Sardegna

News

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Gratia
     
    .

    User deleted


    La Lupa simbolo di Roma è Sarda!

    Scritto da Junfan

    In un articolo della Nuova Sardegna di Lunedì 5 marzo 2007, viene riportata l’ipotesi, che non è nuova, avanzata in un convegno di archeologi in cui si dice che la famosa Lupa capitolina probabilmente è giunta a Roma dalla Sardegna.
    “La lupa è sarda?”
    Così ieri il domenicale del sole 24 Ore titolava la notizia che la lupa capitolina potrebbe avere un’origine isolana. L’ipotesi, che non è del tutto nuova, è stata avanzata a Roma durante un convegno di archeologi.
    La paternità è dell’estruscologo Giovanni Colonna, secondo il quale i motivi orientaleggianti della celebre scultura sono tipici del mondo punico-sardo e la lupa va collocata nell’ambiente culturale etrusco-laziale del VI-V secolo a.C.
    I dati raccolti da Colonna dicono anche che il rame di cui è fatta la lupa proviene dall’antica miniera di Calabona ad Alghero. Questo è almeno il risultato delle analisi del rapporto isotopico del piombo legato al rame della lupa, eseguite nei laboratori di Oxford e presente al convegno romano dell’archeometallurgo Claudio Giardino. La miniera di Calabona era nota sia ai Fenici che ai Cartaginesi. Secondo Giardino, quindi, non si può escludere che i sardopunici abbiano fornito a Roma il metallo per forgiare la lupa.
    Forse anche l’artista? Questo è più difficile da stabilire. Anche perché, secondo alcuni studiosi, la datazione della scultura sarebbe ben altra. Per Anna Maria Carubba, che ha curato il restauro della lupa, la statua avrebbe origini medievali. La Carubba prova a dimostrare questa sua tesi in un libro che è appena stampato: “La lupa capitolina, un bronzo medievale”.

    http://www.contusu.it/index.php?option=com...id=361&Itemid=1


    S'Accabadora su Il Foglio

    Scritto da Junfan giovedì 29 marzo 2007
    Sul giornale "Il Foglio" di giovedì 15 Marzo, era presente un
    articolo sulla nostra Accabadora. Lo riportiamo in quanto presenta degli
    aspetti relativi a questa inquietante figura a noi sconosciuti.
    Buona lettura.
    L'accabadora
    E' la donna che nella tradizione sarda abbraccia per ultima il
    moribondo (e lo uccide)

    Leggete e abbiate un pò di pazienza, tra qualche riga chiarisco tutto:
    "La donna si accovacciava dietro al capezzale e stringeva la testa del
    morente tra le sue gambe. Lo accarezzava e
    cominciava a cullarlo come fosse un bambino. Gli cantava la stessa
    ninna nanna che lui si sarà sentito cantare
    dalla propria madre"
    Oppure:
    "La porta si apre e il moribondo dal suo letto d'agonia vede entrare la
    femmina accabadora. E' vestita di nero e
    una delle sue gonne è sollevata a coprirle il viso. E' arrivata l'ora.
    Lui da quel momento sa che l'abbraccio che avrà
    da quella donna sarà l'ultimo della sua vita.
    In un altro referto documentario, al posto della accabadora troviamo la
    attittadora, l'allattatrice. Costei porge le
    -titte-, ma non ai pargoli, anche lei -allatta- un morente.
    Di cosa stiamo parlando? Chi è l'accabadora?
    Cosa stanno facendo, le donne che si accovacciano dietro il capezzale
    del morente, lo accarezzano, lo
    abbracciano, l'allattano?.
    Come spuntano queste misteriose figure femminili? Diciamo subito che
    sono figure esistenti o comunque esistite,
    ben note al folklore della Sardegna: alla sua preistoria, cioè, ma una
    preistoria che si insinua fino alla metà del
    secolo scorso. Potrebbero essere, più o meno, nostre nonne. E perché è
    interessante rievocarne il ricordo? In
    un'epoca come la nostra, ansiosa di certezze e di radici in cui trovare
    la forza con cui opporsi alla dilagante,
    eversiva modernità prona ai miti e riti della tecnica devastatrice, è
    ben più che una tentazione affidarsi alla linfa che
    sale su dall'humus delle rassicuranti tradizioni:
    Tornare alle radici!.

    Come nelle tribù degli indiani

    Consentite dunque anche a me di evocare una antica, mitica tradizione
    sarda.
    Il nome accabadora viene probabilmente dallo spagnolo -acabar-,
    terminare; una ascendenza può rinviare al sardo
    -accabaddare-, che significa -incrociare le mani al morto-, o ancora
    -mettere a cavallo-, e quindi -far partire-. Ora,
    sicuramente, avrete capito di cosa stiamo parlando. Sì, l'accabadora
    era la donna che, su commissione della
    famiglia, uccideva il morente, il malato irrecuperabile, forse anche il
    vecchio divenuto un peso per la povera casa
    (un pò come presso certe tribù di indiani del Nordamerica, che usavano
    abbandonare fuori dell'accampamento,
    esponendolo così a morte sicura, il vecchio incapace di provvedere a se
    stesso).
    In sostanza, era colei che pietosamente esercitava la pratica
    dell'eutanasia nella civiltà patriarcale, familiare, di
    Sardegna.
    Le tecniche usate dall'accabadora erano varie, tutte eseguite con molta
    perizia, perché quelle donne erano
    -praticas-, conoscevano perfettamente l'anatomia, non sbagliavano, sia
    soffocando, sia strangolando il destinato,
    sia anche spaccandogli il cranio o l'osso del collo. Per quest'ultimo
    metodo poteva essere usato un giogo di
    buoi, un -giuale- fatto passare lentamente sul corpo disteso fino ad
    arrivare sul collo o sulla testa, dove veniva premuto così da provocare
    la morte immediata. In altre zone dell'isola si usava uno speciale
    mazzuolo (su
    mazzolu). Quello - forse l'unico rimasto- conservato nel museo
    etnografico di Luras, venne rintracciato nel 1981 in casa di una superstite
    -accabadora-.
    Oggi è esposto in un diorama che rappresenta una tipica casa gallurese.
    E' riprodotto in un ciondolo d'argento,
    richiestissimo dalle visitatrici del museo, che lo appendono sul seno
    quale scherzoso ammonimento contro i
    tradimenti dei loro uomini. A Desulo vive ancora un proverbio:
    -Canno lompia est s'ora, benit s'accabadora- quando il tempo è
    compiuto, viene l'accabadora. Parleremo ancora delle tradizioni del tempo
    antico come di
    familiari certezze, di una solida barriera contro le tecnologie del
    nostro mondo dissacrato, laicizzato? Ma suvvia,
    dirà qualcuno, anche la tradizione va selezionata, radice per radice.
    Ahimè, nel momento in cui la selezioni, la
    tradizione non è più tale, con la sua aura, la sua sacralità
    rassicurante.
    Si è anch'essa laicizzata.

    Angiolo Bandinelli

    http://www.contusu.it/index.php?option=com...id=364&Itemid=1
     
    .
539 replies since 11/12/2006, 22:40   23517 views
  Share  
.