Itemid=1
Scritto da Junfan
martedì 03 aprile 2007
C’è un vecchio mito, che si può trovare in tutti i paesi affacciati
sul Mar Mediterraneo. E’ una storia che narra dell’amore di una dea per
un bellissimo giovane dio, e del dolore che questo amore scatena quando
il dio muore. I protagonisti hanno tanti nomi quanti sono i paesi che
conoscono questa storia: Afrodite e Adone in Grecia, Iside e Osiride in
Egitto, Tammuz e Astarte a Babilonia, e molti altri ancora. Il mito di
Adone ha inizio da una relazione incestuosa tra Mirra e suo padre Teia.
Spinta da Afrodite, dea dell’amore, Mirra seduce suo padre con
l’inganno, e nel buio della sua stanza consuma il loro incesto. Ma la luce di
una lampada ad olio rivela l’identità di Mirra, e Teia, su tutte le
furie, insegue la figlia con un coltello per ucciderla. Come accade in
molti altri miti simili, nel corso della fuga interviene la divinità; in
questo caso la stessa Afrodite trasforma Mirra nell’albero che porta il
suo nome. Da una fenditura della corteccia nasce Adone, dio
della vegetazione, così bello da causare gli interessi sia di Afrodite
che di Persefone. Per proteggerlo infatti Afrodite lo chiuse in uno
scrigno che affidò alla dea; ma Persefone, incantata dalla sua bellezza,
non lo volle dare indietro. Con l’intervento di Zeus le due dee, l’una
della fertilità primaverile, e l’altra del mondo sotterraneo, si mettono
d’accordo in questo modo: Adone avrebbe passato quattro mesi dell’anno
con Afrodite, quattro con Persefone, e altri quattro con chi lui
preferiva. Tuttavia la scelta del giovane dio ricadeva sempre su Afrodite. Un
anno, sul finire dell’estate, il giovane Adone uscito a caccia viene
ucciso da un animale selvatico (un cinghiale, o un orso), secondo alcune
versioni mandato da divinità gelose della sua bellezza. Afrodite piange
sul corpo del suo amato Adone, ma la vita lo ha già abbandonato: dalle
gocce del suo sangue nacque l’anemone. Il significato del mito è
limpido. Adone è il dio della vegetazione, della natura rigogliosa
che sboccia in primavera e muore a fine estate: come il seme, dovrà
trascorrere lunghi mesi bui e freddi sottoterra, per poi rinascere al
primo sole.
Il culto di Adone consisteva, in Grecia come in Asia Minore, nella
rappresentazione rituale del mito di cui è protagonista. I sacerdoti
mettevano in scena il suo matrimonio con la Dea Madre, che veniva
accompagnato dalle celebrazioni della cittadinanza; in particolare erano le donne
che erano molto legate al suo culto, ed erano loro le “interpreti” più
importanti del rituale. Veniva quindi rappresentata la morte del dio, a
cui seguivano i lamenti e i pianti delle donne:
un particolare tipo di rituale consisteva nella realizzazione dei
“giardini di Adone”, vasi pieni di germogli di cereali e ortaggi che
crescevano e appassivano molto velocemente, simboleggiando la vita del dio. Le
donne piangevano la morte di Adone tenendo in mano i vasi di piante
appassite; per permettere la sua resurrezione i vasi venivano quindi
rovesciati nei fiumi e nelle sorgenti.
Fare “su Nenniri” è una tradizione molto diffusa un po’ in tutta la
Sardegna, e in parole povere si può descrivere nella realizzazione di un
vasetto di germogli, proprio come i giardini di Adone.
Tradizionalmente, si utilizza il grano, misto a orzo e semi di lino;
tuttavia al giorno d’oggi su Nenniri viene preparato con qualunque seme
si abbia sottomano. Circa tre settimane prima della ricorrenza per cui
lo si prepara, i semi vengono posti in un piccolo recipiente pieno di
terra, che verrà innaffiato molto di frequente; questo viene poi
conservato in un luogo buio, in modo tale che i germogli, privati della luce,
crescano di un verde-giallo chiaro e molto brillante. Quando è pronto,
su Nenniri viene utilizzato per vari scopi; a Cagliari assume
un’importanza particolare per la Pasqua, quando, simbolo di una primavera ormai
nel pieno delle forze, viene regalato a parenti e amici come buon
augurio di serenità e fecondità (ormai perlopiù in senso finanziario, ma un
tempo il significato era … un tantino più letterale). Su Nenniri
ricevuto in dono si pone come centrotavola per il pranzo di Pasqua. Altrove,
il grano veniva seminato a fine maggio per essere esposto per
San Giovanni, e quindi raccolto per utilizzare i poteri magici che ha
acquisito. Come Adone, nasce in primavera e muore al solstizio
d’estate.
Ma in relazione al mito di Adone ha una importanza particolare il
rituale che fino a poco tempo fa veniva eseguito a Samugheo, piccolo paese
della provincia di Oristano. Il mito del dio viene rappresentato dalle
giovani del paese, che celebrano prima il suo matrimonio con di una di
loro, eletta prioressa, quindi piangono la sua morte, e infine
festeggiano la sua resurrezione. Le ragazze di ogni rione del paese sceglievano
una di loro per preparare su Nenniri in modo
tale che questo potesse essere pronto per la festa dell’Assunta. La
mattina del 15 su Nenniri
viene adornato con stoffe preziose e carta colorata, e la sua
realizzatrice diventa per così dire “capo cerimoniere”. Vestita del costume
tradizionale da sposa, la fanciulla portava in giro per il paese su
Nenniri, seguita da un corteo di compaesani, anch’essi in costume. Giunto il
corteo presso un precipizio, su Nenniri veniva spogliato dei suoi
ornamenti e rovesciato nell’abisso. A questo punto la “sposa” inizia i
lamenti funebri, e con le sue amiche piange e intona “is frores de mortu”, i
versi dedicati ai morti.
“Nennere meu ollu,
nontesta crocas solu,
ca non ch’est s’amorada,
nennere iscartinadu!”
“Coro, nennere meu,
nennere meu ollu!”
“Andada seo a s’ortu,
e a biere a casteddu,
ca est nennere mortu,
pranghide, fedigheddu!
Intrada seu a ortu,
a tirare arenada,
nennere meu ollu,
mancau est a s’amorada!”
Traduzioni
“Nenniri mio perito, stanotte dormi solo, non c’è la tua sposa, nenniri
strappato dal cesto!”
“Nenniri cuore mio, nenniri mio perito!”
“Sono andata nell’orto, e a bere al castello, perché nenniri è morto,
piangete, fanciulle e fanciulli! Sono andata nell’orto, a cogliere
melagrane, nenniri mio perito, sei mancato alla tua sposa!”
La processione si reca quindi in chiesa ad ascoltare la messa; le
ragazze che hanno celebrato il funerale di Nenniri-Adone tornano a casa a
festeggiare, e infine nel pomeriggio parte la processione dell’Assunta.
Ovviamente questa è una cristianizzazione tardiva del culto della
fertilità; il rituale è però rimasto pressoché invariato fino agli anni 50,
anni in cui la tradizione è decaduta. Resta però innegabile la
sopravvivenza di uno dei più antichi dei pagani e dei suoi rituali fino ai tempi
moderni, segno che il sentire di un popolo difficilmente si cambia, e
che il richiamo della terra è spesso più forte di qualunque cosa possa
venire insegnata.
Frores de mortu e loro traduzioni tratti da Dolores Turchi, “Samugheo”.
Tratto dal sito http://www.stregoneria.cc
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Su Pan'ispeli, l'antico pane di ghiande
Tratto da:
http://www.contusu.it/index.php?option=com...=1&limitstart=0
Scritto da Junfan
martedì 03 aprile 2007
Riproponiamo a voi lettori un vecchio articolo sul pane di ghiande,
Su Pan'ispeli.
Prendiamo spunto dagli amici del sito Antichi Cammini, che hanno
pubblicato una serie di fotografie sulla preparazione di questo antico
alimento.. buona lettura e buona visione...
Su Pan'ispeli viene nominato da Plinio il Vecchio nel I secolo D.C,
descrivendolo come un pane di ghiande impastato con argilla del quale si
nutrivano i Sardi.
Il pane di ghiande era utilizzato per buona parte dell'anno e veniva
preparato scegliendo la quantità necessaria di ghiande ben mature, le
quali venivano sbucciate e si ponevano a cuocere in una specie di
lisciva, ottenuta filtrando l'acqua di cottura attraverso uno strato di
argilla speciale, ricca di ferro, e di cenere di alcune erbe aromatiche. La
cenere serviva a togliere l'aspro e l'amaro del tannino delle ghiande,
e l'argilla dava il glutine necessario a legare l'impasto.
Entrambe questi ingredienti contribuivano a render più gustoso e
digeribile il pan'ispeli.
Quando le ghiande, per effetto della cottura, raggiungevano la
consistenza della polenta, assumendo quasi il colore del cioccolato, si
stendevano su tavole a rassodare, per poi venir tagliate a fette o a pani.
Seccato al sole o al forno, il pan'ispeli veniva quindi consumato come un
pane qualsiasi, col solito companatico nostrano, formaggio, lardo ecc.
Paolo Mantegazza scrisse: "Il pane di ghiande deve rimandarsi ad usi
e popoli antichissimi, forse ai primi abitatori della Sardegna".
Vittorio Angius affermò che "Le donne di Baunei ne portano in altri
paesi e lo vendono più caro che se fosse di farina scelta. Se ne manda in
dono e si pregia come una cosa singolare...".
Osvaldo Baldacci scrisse: "Fin dal 1938, durante imiei viaggi
nell'Ogliastra potei constatare che il pane di ghiande non rientra più nel
regime alimentare quotidiano, ma che persiste tuttora come singolarità
tradizionale nella mensa di persone povere e facoltose durante le festività
paesane".
Lello Fadda ha riportato, nel suo bellissimo articolo "Geofagia in
Sardegna", la descrizione dettagliata di un vero e proprio cerimoniale a
sfondo religioso effettuato nel Marzo del 1957 a Baunei.
Secondo lo studio effettuato da Angelino Usai riportato nel suo libro
"Baunei", il pane di ghiande sopravvive in Ogliastra ma l'usanza era
tradizione della Barbagia e di altre zone della Sardegna nel quale aveva
nomi differenti: panispeli, lande cottu (Baunei e Triei), lande kin
abba e ludu orrubiu (Talana e Urzulei).
Tale abitudine alimentare è stata messa in relazione con antiche
forme di Geofagia.
La geofagia ha radici antichissime. Platone consigliava alle donne
incinta di ingerire argilla come ricostituente, i romani invece, la
impastavano con sangue di capra e ne facevano dei biscotti medicinali.
I tedeschi e gli scandinavi, fino ad un secolo fa, la impiegavano per
la panificazione, proprio come fanno tuttora gli aborigeni australiani.
Nei mercati dell’Africa Centrale viene invece venduta come digestivo e
cura contro la dissenteria.
Ricca di minerali come ferro, magnesio e zinco, l’argilla, in piccole
dosi, purifica l’organismo e lenisce i disturbi intestinali. Non a caso
è uno degli ingredienti principali del Maalox, noto farmaco
anti-acidità.
Fadda nel suo articolo scrive che una indagine della Reale Società
Agraria ed Economica di Cagliari non ha considerato l'uso del pane di
ghiande come geofagia ma ne ha attribuito l'utilizzo alla povertà della
popolazione dell'interno dell'isola. Fadda non pensa che l'uso del
pan'ispeli fosse da ricercare solo nella povertà del popolo ma affianca a
questa antica tradizione un significato magico e rituale molto interessante.
Come per altri rituali legati alla cultura agropastorale sarda, anche
in questo caso certi significati sacrali e simbolici si sono persi,
anche se l'uso è continuato nel tempo e si sono tramandati solo i modi e le
forme. I veri significati, per essere raggiungibili, devono essere
esaminati alla luce della cultura e della religiosità degli antichi Sardi.
Fadda mette in rilievo due punti principali che determinano le
origini arcaiche dell'usanza del pane di ghiande e dimostrano che in origine
era un pasto sacro che esprimeva valori fondamentali.
Innanzitutto la pasta veniva mischiata con argilla rossa, inoltre,
l'argilla veniva prelevata, come in Grecia, generalmente in caverne e
probabilmente veniva raccolta nel periodo della luna crescente, in quanto si
pensava avesse maggiori proprietà curative rispetto al periodo di luna
calante.
Il rosso è legato al principio della vita, specialmente il "rosso
notturno", femminile, cupo e entripeto, colore del fuoco centrale e della
terra, in cui si opera la rigenerazione dell'essere.
La terra rossa può così simboleggiare il sangue della Dea Madre
fondamento culturale delle prime società sarde.
La caverna, poi, è presente in tutti i miti di origine e rinascita: è
archetipo dell'utero della Grande Madre, perciò, tutto ciò che si trova
nella terra è considerato vivente.
La caverna era considerata anche un ricettacolo di energie e questa
forza tellurica doveva impregnare l'argilla che vi si trovava così da
poter comunicare la forza vitale.
L'argilla trasformata in pane e mangiata come una vera divinità
assicurava la salvazione. Mangiare quel "pane di potenza" significava
trasformarlo e nello stesso tempo essere trasformati da una vasta ed unica
energia.
Attraverso il pasto sacro l'uomo si identificava con la vita stessa
della Terra Madre e quindi con l'intima forma della vita.
L'uso di consumare sacralmente il pane come corpo del dio era
certamente praticato nella Sardegna antica; forse in origine lo si impastava
nella forma di un idolo e veniva mangiato in un banchetto liturgico
durante celebrazioni che avevano componenti lunari come la fecondità e la
fertilità.
Certi riti si sono ripetuti nella forma anche se gli antichi
significati non sono più sentiti, rimane solo il ricordo nella memoria collettiva
e nella pratica rituale folcloristica.
Vedi le foto della preparazione del pane di ghiande
http://www.antichicammini.it/pagina.php?voce=sperimentazione
Fonti:
"Geofagia in Sardegna" di Lello Fadda
Un grazie di cuore a Paolo di Ozieri che ci ha scritto in merito al
Pan'ispeli. La tua segnalazione ci ha fatto scoprire qualcosa di più sulle
nostre tradizioni.
http://www.webalice.it/ilquintomoro.