Sardegna

News

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Gratia
     
    .

    User deleted


    Gli studiosi fanno rotta sui porti nuragici: aperti nuovi orizzonti

    L'ARCHEOLOGIA NELL'ISOLA
    Gli studiosi fanno rotta sui porti nuragici: aperti nuovi orizzonti
    Pier Giorgio Pinna
    Arrivano conferme: i costruttori di torri erano anche un popolo di
    navigatori.
    Prove, indizi e tante ipotesi
    Alghero Un nuraghe sovrasta la baia riparata dai venti dominanti: acque
    profonde, tranquille, con uno o più approdi sicuri. Vicino alla
    spiaggia capanne di pescatori. Non lontano muri e costruzioni per custodire
    bestiame, cibo, sale, selvaggina. E, ancora, depositi ricchi di
    ossidiana, ferro, argento: tutti prodotti smerciabili al di là del mare. Appena
    oltre, alla fonda o in secca, qualche grossa imbarcazione (pensate,
    fatte le debite proporzioni, alle navicelle di tre millenni fa trovate in
    aree archeologiche della Sardegna). Tutt’attorno, strade di terra
    battuta. Portano all’interno. Verso villaggi accoglienti e difendibili.
    È questa, con inevitabili approssimazioni, la ricostruzione
    presumibile dei porti costruiti dai nuragici tra il 17º e il 9º secolo prima di
    Cristo. Una ricostruzione valida per tanti dei quasi duemila chilometri
    di litorale: dall’attuale Porto Conte sino a Carloforte, da Cala Gonone
    alle rade della Gallura e dell’Ogliastra. Un mondo in larga misura
    inesplorato, quello degli scali realizzati dai costruttori di torri. Ma che
    adesso, grazie a nuove ricerche intraprese da diversi specialisti,
    potrebbe riservare meravigliose sorprese. Il perché è presto detto: indizi
    e prove crescono settimana dopo settimana.
    Intanto, qualche dato per comprendere meglio il fenomeno. Gli oltre
    settemila nuraghi giunti sino a noi erano in origine di più, qualcuno
    sostiene addirittura il doppio. Molti, mai censiti, si trovano ancora
    celati sotto terra. Tantissimi altri sono andati distrutti. In ogni caso,
    parecchie centinaia di costruzioni superstiti appaiono oggi collocate di
    fronte al mare. A picco o su versanti scoscesi. Quasi a dominare
    l’orizzonte. Va inoltre ricordata una novità recentissima: durante un
    convegno scientifico internazionale tenuto a Siviglia il professor Giampiero
    Pianu ha svolto sul tema una relazione particolarmente dettagliata,
    accolta dai suoi colleghi con grande favore. Il docente insegna Metodologia
    della ricerca archeologica nell’ateneo sassarese. «Con l’intervento sui
    porti nuragici ho inteso lanciare il classico sasso nello stagno -
    spiega adesso con convinzione - Ma ora sono pronto a intraprendere una
    mappatura dettagliata lungo i nostri litorali. E a studiare
    l’intera problematica. Anzi, in qualche caso per conto dell’ateneo ho
    già preso contatti in questo senso con la Sovrintendenza».
    Si parla di vasti traffici già in un’epoca che precede l’arrivo dei
    Fenici. Le stesse navicelle nuragiche, votive o meno, sono testimonianza
    di familiarità col mare. Vengono esaminate le potenzialità di miniere e
    saline sarde in chiave commerciale già 3000-3500 anni fa. Fioriscono
    analisi che su questi argomenti legano storia e archeologia. Tra i libri,
    i saggi del comandante della marina mercantile Giacomo Pisu sulla
    flotta Shardana e altri tentativi di ricerca più o meno convincenti.
    Comunque destinati a suscitare interesse. E, soprattutto, a sollevare il velo
    d’ombre che per troppo tempo ha ricoperto l’intera questione.
    Individuati gli obiettivi, le nuove indagini porteranno altra luce. Nel
    frattempo è possibile parlare di una serie di scali dal fascino misterioso in
    punti chiave della costa. Alcuni già studiati. Altri da esaminare a
    fondo. Tra i primi, c’è Cala Ostina, a est di Castelsardo. Spiega in
    proposito il docente Paolo Melis, che ha pubblicato un saggio sul
    caso: «L’insenatura ci offre un esempio d’approdo di sicuro utilizzato
    da genti nuragiche e assurto, probabilmente sullo scorcio dell’Età del
    bronzo, a scalo marittimo di una certa importanza. Le evidenze
    archeologiche mostrano inoltre come il potenziamento, seppur limitato a modeste
    installazioni e alla realizzazione della strada d’accesso, avvenne in
    epoca romana e non prima, in apparenza senza soluzioni di continuità
    rispetto al precedente scalo gestito dagli indigeni». Sulla stessa
    falsariga si può ipotizzare altrove il riuso di strutture d’epoca precedente
    da parte di Euboici, Micenei, Punici, Romani. A Tharros come a Nora. A
    Bithia come sull’odierna costa dorgalese. Il punto dolente è che, mentre
    sono stati rinvenuti i resti d’imbarcazioni costruite fra i 2500 e e i
    1500 anni fa, mai è stato scoperto uno scafo nuragico.
    Eppure è impossibile pensare che le tribù dei costruttori di torri non
    sapessero navigare. Ci sono anzi altre prove del contrario. In diverse
    aree della Sardegna sono state trovate specie animali e vegetali
    assenti prima del Neolitico: i nuovi «coloni» non possono essere arrivati
    certo via terra. È poi un fatto che l’ossidiana, oro nero degli antichi,
    sia stata esportata così massicciamente da far escludere il ricorso a
    soli mercanti stranieri. L’ennesimo esempio di export remotissimo? Il
    rame di Calabona, vicino ad Alghero, forse usato per modellare la Lupa
    capitolina. A Creta, inoltre, sono venute alla luce ceramiche simili a
    quelle del nuraghe Palmavera. Tutti segnali chiari di un intenso traffico
    nelle due direzioni: da e per la Sardegna, direbbe oggi con linguaggio
    tipico qualche amministratore di una compagnia di navigazione.

    (08 febbraio 2007)




    http://espresso.repubblica.it/dettaglio-lo...zonti/1503349/6


    Altro articolo qui:

    http://www.regione.sardegna.it/documenti/1...70208095816.pdf
     
    .
539 replies since 11/12/2006, 22:40   23517 views
  Share  
.