Inps, è ufficiale: i precari saranno senza pensione. Silenzio dei media o scatta la rivolta

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  1. SaCraba
     
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    Inps, è ufficiale: i precari saranno senza pensione. Silenzio dei media o scatta la rivolta

    La notizia è arrivata e conferma la peggiore delle ipotesi. Rimarrà sotto traccia per ovvi motivi, anche se in Rete possiamo farla circolare. Se siete precari sappiate che non riceverete la pensione. I contributi che state versando servono soltanto a pagare chi la pensione ce l'ha garantita. Perché l'Inps debba nascondere questa verità è evidente: per evitare la rivolta. Ad affermarlo non sono degli analisti rivoluzionari e di sinistra ma lo stesso presidente dell'istituto di previdenza, Antonio Mastrapasqua che, come scrive Agoravox, ha finalmente risposto a chi gli chiedeva perché l'INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".

    Intrage scrive che l'annuncio è stato dato nel corso di un convegno: la notizia principale sarebbe dovuta essere quella che l'Inps invierà, la prossima settimana, circa 4 milioni di lettere ai parasubordinati, dopo quelle spedite a luglio ai lavoratori dipendenti, per spiegare come consultare on line la posizione previdenziale personale. Per verificare, cioè, i contributi che risultano versati.

    La seconda notizia è che non sarà possibile, per il lavoratore parasubordinato, simulare sullo stesso sito quella che dovrebbe essere la sua pensione, come invece possono già fare i lavoratori dipendenti. Il motivo di questa differenza pare sia stato spiegato da Mastrapasqua proprio con quella battuta. Per dire, in altre parole, che se i vari collaboratori, consulenti, lavoratori a progetto, co.co.co., iscritti alla gestione separata Inps, cioè i parasubordinati, venissero a conoscenza della verità, potrebbero arrabbiarsi sul serio. E la verità è che col sistema contributivo, i trattamenti maturati da collaboratori e consulenti spesso non arrivano alla pensione minima.

    I precari, i lavoratori parasubordinati come si chiamano per l'INPS gli "imprenditori di loro stessi" creati dalle politiche neoliberiste, non avranno la pensione. Pagano contributi inutilmente o meglio: li pagano perché l'INPS possa pagare la pensione a chi la maturerà. Per i parasubordinati la pensione non arriverà alla minima, nemmeno se il parasubordinato riuscirà, nella sua carriera lavorativa, a non perdere neppure un anno di contribuzione.

    L'unico sistema che l'INPS ha trovato per affrontare l'amara verità, è stato quello di nascondere ai lavoratori che nel loro futuro la pensione non ci sarà, sperando che se ne accorgano il più tardi possibile e che facciano meno casino possibile.

    Quindi paghiamo i nostri contributi che non rivedremo sotto forma di pensione. Se reagiamo adesso, forse, abbiamo ancora la speranza di una pensione minima.

    http://contintasca.blogosfere.it/2010/10/i...la-rivolta.html

    http://bloggersenzafrontiere.blogosfere.it...to-per-pun.html

    Pensioni censurate: precari e partite Iva, l'Inps ruba il futuro in busta paga. Parla Anna Soru (Acta)

    "Ci bastonano senza pudore ormai. E sono ben consapevoli che scatterebbe la rivolta sociale, per cui è meglio stare zitti". La Rete, come ha scritto anche Cristina Maccarrone su Walkonjob sta diffondendo a ritmo vertiginoso la dichiarazione di Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, che a margine di un convegno ha detto: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".

    Questo è o sarà a breve un fatto politico che, lungi il catastrofismo apocalittico, causerà sommosse di piazza. I contributi degli iscritti alla gestione separata dell'Inps nella quale rientrano, fra gli altri, collaboratori a progetto e liberi professionisti stanno pagando contributi per ripianare i buchi dell'istituto di previdenza e pagare le pensioni di oggi. Ovvero di chi, prima della riforma, era a regime retributivo. I sindacati difendono i loro iscritti e tacciono sulla dichiarazione di Mastrapasqua. Noi abbiamo approfondito lo scenario insiema ad Anna Soru, Presidente di Acta, Associazione Consulenti Terziario Avanzato.

    "La situazione è drammatica per tutti quelli iscritti alla gestione separata, sia collaboratori che partite Iva", spiega Anna. "In qualche modo siamo tutti precari".

    Cosa pensi delle dichiarazioni di Mastrapasqua?

    Ha confermato quello che diciamo da sempre. Ma credevamo che quanto meno sopravvivesse ancora il pudore.

    E' sorprendente che nessuno reagisca. Non c'è la consapevolezza di quello che spetta con la gestione separata. Nei mesi scorsi abbiamo fatto una campagna per richiedere l'invio della busta arancione(che fornisce una proiezione annuale della pensione totale maturata da ogni lavoratore, ndr) ai liberi professionisti. Anche Sacconi aveva garantito l'invio a giugno, ma non si è visto nulla. Poi è arrivata la smentita dell'Inps che non prometteva più le proiezioni ma il conteggio di quanto era stato versato.

    L'Inps ha comunicato infatti di fornire user e password per verificare online i contributi versati.

    Anche questa strategia è solo un deterrente per insabbiare l'informazione. Tanti per pigrizia non vanno sul sito, ma aprono la posta che arriva a casa. E ripeto, le informazioni che vengono fornite dal sito sui contributi versati non sono leggibili in termini pensionistici.

    I sindacati hanno reagito?

    No, non hanno fatto nulla. Difendono i tesserati, chi è già in pensione o chi deve andarci. E che ha la gestione separata e ricade nel sistema contributivo generalmente non è iscritto.

    Quindi a chi rivolgersi?

    Acta sta valutando cosa fare, certamente useremo la Rete. Mastrapasqua sa benissimo che scoppierebbe la rivolta sociale se i lavoratori fossero informati. La proposta di Cazzola e Treu vuole modificare in senso migliorativo la riforma delle pensioni. Il fatto è che hanno risolto il problema del bilancio dell'Inps nelle nostre tasche. Non puoi chiedere il 26% di contributi se in cambio riceverai una pensione ridicola.

    La riforma delle pensioni è stata il punto di rottura.

    Sì, il nostro sistema è passato da retributivo a contributivo. Adesso è proporzionale a quanto hai versato, ma i coefficienti sono molto bassi e la rivalutazione è legata al Pil, peggiorato ora con la recessione. Per intenderci, anche se hai versato una cifra cospicua, la pensione lorda sarà intorno al 40% dell'ultimo reddito, nel peggiore dei casi al 30%.

    Quindi tutti i lavoratori della gestione separata condividono lo stesso futuro pensionistico.

    Sì. In particolare, tutti gli iscritti alla gestione separata rientrano nel regime contributivo. Negli anni Novanta, ai tempi della riforma, si pensava a un meccanismo per frenare la spesa pensionistica. Il risultato è che chi lavorava allora ha scaricato i costi sui lavoratori di oggi. I primi col nuovo regime andranno in pensione intorno al 2030. Quindi non fanno notizia e sono ancora meno numerosi, nonostante il trend in ascesa.

    Negli altri paesi i lavoratori a gestione separata, però, riescono a fare proiezioni.

    Sì, tutto è cominciato nei paesi del Nord. Sarebbe civile informare i lavoratori che almeno potrebbero pensare a una pensione integrativa. Certo, ma maggior parte non se lo può permettere visto che versa all'Inps il 26% dello stipendio.

    In tanti hanno proposto in Rete di non pagare più i contributi.

    Non è facile. Le multe sono carissime. O smetti di lavorare o paghi.

    http://internetepolitica.blogosfere.it/201...-anna-soru.html




    Pensioni e Inps, silenzio e password: partite Iva e contributi a vuoto (come i precari)


    Si parla di precari, contributi e lavoro e, di solito, segue una certa sonnolenza. Non è successo ieri, quando abbiamo pubblicato le dichiarazioni di Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps che a margine di un convegno ha detto: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".

    Il significato: i precari stanno versando i contributi per i loro genitori, zii e parenti. Di sicuro non per sè stessi. La notizia ha fatto sobbalzare anche l'Acta, l'Associazione Consulenti del Terziario avanzato, che ha chiesto alla politica di fornire spiegazioni esaurienti.

    Intanto i precari, in quanto a contributi mandati in fumo, sono in buona compagnia. Anche i liberi professionisti infatti non stanno certo vivendo un momento idilliaco con l'Inps che all'informazione preferisce l'omertà e il silenzio. Ieri Dario Di Vico ha spiegato che l'istituto di previdenza riuscirà a fornire user e password ai suoi professionisti ma che si scordino la simulazione di pensione. Quindi continua a versare, calcola quanto hai donato e stop. Della pensione non c'è certezza. E pure la Cassazione rincara la dose con una sentenza, in cui il libero professionista pare una scheggia impazzita da scoraggiare sul mercato. Un corto circuito imbarazzante. Noi in questi giorni insisteremo per ricevere risposte dagli istituti competenti.

    Intanto vi riportiamo uno stralcio del post:

    Si vive anche di simboli. E la busta arancione che l`Inps aveva promesso di spedire ai suoi assistiti, comprese
    le partite Iva della cosiddetta gestione separata, era diventata in poco tempo per consulenti e professionisti senza Ordine un test di inclusione e di cittadinanza.

    Il governo, infatti, aveva annunciato che entro il 2010 l`Inps avrebbe inviato a casa l`estratto conto aggiornato dei versamenti previdenziali accantonati fino a quel momento.Quell`estratto conto, novità assoluta, avrebbe contenuto addirittura una proiezione sull`ammontare finale dell`assegno di pensione.

    Un`operazione perfetta perché avrebbe abbinato la massima trasparenza nel rapporto con i contribuenti a un vantaggio di «sistema». Chi, in virtù della documentazione fornita, avesse finito per giudicare insufficiente l`ammontare previsto per la sua pensione, avrebbe avuto il tempo di potersi disegnare una polizza integrativa con caratteristiche complementari all`assegno Inps.

    Il costruendo «secondo pilastro» del sistema previdenziale italiano ne avrebbe sicuramente tratto beneficio. Il sogno di avere un welfare scandinavo anche nel Belpaese (in Svezia e Norvegia esiste già l`equivalente della busta arancione) si è però infranto con problemi organizzativi. L`Inps dichiara che sarebbe stata assolutamente in grado di realizzare l`operazione ma non lo erano la maggior parte delle altre Casse di previdenza (circa una trentina) a causa di una informatizzazione inadeguata delle proprie banche dati.

    http://contintasca.blogosfere.it/2010/10/p...-i-precari.html

    PARTITE IVA - La busta che non arriva e i professionisti senza rete - Dario Di Vico

    Si vive anche di simboli. E la busta arancione che l`Inps aveva promesso di spedire ai suoi assistiti, comprese
    le partite Iva della cosiddetta gestione separata, era diventata in poco tempo per consulenti e professionisti senza Ordine un test di inclusione e di cittadinanza.


    Il governo, infatti, aveva
    annunciato che entro il 2010 l`Inps avrebbe inviato a casa l`estratto conto aggiornato dei versamenti previdenziali accantonati fino a quel momento.Quell`estratto conto, novità assoluta, avrebbe contenuto addirittura una proiezione sull`ammontare finale dell`assegno di pensione.
    Un`operazione perfetta perché avrebbe abbinato la massima trasparenza nel rapporto con i contribuenti a un vantaggio di «sistema». Chi, in virtù della documentazione fornita, avesse finito per giudicare insufficiente l`ammontare previsto per la sua pensione, avrebbe avuto il tempo di potersi disegnare una polizza integrativa con caratteristiche complementari all`assegno Inps.

    Il costruendo «secondo pilastro» del sistema previdenziale italiano ne avrebbe sicuramente tratto beneficio. Il sogno di avere un welfare scandinavo anche nel Belpaese (in Svezia e Norvegia esiste già l`equivalente della busta arancione) si è però infranto con problemi organizzativi. L`Inps dichiara che sarebbe stata assolutamente in grado di realizzare l`operazione ma non lo erano la maggior parte delle altre Casse di previdenza (circa una trentina) a causa di una informatizzazione inadeguata delle proprie banche dati.

    Di conseguenza, archiviata l`idea della busta arancio, tra un mese dovrebbe partire un piano B. Gli assistiti dell`Inps dovrebbero comunque poter consultare online la propria posizione contributiva, accedendovi attraverso il solito «pin code» e la solita «password».

    Ovviamente l`impatto simbolico e comunicativo non sarà lo stesso e comunque l`Inps ha deciso di mettere a disposizione solo i dati sulla contribuzione già versata ma di non fornire proiezioni sul futuro. Il cambio di rotta sta facendo mugugnare le organizzazioni che rappresentano le professioni autonome non ordinistiche o comunque prive di una propria cassa previdenziale, non perché i loro rappresentanti siano indissolubilmente legati al mondo di Gutenberg (la documentazione cartacea) e odino il web, tutt`altro. E' che quella che poteva essere un`operazione di inclusione è stata di fatto derubricata.

    Ma non è tutto. Assieme al mugugno sui simboli c`è anche e soprattutto un problema di sostanza. Non si può andare avanti versando un contributo decisamente oneroso (il 27,2%) per attendersi poi a fine carriera pensioni minime. «Dietro la scelta del governo e dell`Inps di non mandare la busta e di non mettere nero su bianco le proiezioni sulle prestazioni previdenziali di fine carriera - denuncia Anna Soru, presidente di Acta, l`associazione
    dei consulenti del terziario avanzato - c`è una scelta comunicativa ben precisa.

    Non si vuole creare allarme tra i contribuenti. Soprattutto tra quelli a regime contributivo puro». Le prime coorti di lavoratori assoggettati al contributivo dovrebbero andare in pensione tra 15-20 anni ma le previsioni che fanno gli
    esperti dell`associazione sono preoccupanti. E segnalano un`ulteriore differenza di trattamento con i lavoratori
    dipendenti.

    Chi infatti tra questi ultimi è stato collocato per effetto della recessione in cassa integrazione ha comunque usufruito della copertura previdenziale, mentre niente di tutto ciò è previsto per una partita Iva. Risultato: è molto probabile che quei professionisti nel 2025 «godranno» - mai espressione fu più ipocrita - di un assegno di pensione stimato tra i 600 e i 700 euro.

    Sta accadendo infatti che, in assenza delle proiezioni dell`Inps, i consulenti a partita Iva si sono attrezzati
    auto-simulando i propri piani pensionistici secondo la casistica più ricorrente. L`esempio-limite è quello di un professionista che in questi anni di economia terremotata abbia guadagnato all`incirca mille euro al mese e che per effetto della crisi non abbia avuto sempre la continuità lavorativa, ebbene anche se versasse alle casse
    dell`Inps per 15-20 anni il 27,2% dei propri incassi non arriverebbe nemmeno ad aver diritto all`assegno di pensione sociale.

    E questa è, secondo Acta, la dimostrazione che l`introduzione della gestione separata Inps ha generato gravi casi di ingiustizia che oggi, a quindici anni ormai dalla sua partenza, nessuno ha risolto. A complicare il quadro ci si è messa anche la Corte di Cassazione che di recente con una sentenza, la 3240/2010, ha definito la contribuzione alla gestione separata dell`Inps «una tassa aggiuntiva sui redditi di lavoro autonomo» che ha «il duplice scopo di fare cassa e di costituire un deterrente economico all`abuso di tali forme di lavoro».

    Ma come, si sono detti all`Acta, noi subiamo un prelievo oneroso, non sappiamo cosa produrrà in termini previdenziali a fine carriera e la Corte lo bolla come un`imposta utilizzata per disincentivare l`abuso di strumenti flessibili!

    Si vuole forse colpire chi ha avuto la pazza idea di rinunciare al posto fisso e scegliere il lavoro autonomo? E' chiaro che un professionista a partita Iva leggendo la sentenza si trova culturalmente sconfessato e per di più condannato a pagare una «tassa» che va a finire nelle casse della gestione separata Inps.

    Ma come si fanno a confondere imposte e accantonamenti previdenziali? La sentenza rischia di servire solo a giustificare che i versamenti accantonati non produrranno mai un assegno previdenziale degno di questo nome.
    Per di più se di tassa si tratta non si capisce perché debba essere pagata in cifra fissa (il fatidico 27,2%) e non secondo il criterio della progressività sancito dalla Costituzione.

    «Così non si aiuta l`opera di riforma del welfare e non si costruisce un sistema equo per il lavoro autonomo. Le istituzioni parlano lingue diverse e comunque sembrano avere al centro della loro visione sempre e comunque
    il lavoro dipendente, come se nulla fosse cambiato in questi anni. È sconfortante» dichiara Anna Soru. Così come è mostruosa la progressione che in 15 anni ha portato il contributo previdenziale alla gestione separata dell`Inps a salire dal 10 al 27,2% con un incremento del 270%.

    «Una tassazione svedese con prestazioni da welfare americano» scherzano ad Acta. Il paradosso è che tutte queste cose capitano proprio mentre in Parlàmento è stato presentato un disegno di legge bipartisan da due deputati molto quotati come Giuliano Cazzola (Pdl) e Tiziano Treu (Pd) che parla fortunatamente un`altra lingua e che evita a chi ha redditi molto bassi di versare per nulla.


    Se la loro proposta diventasse legge, un cittadino con dieci anni di contributi (non figurativi ma effettivi sommando esperienze da dipendente e non) avrebbe diritto alla pensione sociale alla quale potrebbe poi aggiungere il rendimento dei contributi versati. Più in generale il dispositivo prefigurato da Cazzola e Treu avrebbe il merito di armonizzare il sistema pensionistico nel suo complesso e migliorare la situazione di chi rientra nel sistema contributivo.

    Ma come è possibile che le istituzioni e la politica forniscano input così diversi tra loro? L`impressione è che, presi alla sprovvista dalla Grande Crisi, non siano riuscite ancora a rimodulare i loro interventi e a parlare la stessa lingua. Così gli insider in questi mesi di recessione hanno potuto utilizzare tutta la strumentazione tradizionale del
    welfare mentre i professionisti autonomi non hanno usufruito di nessuna copertura per malattia, invalidità,
    disoccupazione e congedi parentali.

    Ormai però, almeno secondo i più recenti dati dell`area milanese, solo un contratto su cinque è a tempo indeterminato e di conseguenza la contraddizione si fa stridente: abbiamo un sistema che non riesce a produrre posti fissi a sufficienza e però non rinuncia a tartassare i poveri cristi che per scelta o per necessità prendono la strada del lavoro autonomo.

    Delle due l`una.

    Dario Di Vico

    http://generazionepropro.corriere.it/2010/..._che_non_a.html
     
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  2. silviosenis
     
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    ...ge seus beni postus.......:-((
     
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  3. SaCraba
     
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    oh Silvio, s'unica cosa de fai esti a si fai figiusu meda chi si aggiudinti candu seusu becciusu chinou, candu no eusu a tenni prusu i forzasa po traballai,non s'ada abarrai che pigai,commenti is tempusu antigusu, sa via 'e s' iscrebigu.. :lol:
     
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  4. suonosardo
     
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    Altrove non và molto meglio, in Germania per es. l'età pensionistica è stata innalzata a 67 !! anni :wacko:

    http://www.politica-germania.net/2007/03/1...one_a_~1892272/
     
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  5. dedalonur9
     
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    CITAZIONE (SaCraba @ 14/11/2010, 20:06) 
    oh Silvio, s'unica cosa de fai esti a si fai figiusu meda chi si aggiudinti candu seusu becciusu chinou, candu no eusu a tenni prusu i forzasa po traballai,non s'ada abarrai che pigai,commenti is tempusu antigusu, sa via 'e s' iscrebigu.. :lol:

    mi sa che è l'unica strada sul serio...
    devo decidermi, sposarmi...con una "incubatrice" per moglie..5 figli credo possan bastare
     
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  6. SaCraba
     
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    CITAZIONE (dedalonur9 @ 14/11/2010, 22:43) 
    CITAZIONE (SaCraba @ 14/11/2010, 20:06) 
    oh Silvio, s'unica cosa de fai esti a si fai figiusu meda chi si aggiudinti candu seusu becciusu chinou, candu no eusu a tenni prusu i forzasa po traballai,non s'ada abarrai che pigai,commenti is tempusu antigusu, sa via 'e s' iscrebigu.. :lol:

    mi sa che è l'unica strada sul serio...
    devo decidermi, sposarmi...con una "incubatrice" per moglie..5 figli credo possan bastare

    :lol:

    l'idea di farsi qualche figlio che ci mantenga da vecchi sarebbe l'unica soluzione se non fosse che al giorno d'oggi è veramente dura farli crescere a fimmorisca,cadrullinusu,sparau, kimboriana,mella kidongia,pira e'monti e gureu e per di più radioattivi...
     
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  7. Eracle
     
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    Avevo sentito che la notizia è incerta.
    Comunque non preoccupatevi, c'è la pensione sociale.
    A 60 anni tutti prenderanno una miseria, non importa se hanno contributi cospicui o no.

    Il problema non è far crescere figli a sparau, figu tzindia o codroinu, il problema è che non troveranno lavoro, e se lo trovano la paga sarà da fame, figurati se possono aiutarti
     
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  8. SaCraba
     
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    CITAZIONE
    Banca d’Italia annuncia un futuro con pensioni troppo basse

    DICEMBRE 19, 2010 AT 9:45 AM

    La diminuzione del tasso di sostituzione tra retribuzione e pensione previsto nei prossimi anni e l’ancora scarsa adesione alla previdenza integrativa farà sì che molti lavoratori in futuro si troveranno “esposti a un forte rischio previdenziale, ovvero alla possibilità che, raggiunta l’età del pensionamento, si trovino a non avere risorse sufficienti a mantenere un tenore di vita adeguato”. È quanto si legge in uno studio dei ricercatori Giuseppe Cappelletti e Giovanni Guazzarotti della Banca d’Italia appena pubblicato sul sito della Banca. Lo studio sottolinea nell’introduzione che vi sono “rischi anche per l’intera collettività, poichè‚ essa verrà chiamata a farsi carico di interventi di natura assistenziale”. C’è una fascia consistente della popolazione – affermano i ricercatori – “per la quale la ricchezza previdenziale potrebbe risultare inadeguata. Nelle stime della Ragioneria dello Stato citate dallo studio, infatti, un lavoratore del settore privato che nel 2010 avrebbe ottenuto una pensione pari a circa il 70% della propria retribuzione (al lordo dell’imposizione fiscale e contributiva) nel 2040 vedrà ridotta la percentuale al 52% a parità di anni di contribuzione. Se il calcolo viene fatto al netto dell’imposizione fiscale e contributiva il tasso di sostituzione scenderà nei prossimi trent’anni dall’80% al 63%. Secondo l’indagine tra i lavoratori c’è la consapevolezza degli effetti delle riforme sul risparmio previdenziale (nel senso della diminuzione del tasso di sostituzione e della necessità di lavorare più a lungo) ma manca la spinta a dare più spazio alla previdenza complementare a partire dal basso reddito disponibile. Tra il 2002 e il 2008 si è ridotta la percentuale di coloro che si aspettano di andare in pensione tra i 56 e i 60 anni (dal 41% al 34%) mentre è aumentata quella che si aspetta di uscire dal lavoro tra i 61 e i 65 anni (dal 44% al 51%). Tra il 2002 e il 2008 l’età di pensionamento attesa dai lavoratori (anche per prolungare la fase di accumulazione) è cresciuta di circa un anno. Lo studio infine mostra come vi sia un basso livello di informazione sulla propria situazione previdenziale: tra coloro che aderiscono alla previdenza complementare è elevata la quota di chi non ricorda la linea di investimento scelta, il livello della contribuzione e l’ammontare del capitale accumulato nel fondo pensione. Il grado di partecipazione alla previdenza complementare è particolarmente ridotto poi proprio per le categorie di lavoratori che avranno bisogno di integrare le risorse derivanti dal primo pilastro, a partire dai giovani. Questa fascia di persone con vincoli di reddito stringenti può essere restia a destinare parte dei risparmi a una forma di ricchezza “poco liquida” come quella previdenziale. “In questo caso – conclude l’indagine – interventi volti a promuovere il risparmio privato non sono sufficienti ed è necessario prevedere fin d’ora misure di natura assistenziale”

    http://www.gliitaliani.it/2010/12/banca-di...ontent=FaceBook

     
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  9. SaCraba
     
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    CITAZIONE
    IL CASO
    Allarme Bankitalia sulle pensioni
    "Tenore di vita a rischio per i giovani"
    Via Nazionale mette in guardia dal flop della previdenza integrativa. Con il sistema contributivo 6 lavoratori su 10 avranno meno del 60 per cento dello stipendio


    di ROBERTO PETRINI


    ROMA - L'allarme pensioni della Banca d'Italia stavolta suona in modo diverso, non è solo la pressione sui conti pubblici e la celebre "gobba" dei baby boomers a preoccupare, ma sono i redditi futuri dei pensionati che, tagliati dalle riforme degli ultimi vent'anni, potrebbero essere insufficienti a "mantenere un tenore di vita adeguato".

    La fotografia, che arriva mentre si cumulano sulle famiglie italiane problemi di reddito e di debito, contribuisce ad allungare una linea d'ombra sul futuro. Lo studio, intitolato "Le scelte previdenziali nell'indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia", realizzato da Giuseppe Cappelletti e Giovanni Guazzarotti , osserva che attualmente molti lavoratori si trovano esposti a quello che viene definito "un forte rischi previdenziale". La situazione - i dati citati sono quelli della Ragioneria Generale - è quella di un taglio drastico del cosiddetto tasso di sostituzione, cioè quanto dello stipendio, in termini percentuali, costituirà la pensione. Ebbene è già previsto che un lavoratore del settore privato che nel 2010 sarebbe andato in pensione con il 70 per cento dello stipendio, nel 2040 - a parità di requisiti contributivi - avrà soltanto il 52 per cento. Un taglio drastico dovuto soprattutto alla riforma dei cosiddetti coefficienti di trasformazione, adottata nel 2007 e resa operativa quest'anno, che modifica il meccanismo di calcolo della pensione e ne riduce l'importo.

    Gli italiani se ne sono resi conto? L'indagine sui bilanci delle famiglie, in pratica un grande sondaggio molto accurato, ci dice di sì. La percentuale media dello stipendio che i nostri connazionali si attendono quando andranno in pensione è del 64,2 per cento, poco meno della metà si attende meno del 60 e solo un quarto spera ancora in un 70 per cento (per lo più redditi alti e livelli di istruzione superiori). Se poi si va a guardare la differenza tra i vari sistemi l'ottica è più precisa: il 36 per cento di chi andrà con il "retributivo" (almeno 18 anni di contributi nel 1995) si attende un assegno del 60 per cento dello stipendio; la percentuale di chi si aspetta una pensione magra sale al 59 per cento degli interpellati se si è sotto il sistema "contributivo" (Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995).

    E' chiaro che questa situazione, come segnala lo studio, comporterà rischi anche per la collettività che "dovrà farsi carico di interventi di natura assistenziale". Anche perché sulla base del campione dei bilanci di Bankitalia, che contiene anche il risparmio e i patrimoni, emerge che il 47,3 per cento dei lavoratori andrà in pensione con meno del 60 per cento dello stipendio, ma di questi un 15 per cento appartiene alla fascia più povera della popolazione, cioè senza altre risorse oltre alla pensione. C'è da sperare in un aiuto da parte della cosiddetta previdenza complementare? Pare proprio di no, almeno stando ai dati dello studio che indicano nel solo 20 per cento degli occupati coloro che hanno aderito ai fondi pensione per avere un trattamento integrativo.
    (19 dicembre 2010)

    http://www.repubblica.it/economia/2010/12/...sioni-10379225/

     
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8 replies since 14/11/2010, 10:58   590 views
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