Miniera di Furtei e il bacino di cianuro.

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  1. SaCraba
     
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    ormai la mia sezione di forum ma soprattutto la Sardegna è diventata tossica :(

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    L'isola di San Pietro è avvelenata

    A Manca pro s’Indipendentzia esprime sostegno e solidarietà al comitato di carlofortini impegnato da tempo in un importante opera di monitoraggio per tutelare la salute dei cittadini dell’isola dai veleni scaricati dalle industrie di Portovesme.

    Le analisi ambientali hanno dimostrato un inquinamento da fluoro e alluminio veramente spaventoso (più di 100 gr per 1 Kg di terreno sull’isola di S. Pietro, ciò significa che un decimo del terreno è alluminio). È sconcertante che la Edam (ambientali s.r.l. di Gallarate) che ha svolto le analisi su pressione del comitato per conto del comune di Carloforte abbia omesso la presenza di alcuni metalli come lo stagno, il berillio e di altri metalli tossici e cancerogeni presenti nei terreni, e nelle acque superficiali.

    Dalle analisi in possesso dal comitato risulta che anche la frutta e le alghe risultano contaminati da metalli pesanti.

    Facciamo nostra la preoccupazione del comitato sull’omissione di questi risultati allarmanti e ci chiediamo su quali basi l'assessore alla sanità del comune di Carloforte Patrizia Congiu, nel consiglio comunale del 19/10/2009 e alla stampa (la Nuova Sardegna 29/10/2009), abbia potuto dichiarare che a Carloforte non si corre «nessun rischio da fluoro dell'area industriale di portovesme» e ancora che «la salute della popolazione carlofortina non corre nessun serio pericolo derivato dalla vicinanza del polo industriale. Tantomeno per la recente fuoriuscita di fluoro dall'Alcoa». Affermazioni che vengono smentite in pieno dai dati emersi dalle analisi. Ci chiediamo anche perché il Comune rifiuti sistematicamente un incontro con i cittadini del comitato e perché non vengano predisposte delle moderne centraline in grado di rilevare anche le pericolosissime nanoparticelle PM 2,5 e deposimetri che consentano di campionare le deposizioni di microcontaminanti organici ( quali PCB, Diossine, Furani , PCB e IPA ...) ed inorganici (Metalli pesanti).

    Ci chiediamo perché non vengano predisposti screening periodici sul territorio e sulla popolazione. E' ora che tutti gli enti preposti al controllo, si impegnino concretamente per la riconversione degli apparati industriali verso attività economiche ecocompatibili e basate sulle risorse della nostra terra e sui reali bisogni delle nostre comunità e l'avvio delle bonifiche con pieno reinserimento di tutti i lavoratori.

    La sinistra indipendentista sarda sosterrà le lotte e le mobilitazioni del comitato perché la nostra terra ha già pagato abbastanza per le menzogne dei colonialisti italiani e dei mediatori sardi che hanno imposto un modello di sviluppo inadeguato e mortale come quello basato sull’industria pesante. È ora che il popolo sardo dica basta e imponga il rispetto del suo diritto alla vita, alla cultura e alla prosperità avviando il processo per l’indipendenza politica e per la sovranità economica e la costruzione dello stato dei lavoratori sardi.

    Direttivo Politico Nazionale
    a Manca pro s'Indipendentzia

    http://www.manca-indipendentzia.org/ita/or...avvelenata.html

     
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  2. SaCraba
     
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    Ancora inquinamento a Porto Torres, iRS prende posizione


    iRS – indipendèntzia Repùbrica de Sardigna apprende con allarme la notizia dell’ennesima sciagura ambientale piovuta nel sassarese.


    Come già anticipato dagli attivisti di Porto Torres, nella giornata di ieri nel porto industriale turritano, una nave battente bandiera panamense destinata alla centrale E-on ha perduto in mare, per rottura di una pompa di trasporto, una ingente quantità di olio combustibile destinata alla centrale.

    Il disastro, ancora da determinare nella sua piena e reale entità, appare quantomai inquietante. Già da ieri nel centro cittadino turritano si avvertivano nell’aria i forti e fastidiosi miasmi degli idrocarburi, tanto che la popolazione, ignara dell’incidente, chiedeva l’intervento delle autorità con numerose telefonate alle autorità competenti. Resta ancora oscuro il motivo per cui di fronte ad un incidente di questa entità possa trascorrere una giornata intera prima che la stampa stessa possa darne notizia.

    iRS si è già attivata per far luce su questo ennesimo disastro. Il consigliere provinciale Gavino Sale, preso atto delle deficienze strutturali nelle attività di controllo e della necessità di una maggiore vigilanza a livello politico, ha chiesto d’urgenza un incontro in commissione ambiente per vigilare sull’accaduto, per conoscere le cause dell’incidente e le procedure attivate per far fronte all’emergenza, oltre ad un’ispezione via mare e via terra nei luoghi dell’incidente, per verificare direttamente e senza mediazioni la reale gravità della situazione.

    2011-01-12


    http://www.irsonline.net/2011/01/ancora-in...ende-posizione/

     
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    La Sardegna sta diventando una gigantesca pattumiera tossica...e quando la nostra terra non sarà più vivibile, dove andremo?
    Sardos, sciraisindi.
     
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  4. SaCraba
     
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    FURTEI.

    Stanziati quattro milioni e mezzo: l'Igea potrà così ripulire i bacini avvelenati a Santu Miali


    Diga al cianuro, via alla bonifica.Finanziamento per risanare l'ex miniera d'oro


    Giovedì 13 gennaio 2011
    Lo stanziamento deciso dalla Giunta regionale su proposta dell'assessore all'industria Oscar Cherchi.

    La diga al cianuro di Santu Miali presto non spaventerà più il territorio del Campidano. La pericolosa ferita rimasta aperta nell'ex miniera di Furtei dopo la fine dell'attività estrattiva finalmente verrà risanata. La Giunta regionale ha stanziato quattro milioni e mezzo di euro per la bonifica della vasta area, diventata per una dozzina d'anni l'Eldorado della Marmilla. Una somma considerevole attesa da sindaci, sindacati ed ex lavoratori della Sardinia Gold Mining, la società che ha gestito dal 1997 al 2009 lo stabilimento minerario. Proprio gli operai negli ultimi due anni, assieme agli amministratori locali, hanno lottato per ottenere questo risultato.
    LA SOMMA L'esecutivo regionale, presieduto dal governatore Ugo Cappellacci, su proposta dell'assessore regionale all'industria Oscar Cherchi, ha deliberato l'assegnazione dei 4 milioni e mezzo di euro alla società Igea per la progettazione e la messa in sicurezza dell'area mineraria di Santu Miali per i prossimi due anni. Era stata la stessa Igea a presentare alla regione un piano quinquennale per una spesa di 16 milioni di euro per risanare quel territorio. Poco più di un quarto di queste somme arriveranno subito dal bilancio regionale.
    GLI INTERVENTI Il piano della società che già si occupa della riqualificazione di zone interessate dall'attività di estrazione prevede la realizzazione di un impianto di trattamento delle acque provenienti dal bacino degli sterili e delle cavità ex minerarie nelle aree di coltivazione de Is Concas, Su Masoni e Sa Perrima. Ma anche la bonifica della diga con residui di cianuro, una vera bomba ecologica.
    PERICOLI Tutti bacini che contengono acque con materiali acidi e residui di lavorazione, pericolosi se dovessero raggiungere i fiumi del territorio. Un pericolo reale che si è presentato spesso nei primi mesi dello scorso anno durante precipitazioni abbondanti. Sono stati solo i 41 operai assieme alle forze mobilitate dal Comune di Furtei e della Provincia ad evitare il disastro. Una spada di Damocle sul Campidano che presto scomparirà.
    I COMMENTI «Siamo soddisfatti», ha detto Emanuele Madeddu dell'Rsu aziendale, che ha seguito da vicino la vertenza, «finalmente il primo passo deciso verso il recupero di un'area di grande pregio ambientale». La notizia è stata accolta con un sospiro di sollievo anche dal sindaco di Furtei Luciano Cau, che ha trascorso notti insonni per partecipare alle operazioni dello sblocco della pompa che riporta nell'invaso al cianuro i liquidi fuoriusciti da una crepa in un muro della diga.
    LA STORIA Ci si prepara così a scrivere l'ultima pagina della storia della miniera di Furtei finita davvero male. Il primo lingotto arrivò nel 1997. In 12 anni 4 tonnellate d'oro per 40 milioni di euro. Poi la crisi dei mercati internazionali e la chiusura della miniera. Con 41 posti di lavoro da salvare. Gli operai in due anni hanno occupato il Comune di Furtei ed anche l'assessorato regionale all'industria. Lo scorso 31 dicembre hanno concluso un corso di formazione e si sono riqualificati. Il prossimo 19 gennaio un incontro a Cagliari in Regione per decidere il loro futuro.
    ANTONIO PINTORI
    FURTEI.
    Stanziati quattro milioni e mezzo: l'Igea potrà così ripulire i bacini avvelenati a Santu Miali
    Diga al cianuro, via alla bonificaFinanziamento per risanare l'ex miniera d'oro
    Giovedì 13 gennaio 2011
    Lo stanziamento deciso dalla Giunta regionale su proposta dell'assessore all'industria Oscar Cherchi.

    L a diga al cianuro di Santu Miali presto non spaventerà più il territorio del Campidano. La pericolosa ferita rimasta aperta nell'ex miniera di Furtei dopo la fine dell'attività estrattiva finalmente verrà risanata. La Giunta regionale ha stanziato quattro milioni e mezzo di euro per la bonifica della vasta area, diventata per una dozzina d'anni l'Eldorado della Marmilla. Una somma considerevole attesa da sindaci, sindacati ed ex lavoratori della Sardinia Gold Mining, la società che ha gestito dal 1997 al 2009 lo stabilimento minerario. Proprio gli operai negli ultimi due anni, assieme agli amministratori locali, hanno lottato per ottenere questo risultato.
    LA SOMMA L'esecutivo regionale, presieduto dal governatore Ugo Cappellacci, su proposta dell'assessore regionale all'industria Oscar Cherchi, ha deliberato l'assegnazione dei 4 milioni e mezzo di euro alla società Igea per la progettazione e la messa in sicurezza dell'area mineraria di Santu Miali per i prossimi due anni. Era stata la stessa Igea a presentare alla regione un piano quinquennale per una spesa di 16 milioni di euro per risanare quel territorio. Poco più di un quarto di queste somme arriveranno subito dal bilancio regionale.
    GLI INTERVENTI Il piano della società che già si occupa della riqualificazione di zone interessate dall'attività di estrazione prevede la realizzazione di un impianto di trattamento delle acque provenienti dal bacino degli sterili e delle cavità ex minerarie nelle aree di coltivazione de Is Concas, Su Masoni e Sa Perrima. Ma anche la bonifica della diga con residui di cianuro, una vera bomba ecologica.
    PERICOLI Tutti bacini che contengono acque con materiali acidi e residui di lavorazione, pericolosi se dovessero raggiungere i fiumi del territorio. Un pericolo reale che si è presentato spesso nei primi mesi dello scorso anno durante precipitazioni abbondanti. Sono stati solo i 41 operai assieme alle forze mobilitate dal Comune di Furtei e della Provincia ad evitare il disastro. Una spada di Damocle sul Campidano che presto scomparirà.
    I COMMENTI «Siamo soddisfatti», ha detto Emanuele Madeddu dell'Rsu aziendale, che ha seguito da vicino la vertenza, «finalmente il primo passo deciso verso il recupero di un'area di grande pregio ambientale». La notizia è stata accolta con un sospiro di sollievo anche dal sindaco di Furtei Luciano Cau, che ha trascorso notti insonni per partecipare alle operazioni dello sblocco della pompa che riporta nell'invaso al cianuro i liquidi fuoriusciti da una crepa in un muro della diga.
    LA STORIA Ci si prepara così a scrivere l'ultima pagina della storia della miniera di Furtei finita davvero male. Il primo lingotto arrivò nel 1997. In 12 anni 4 tonnellate d'oro per 40 milioni di euro. Poi la crisi dei mercati internazionali e la chiusura della miniera. Con 41 posti di lavoro da salvare. Gli operai in due anni hanno occupato il Comune di Furtei ed anche l'assessorato regionale all'industria. Lo scorso 31 dicembre hanno concluso un corso di formazione e si sono riqualificati. Il prossimo 19 gennaio un incontro a Cagliari in Regione per decidere il loro futuro.
    ANTONIO PINTORI
    http://edicola.unionesarda.it/Corrente/Art...rticolo=2540870

     
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  5. SaCraba
     
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    CITAZIONE (SaCraba @ 12/1/2011, 15:47) 
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    Ancora inquinamento a Porto Torres, iRS prende posizione


    iRS – indipendèntzia Repùbrica de Sardigna apprende con allarme la notizia dell’ennesima sciagura ambientale piovuta nel sassarese.


    Come già anticipato dagli attivisti di Porto Torres, nella giornata di ieri nel porto industriale turritano, una nave battente bandiera panamense destinata alla centrale E-on ha perduto in mare, per rottura di una pompa di trasporto, una ingente quantità di olio combustibile destinata alla centrale.

    Il disastro, ancora da determinare nella sua piena e reale entità, appare quantomai inquietante. Già da ieri nel centro cittadino turritano si avvertivano nell’aria i forti e fastidiosi miasmi degli idrocarburi, tanto che la popolazione, ignara dell’incidente, chiedeva l’intervento delle autorità con numerose telefonate alle autorità competenti. Resta ancora oscuro il motivo per cui di fronte ad un incidente di questa entità possa trascorrere una giornata intera prima che la stampa stessa possa darne notizia.

    iRS si è già attivata per far luce su questo ennesimo disastro. Il consigliere provinciale Gavino Sale, preso atto delle deficienze strutturali nelle attività di controllo e della necessità di una maggiore vigilanza a livello politico, ha chiesto d’urgenza un incontro in commissione ambiente per vigilare sull’accaduto, per conoscere le cause dell’incidente e le procedure attivate per far fronte all’emergenza, oltre ad un’ispezione via mare e via terra nei luoghi dell’incidente, per verificare direttamente e senza mediazioni la reale gravità della situazione.

    2011-01-12


    www.irsonline.net/2011/01/ancora-in...ende-posizione/


    Platamona, rivolta contro la marea nera: "Emergenza sottovalutata"


    Dopo lo sversamento dei 18mila litri di olio combustibile nel litorale compreso tra Fiume Santo e Marritza i cittadini del territorio si mobilitano e chiedono di essere coinvolti nella pulizia delle spiagge. Ieri mattina iniziativa eclatante a Platamona: è stata realizzata una balena gigante con le buste di plastica (nella foto). Il comandante Stefano Mannoni: «Sottovalutata l’emergenza»

    di Nadia Cossu

    SASSARI. C'è voglia di rimboccarsi le maniche. E di sporcarsi le mani - nel senso letterale del termine - qualora fosse necessario. Mentre le operazioni "autorizzate" di bonifica dei diciotto chilometri di litorale compresi tra Fiume Santo e Marritza vanno avanti, i cittadini di Sassari e Porto Torres chiedono di essere coinvolti. «E.On ci dia tute, maschere e guanti e in spiaggia scenderemo anche noi». Vogliono essere protagonisti della pulizia dell'arenile, vogliono anche loro assistere alla «resurrezione» di quella costa violentata dal veleno nero.

    Costa maltrattata e umiliata da quei diciottomila litri di olio combustibile sversato in mare l'11 gennaio da una nave petroliera. Non si tratta di parole, la mobilitazione è già in atto e diverse persone stanno portando avanti iniziative forti per far sentire la propria voce. Si stanno formando comitati, si stanno raccogliendo firme, c'è anche chi ha voluto fare qualcosa di più eclatante.


    Si tratta dell'operazione «Black fish» realizzata ieri mattina dagli artisti dell'ex-Q (quelli che occupano da mesi l'ex questura di Sassari) e dal circolo di Rifondazione Comunista Utalabì. Una gigantesca balena fatta con le buste di plastica, spiaggiata e agonizzante sul bagnasciuga del Terzo Pettine di Platamona.

    «Abbiamo voluto esprimere così la nostra rabbia - hanno spiegato - contro questo danno ecologico». Un gesto dimostrativo che va oltre: «La balena non è solo il simbolo dei pesci spazzati via dalla marea nera, ma più in generale di un intero ecosistema gravemente compromesso da una ingiustificabile negligenza della multinazionale E.On».

    Gli attivisti di iRS Sassari e Porto Torres hanno raccolto oltre cento firme per la costituzione di un comitato che riunirà cittadini e proprietari dei chioschi che si trovano sulle spiagge inquinate. L'obiettivo è quello di costituirsi parte civile quando si aprirà il processo contro i responsabili del disastro ambientale. Ma, da parte di queste stesse persone c'è anche la volontà di partecipare attivamente alla pulizia dell'arenile.

    «Chiarito che per iRS l'onere della bonifica spetta senza alternative alle aziende colpevoli del disastro e quindi in questo caso alla E.On - dicono Simone Maulu e Giovanni Marco Ruggiu, attivisti del TdzA (centro di attività) di Sassari - non si può non apprezzare il fatto che i tanti cittadini abbiano proposto alle istituzioni la collaborazione per la pulizia delle spiagge. Crediamo che uno dei modi con cui i sardi possano amare concretamente la propria terra sia quello di favorire un loro maggiore coinvolgimento verso tutte le iniziative pubbliche che hanno come obiettivo la cura dell'ambiente di vita».

    Obiettivi condivisi da altre e diverse persone che stamattina a Porto Torres presenteranno l'imminente costituzione di un comitato territoriale di difesa dall'inquinamento ambientale del Golfo dell'Asinara e della Nurra. L'impressione è che alla fine tutti confluiranno in un unico gruppo che porterà avanti una battaglia comune. «Ci incontreremo per presentare le iniziative che vogliamo realizzare - spiegano - sarà un incontro aperto al territorio, quindi Sassari, Sorso, Castelsardo. In vista di un'assemblea generale nella quale saranno definite le procedure per la costituzione di parte civile».

    Ieri l'Atr della Capitaneria di porto ha sorvolato la costa, i dettagli sul telerilevamento si conosceranno oggi pomeriggio.

    Mentre arrivano da più parti gli attacchi a E.On: «Continuano a ripetere dichiarazioni di circostanza che tendono solo a minimizzare le responsabilità ma non servono certo a tranquillizzare i cittadini e gli operatori economici danneggiati - scrive il coordinamento cittadino di Sassari di Sinistra Ecologia e Libertà - L'industria presente nel territorio deve farsi carico, a maggior ragione nell'area del Parco dell'Asinara, della incondizionata tutela dell'ambiente».

    Domani pomeriggio, intanto, si terrà un vertice a Cagliari tra E.On, il presidente Cappellacci e l'assessore all'Ambiente Giorgio Oppi. Si parlerà dettagliatamente del danno ambientale ma si ridiscuterà anche l'accordo, siglato con la Regione, sul polo energetico di Fiume Santo.


    (17 gennaio 2011)

    http://lanuovasardegna.gelocal.it/dettagli...alutata/3199885
     
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  6. SaCraba
     
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    IlMinuto) – Cagliari, 22 gennaio –


    Sardegna avvelenata. Dalla “marea nera” E-On al traffico di rifiuti tossici di Portovesme


    La Maddalena, Santa Teresa di Gallura, Capo Testa: continua ad espandersi e a inquinare le coste sarde la “marea nera”, i 18mila litri di olio combustibile riversati in mare dopo la rottura di una pompa che, l’11 gennaio, riforniva la centrale E-On di Fiume Santo. Un disastro che ha spinto la presidente della provincia di Sassari, Alessandra Giudici, a chiedere al Governo di dichiarare lo stato di “calamità naturale”. “Un gravissimo danno ambientale ed economico al territorio – hanno scritto in una nota congiunta i sindaci di Sassari, Porto Torres e Sorso – che sono proprio i fatti accaduti a confermare l’incompatibilità ambientale dei gruppi 1 e 2 a olio combustibile”. Il rispetto dell’ambiente e la compatibilità delle attività industriali e militari con l’economia e con la salute dell’uomo non sono però sinora una delle priorità della “classe politica” che ha governato la Sardegna.
    La mappa dell’Isola è infatti costellata di ferite all’ecosistema che continuano a sanguinare da decenni. Emergenze ambientali che hanno riempito le pagine dei giornali degli ultimi mesi. Il 10 dicembre si è aperto al Tribunale di Cagliari il processo ai responsabili della Portovesme srl (e di altre aziende collegate) per traffico di rifiuti tossici, gettati illegalmente nelle discariche di Serramanna e Settimo San Pietro e usati come comune “materiale di riempimento” in edilizia.Per restare nel Sulcis e all’attività industriale di Porto Torres, le analisi compiute dalla Edam srl nell’isola di San Pietro – diffuse da aMpI e da un Comitato cittadino a Carloforte – hanno rilevato una presenza di 100 grammi di fluoro e alluminio per un chilo di terra.
    Le cose non vanno meglio se ci spostiamo a Furtei, dove gli speculatori minerari non spenderanno neanche un euro per la messa in sicurezza e il ripristino ambientale per l’ex miniera d’oro di Santu Miali. Con 16 milioni di euro saranno le casse della Regione a coprire le spese necessarie al recupero ambientale dell’area. Nel 2008 gli sciacalli canadesi della Buffalo Gold, gli ultimi proprietari della Sardinia Gold Mining, sono fuggiti tranquillamente in Sud America alla ricerca di nuove terre da violentare.
    L’ambiente è stato ferito e recintato anche dall’occupazione militare del territorio. Gli ultimi dati diffusi dal rapporto dei veterinari delle Asl di Cagliari e Lanusei (il 65% dei pastori – 10 su 18 – che lavorano nel raggio di 2,7 chilometri dal Poligono interforze di Capo San Lorenzo, il più grande d’Europa, hanno contratto gravi forme tumorali) hanno riportato all’attenzione della stampa la “Sindrome di Quirra”, spingendo il procuratore Domenico Fiordalisi ad aprire un’inchiesta per omicidio plurimo e a sequestrare otto bersagli all’interno dell’area: provvedimento che, di fatto, blocca le esercitazioni.
    Dall’Ogliatra a Porto Torres, questi pochi fatti tracciano un quadro (piuttosto incompleto) di una Sardegna “usa e getta”, di una terra venduta, senza scrupoli, al miglior offerente. Un’Isola dove qualcuno, probabilmente, progetta di costruire una centrale atomica o un deposito per le scorie nucleari, a prescindere dalla volontà dei sardi.
    Non solo. La recente bocciatura da parte del Tar delle delibere della Giunta regionale – approvate l’anno scorso nel pieno del “caso P3″ – che bloccavano le autorizzazioni per nuovi impianti eolici a terra off shore, ha rilanciato l’appetito dei “signori del vento”. A breve – scrive Anthony Muroni sull’Unione Sarda di ieri – “dagli oltre trenta campi eolici già realizzati o autorizzati in Sardegna, si potrebbe passare a un numero di non molto inferiore a settanta”.

    http://www.ilminuto.info/2011/01/sardegna-...-di-portovesme/


    Calvisi e Melis: spariti i soldi delle bonifiche

    22/01/2011

    autore: LUIGI SORIGA

    A un convegno di Legambiente denunciate la scomparsa dei fondi Fas e la sanatoria degli obblighi Syndial


    SASSARI. Parlare di chimica pulita sopra un territorio inquinato è un controsenso. Eppure le bonifiche nell’area industriale di Porto Torres non sono scontate. Un anno e mezzo fa i deputati del Pd avevano dichiarato: «Attenzione, i fondi ministeriali Fas per le bonifiche sono a rischio». Ieri, durante un convegno organizzato a Sassari da Legambiente e dall’Università, Giulio Calvisi ha detto: «Prima era un rischio, ora è arrivata la certezza: i 400 milioni destinati alla Sardegna e i 150 milioni riservati a Porto Torres sono definitivamente spariti». In pratica il bancomat è stato prosciugato. I Fas del ministero sono volati per altri lidi, in Abruzzo per il terremoto, su Alitalia, Tirrenia, quote latte, misure anti-crisi, ammortizzatori sociali, Ici. Eppure il tesoretto per le bonifiche era ingente: 3 miliardi 200 milioni per risanare 56 siti inquinati della Penisola. Alla Sardegna, dove l’industria pesante ha lasciato ferite profonde, spettavano 400 milioni e per il polo di Porto Torres erano previsti dai 130 ai 150 milioni. Dice Calvisi: «Carte alla mano in Commissione Bilancio ci siamo resi conto che le casse sono vuote: i contributi pubblici potrebbero non arrivare mai». Anche le briciole stanziate nel 2006 dal ministero dell’Ambiente sono in forse. Infatti i 6 milioni garantiti per le bonifiche non sono stati poi materialmente trasferiti. Anche su questi soldi gli esponenti del Pd intendono fare chiarezza. Dunque i veleni del petrolchimico per ora sembrano essere un affare dell’Eni-Syndial, dal momento che la legge obbligherebbe l’ente a tirare fuori le risorse e farsi carico degli interventi. Ma anche su questo versante non vi è alcuna certezza. Il problema, sempre durante il convegno, l’ha sollevato il parlamentare del Pd Guido Melis. La Syndial aveva preventivato un investimento di 530 milioni di euro per le bonifiche da spalmare in 10 anni. Poi però è arrivata una sentenza di Torino che l’ha condannata a pagare quasi 2 miliardi di euro per l’inquinamento nel lago Maggiore. All’Eni e allo Stato, che è il maggiore azionista, si è gelato il sangue. Il timore è quello di altre cause e richieste di risarcimento per danni ambientali in altri siti (tipo Napoli, Gela ecc). Ecco dunque che con il ministero dell’Ambiente è stato firmato un protocollo d’intesa, che suona come una sorta di sanatoria e potrebbe mettere al riparo l’Eni dall’obbligo degli interventi. Melis si chiede: «Gli impegni per Porto Torres verranno rispettati? E i 500 milioni di euro dove sono stati accantonati? Nei bilanci dell’Eni le cifre non corrispondono». Il fatto è che le bonifiche sono il punto di partenza per la riconversione sostenibile della chimica. Dopodiché occorre il salto di qualità. Competere su costi e produzione contro il colosso cinese non ha senso. Invece, rispetto ai paesi emergenti, si può guadagnare terreno sul versante delle bio-raffinerie. «La Cina non ha politiche ambientali - spiega Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente - punta ancora poco su questo settore. Quindi le plastiche biodegradabili possono rappresentare il futuro». La Sardegna in questa sfida parte bene: ha il potenziale umano con l’esperienza di centinaia di operai, ha la conoscenza con le università e i tecnici formati sul campo, è inserita in una filiera collaudata e avrebbe dalla sua parte una popolazione che accoglierebbe con entusiasmo la nuova sinergia tra ambiente e industria.

    http://www.legambientesardegna.com/print_r...e_bonifiche.htm
     
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    STUDIOSO DEI POPOLI DEL MARE

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    USQUE TANDEM, STATO ITALICO, ABUTERE PATIENTIA NOSTRA?

    PROCURA DE MODERARE BARONE SA TIRANNIA... KA SI NO, PRO FIDA MIA.. TORRAS A PEIS IN TERRA! :angry:
    LA PAZIENZA sta per finire... <_<
     
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  8. SaCraba
     
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    Disastro ambientale E.ON. di Porto Torres/ Zitti zitti che il silenzio è d’oro (nero)!


    di Massimiliano Cordeddu.

    Il futuro in Sardegna è un cane a sei zampe da un miliardo di euro

    Porto Torres (SS). Il silenzio è certamente il leitmotiv che descrive meglio l’omissione, da parte dei principali media nazionali, del disastro ambientale, avvenuto lo scorso 11 gennaio in Sardegna. Un gravissimo incidente che ha causato lo sversamento in mare di circa 18/20 mila litri di olio combustibile, proveniente dalla petroliera “Esmeralda”, durante le operazioni di trasferimento e rifornimento nel deposito E.ON. di Porto Torres. La E.ON. è un colosso energetico tedesco che ha 90 mila dipendenti, un fatturato di svariate decine di miliardi di euro e partecipazioni nella russa Gazprom. La causa, però, del silenzio assordante dei media nazionali sulla vicenda, è quella di non disturbare un progetto industriale dell’Eni da un miliardo di euro. La multinazionale petrolifera del cane a sei zampe, infatti, si accinge a costruire proprio a Porto Torres, il più grande deposito di stoccaggio di greggio e olio combustibile del mediterraneo. Peccato, però, che questo progetto sia insostenibile dal punto di vista ambientale e vedrà solcare un numero altissimo di petroliere nel mare cristallino, a due bracciate da alcune delle più belle oasi naturalistiche protette della Sardegna. Il silenzio è dunque d’obbligo, visti i milioni di euro versati a giornali e televisioni italiane, per una pubblicità che, ironia della sorte, fa proprio uso della sabbia , con disegni che prendono vita e svaniscono in pochi istanti. La stessa sorte, purtroppo, potrebbe toccare alla Sardegna, se non cambierà rotta, trovando il coraggio di convertire la propria economia industriale, trasformandola in una nuova industria turistica eco-sostenibile, capace di creare nuovi posti di lavoro e sviluppo per gli abitanti del territorio. Per fare questo occorre che i sardi prendano coscienza delle loro potenzialità e si ribellino alla schiavitù secolare che non permette loro di esprimere la propria libertà e la propria cultura autoctona indipendente. Il diritto al lavoro e di vivere in un’ambiente sano e salubre, inoltre, sono diritti inalienabili dell’uomo, sanciti dalla Costituzione italiana e non delegabili ad alcuna multinazionale, la quale ha come unico interesse il profitto e non certo la tutela del patrimonio naturalistico. Per questo motivo, vista l’assenza dello Stato in questa vicenda, dovremmo iniziare ad essere più attenti nelle nostre scelte, eleggendo dei rappresentanti politici che facciano i nostri interessi e non quelli delle grandi lobby energetiche. Se non ci riusciremo, le colpe e le responsabilità di queste catastrofi, non saranno da attribuire ad altri, ma a noi stessi.

    http://ildemocratico.com/2011/01/24/disast...%80%99oro-nero/
     
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  9. dedalonur9
     
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    non sapevo nulla di questo fatto. il ciarpame berlusconiano mi sta fottendo il cervello.
     
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  10. Mrgianfranco
     
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    Il "cane a 6 zampe" è una brutta bestia la peggiore sul piano inquinamento e scatafascio industriale P.torres...Ottana...Arbatax...e altre ,dove è passata ha lasciato segni indelebili sfregiato territori ucciso gente per ormai pochi stipendi..ma i giri di soldi son alti e questo conta -.morte tua vita mea- benessere a pochi inquinamento a molti ricordiamo che il cane a 6 zampe era nato come ente pubblico statale ora è privatizzato ma ancora piu del 30% è gestito dallo stato italiano...ora come si fa a credere in uno stato che ti inquina ti uccide e seppellisce verità scomode??? Welcome to italy
     
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  11. Eracle
     
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    Non è da dire welcome to italy, è da prendere i matzuccusu e cacciare l'italy fuori dai coglioni, ed iniziare ad appendere ai ganci da macellaio certi personaggi (da quale zona anatomica si può ben immaginare)
     
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  12. SaCraba
     
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    Marea nera in Sardegna: il punto della situazione a venti giorni dal disastro ambientale

    Scritto da Roberto Zambon

    A poche settimane dalla fuoriuscita di petrolio avvenuta a Porto Torres, il responsabile dell’impianto E.On di Fiume Santo sarebbe finito nel registro degli indagati. Il suo è il primo nome di quella che potrebbe diventare di qui a poco tempo una lista molto lunga, in cui gli accusati saranno chiamati a rispondere di un disastro ambientale gravissimo. Nel frattempo, l’oleodotto in causa è stato posto sotto sequestro, ma la marea nera non si è ancora fermata, e qualcuno ha già segnalato la presenza di catrame sulla spiaggia La Pelosa (Stintino). D’altra parte, i volontari non possono intervenire, mentre il Ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo assicura: spiagge ripulite entro un mese.

    Il tutto in un contesto surreale di silenzio. Alla rabbia del popolo sardo e all’amarezza di quanti italiani hanno ancora a cuore il bene di questo paese, si somma infatti lo sconcerto di fronte alla censura preventiva operata da giornali, radio e soprattutto tv. Sui media nazionali l’argomento principale è sempre lui, Silvio Berlusconi, e per avere qualche notizia di ciò che sta tuttora accadendo nel mare a Nord Ovest della Sardegna bisogna rimboccarsi le maniche e collegarsi a internet. Ma noi di greenMe.it, che abbiamo seguito la vicenda fin dall’inizio, non vogliamo abbassare la guardia, per cui torniamo ancora una volta sull’argomento e vediamo, nel dettaglio, i nuovi sviluppi.

    Innanzitutto lui, mister x, indagato senza nome che però, secondo indiscrezioni, sembra essere il responsabile dell’impianto di Fiume Santo, dove l’11 gennaio è avvenuta la perdita di olio combustibile. Di sicuro il mister x indicato dal magistrato Paolo Piras – titolare dell’inchiesta – è un dipendente dell’azienda E.On Italia, e la sua iscrizione nel registro degli indagati è stata la premessa per il sequestro dell’impianto e della porzione di banchina adiacente. Nei prossimi giorni verranno effettuate perizie sul posto, e ulteriori indagini potranno chiarire meglio le dinamiche dell’incidente, se di incidente si tratta.

    Ma il suo nome, con ogni probabilità, non sarà l’ultimo, nonostante l’E.On abbia già messo a disposizione una sorta di memoria con le valutazioni specifiche riferite alla struttura in concessione e al relativo collaudo (2002). A parte le responsabilità penali e civili, infatti, bisogna tenere conto dei molti lati oscuri della vicenda: perché la E.On ha aspettato più di dieci giorni per ammettere il disastro e organizzare le squadre per ripulire le zone contaminate? Perché l’offerta di aiuto da parte di associazioni ambientaliste è stata e continua ad essere ignorata? Perché il Ministro Prestigiacomo non ha ancora dichiarato lo stato di emergenza?

    La risposta è che chi ha in mano il potere, come sempre, agisce secondo il proprio interesse: meglio rimandare il problema, depistare, impedire che qualcuno possa testimoniare, meglio confondere le acque e parlare d’altro… Lo hanno capito quelli di Sea Shepherd, associazione che lotta contro la caccia alle balene, i quali, dopo aver offerto il proprio aiuto, si sono sentiti dire che “la sostanza da maneggiare è altamente cancerogena”! In altre parole: lasciate fare a noi. Il bello (o il brutto) è che qualsiasi intervento dovrebbe essere coordinato dal governo, e cioè dal Ministro Prestigiacomo, fino a pochi anni fa socia maggioritaria dell’azienda di famiglia Ved, specializzata nella produzione della plastica e, come avevamo avuto modo di vedere, responsabile di vari crimini ai danni di essere umani (dipendenti e cittadini) e dell’ambiente in generale.
    Possibile aspettarsi un intervento celere da chi si presenta con un simile curriculum? La risposta è no, visto che sono già passate tre settimane. Ma il problema è grave e ogni giorno che passa si fa sempre più serio. Come ha dichiarato uno dei biologi marini dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), l’olio combustibile non è un materiale come il diesel e la benzina che sono volatili ed evaporano facilmente. Questo invece persiste nell’acqua, quindi bisogna effettuare una bonifica quanto più puntuale possibile anche in considerazione del fatto che l’area è particolarmente sensibile.

    Anche perché non bisogna dimenticare che l’olio combustibile è una sostanza considerata altamente tossica che provoca pericoli per la salute e per l’ambiente (leggi la scheda in pdf)

    Dove per area sensibile si intendono porzioni di mare e di spiagge tra le più belle d’Italia: il Golfo dell’Asinara con le spiagge di Platamona e Stintino, e tra qualche giorno, forse, anche il Parco Nazionale dell’Asinara, appena più a nord. Nel frattempo l’azienda E.On, che nel proprio sito si vanta di aver totalizzato un fatturato di 81,8 miliardi di euro nel 2009, ha comunicato a mezzo stampa di aver ingaggiato “due aziende specializzate che impiegano circa 150 persone e i migliori mezzi e attrezzature disponibili”. Ha inoltre acqusitato “due macchine di ultima generazione per gli interventi sugli arenili”.

    Benissimo. Se le cose stanno davvero così, il problema dovrebbe essere risolto entro poco tempo. In caso contrario, saremo i primi a farvelo sapere. Ma intanto il video del WWF Sardegna e il filmato sottostante, girati entrambi il 27 gennaio (subito dopo l’intervento del ministro e dell’E.on) non fanno sperare niente di buono.
    http://www.greenme.it/approfondire/special...stro-ambientale

    Perché il Ministro Prestigiacomo non ha ancora dichiarato lo stato di emergenza?

    Prestigiacomo family: ecco perchè in Italia chi inquina non paga

    Ecco quali sono i nuovi affari della famiglia Prestigiacomo. Sul ministro dell’Ambiente pesano decine di conflitti di interesse: dovrebbe multare i clienti delle “sue” aziende.


    Chissà cosa sarebbe stato dei Prestigiacomo senza la politica. Anni fa, le due donne della famiglia si sono divise per bene i ruoli. Stefania nei Palazzi e la sorella primogenita Maria Pia nei Consigli di amministrazione. Prima che la stella dell’attuale ministra dell’Ambiente cominciasse a brillare in Parlamento, le cose non è che andassero proprio benissimo alle aziende di casa. Ancora oggi, ci sono ben 957 creditori che bussano alla porta del capostipite Giuseppe Prestigiacomo. Reclamano 51 milioni di euro dal 1997, anno del fallimento del gruppo Sarplast, costato al signor Prestigiacomo una richiesta di rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta. Ma dal 2001, da quando cioè Stefania è diventata per la prima volta ministro, tutto sembra in discesa. Le società di famiglia non hanno più alcun passivo. E il merito è anche e soprattutto dei clienti illustri: Eni, Agip, Erg, Esso, Edison, tanto per fare qualche nome. Clienti per la Prestigiacomo imprenditrice. Ma soggetti da controllare e, eventualmente, da multare per la Prestigiacomo politico e ministro.

    L’oro nero di Stefania
    L’ultimo sollievo alle casse delle aziende di famiglia lo hanno dato Eni ed Edison. Tramite le due multinazionali, infatti, una delle società della ministra dell’Ambiente, dallo scorso dicembre, è entrata nel business del petrolio. L’occasione è stata data dalla piattaforma Vega A, una delle più grandi del Mediterraneo, che appartiene per il 60 per cento a Edison e per il restante 40 a Eni. Si trova a 12 miglia dalle coste di Pozzallo, in provincia di Ragusa, ed estrae dai fondali marini circa 40 mila barili di greggio ogni giorno. Fino a poco tempo fa, della piattaforma faceva parte anche la superpetroliera Vega Oil. È stata però mandata in soffitta dalle normative europee che impongono il doppio scafo, di cui l’enorme imbarcazione non era dotata. Per cui, è spuntata l’urgenza di costruire in tempi brevi una nuova petroliera. E chi si è fatto avanti? Prontamente ha offerto il suo aiuto Maria Pia Prestigiacomo. Una delle sue società la Coemi (controllata di Fincoe, nel cui cda siede Stefania, almeno fino al 2009) ha messo su, in quattro e quattr’otto, il consorzio Cem con altre nove società siracusane. Insieme hanno costruito una nuova superpetroliera, la Leonis. Una commessa da 30 milioni di euro, che ne rende all’anno oltre 20 milioni, grazie al costo giornaliero del noleggio. La piattaforma Vega A, secondo i magistrati, non sarebbe però ciò che si dice un impianto modello. La Procura di Modica ha rinviato infatti a giudizio i gestori per aver inquinato le falde acquifere, «con modalità illecite e nocive per l’ecosistema, ma che avrebbe consentito risparmi per decine di milioni di euro», si legge nel documento dei pm. Anche rispetto alla vecchia petroliera c’è molto da molto ridire. Quando, un paio di anni fa, la Guardia Costiera aveva fatto delle ispezioni a bordo, aveva riscontrato un tale stato di degrado da imporre ai proprietari di effettuare nel più breve tempo possibile le manutenzioni per ripristinare la sicurezza ottimale.

    Clienti “sotto controllo”
    A poche miglia dalla piattaforma off shore c’è il triangolo industriale Augusta-Melilli-Priolo, in provincia di Siracusa, che costituisce il più importante polo petrolchimico dell’Italia meridionale, secondo forse solo a Taranto. Un vero e proprio dono per l’occupazione, ma una dannazione per la salute. In Sicilia questa zona è conosciuta ormai come «il triangolo della morte». Da queste parti, a Priolo Gargallo, hanno la loro sede quasi tutte le aziende dei Prestigiacomo. Tra queste anche la Ved, grosso impianto petrolchimico che produce vetroresina. Secondo il sostituto procuratore di Siracusa Maurizio Musco, in quest’azienda (proprietario il padre Giuseppe, amministratrice Maria Pia) le norme sul lavoro non erano rispettate adeguatamente. Diversi operai si sono ammalati gravemente e hanno avuto figli con malformazioni congenite. Per questo il magistrato ha chiesto il rinvio a giudizio dei Prestigiacomo; richieste di rinvio a giudizio ci sono state anche per altri procedimenti aperti sulla Ved e riguardano la gestione non corretta dei rifiuti industriali. Sparse per il resto della piana siracusana, ci sono anche i più prestigiosi clienti della famiglia di Stefania (l’elenco completo si trova sul sito internet della Coemi): Eni, Erg, Esso, Enel.

    L’aumento esponenziale del numero di tumori e delle nascita di bambini con malformazioni è però diventato a un certo punto così intollerabile che lo Stato ha imposto la bonifica del sito. Della pratica si è occupata proprio la bella Stefania, che si è trovata quindi nella difficile condizione di dover decidere quanto le sue aziende e soprattutto i suoi clienti dovessero sborsare per la contaminazione che avevano causato in un’area vastissima. E la strada scelta, non esattamente a sorpresa, è stata quella della massima clemenza. Il 7 novembre del 2008, a Roma viene stipulato l’accordo per la bonifica del polo industriale di Siracusa-Priolo. La cifra messa in campo è molto consistente: 774 milioni di euro. Di questi, però, solo poco più di 220 milioni sono a carico delle società che hanno provocato l’inquinamento. «Un accordo storico che segna una svolta nei rapporti tra istituzioni, industria e territorio», commentò giubilante Prestigiacomo Stefania, ma poteva essere anche Maria Pia, visti i benefici che ne ricavavano i privati coinvolti. Tuttavia, in due anni nemmeno un metro quadrato di terra è stato bonificato. La somma stanziata è stata dirottata di volta in volta sulle altre emergenze e le società le hanno provate tutte per perdere tempo. E le previsioni per il futuro sono ancora più fosche. Il Ministero dell’Ambiente ha avviato infatti qualche settimana fa le procedure per dare vita a un “condono ambientale”. Facendo ricorso alla legge 13 del 2009, le aziende come Erg ed Eni possono sottoscrivere «accordi transattivi» e sborsare, in questo modo ancora meno. Sulla bonifiche però, a quel punto, non ci sarà più nulla da temere. Sarà l’irreprensibile Stefania a monitorare e a punire i malfattori. Se ce ne sarà bisogno. (Giorgio Mottola, Terra)

    http://www.9online.it/blog_emergenzarifiut...quina-non-paga/

     
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  13. SaCraba
     
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    Camion pieni di fumi d'acciaieria radioattivi. Chiudere la fabbriche dei veleni cancerogeni: una proposta alternativa

    pubblicata da Mario Carboni il giorno martedì 1 febbraio 2011 alle ore 16.14


    In questi giorni, miracolosamente, sono stati bloccati i camion radioattivi che avrebbero alimentato la Portovesme srl che smaltisce i fumi d'acciaieria di tutta Europa in Sardegna, pattumiera del mediterraneo.
    Questa ed altre produzioni velenose vanno chiuse, bisogna anche peò proporrre una soluzione sostitutiva ed alternativa.
    Il ragionamento ha bisogno di una premessa:
    Le industrie di base, inquinanti e distruttrici delle potenzialità agricole, paesaggistiche e turistiche, sono un passaggio forse obbligato nello sviluppo umano.
    Ogni impresa ha un ciclo biologico e qualsiasi industria nasce per poi morire ed essere sostituita da attività innovatrici e meno dannose.
    Questo ciclo è prevedibile e se non si prevede un ricambio alla fine di una produzione rimane il deserto.
    Noi sardi storicamente siamo stati interessati da successivi episodi di imposizione di produzioni monoculturali coloniali.
    I Punici e Romani imposero la produzione estensiva del grano, contribuendo alla distruzione dei boschi di pianura e quindi alla siccità e all'impaludamento delle coste.
    Più recentemente gli industriali del formaggio continentali imposero la produzione del pecorino romano favorita dalla chiusura delle frontiere al bestiame bovino esportato a causa del protezionismo doganale di fine ottocento.
    Da allora l'allevamento ovino è divenuto monoculturale e ipertrofico contribuendo anch'esso alla distruzione dei boschi utili per il pascolo brado.
    La Sardegna conserva ancora le piaghe della monocultura minero-metallurgica e del carbone , che oltre a rapinare l'Isola e sfruttare i suoi figli, dopo le chiusure ci ha lasciato montagne di veleni come i fanghi rossi di Iglesias e fiumi a cielo aperto di ogni sorta di veleni.
    Anche l'ultima colonizzazione petrolchimica, tessile e della metallurgia energivora, sempre di base, monoculturale e avvelenatrice che ha distrutto luoghi incantevoli sottraendoli ad altri usi e consumando enormi risorse finanziarie pubbliche è in fase terminale dopo aver diffuso le sue metastasi nel territorio.
    In questi giorni siamo all’epilogo di questa vicenda. Sta chiudendo tutto.
    Il tessile è scomparso, la chimica sta sbaraccando definitivamente e l'Eni fugge oltre mare. A Portovesme le due multinazionali dell’alluminio stanno chiudendo perché sono fabbriche che hanno fatto il loro tempo e sono talmente incompatibili con il vivere civile che da tempo ne avremmo dovuto chiedere noi sardi, a furor di popolo, lo smantellamento.
    La Portovesme srl che lavora sino 500.000 T/a di fumi d'acciaieria avendo avuto autorizzazioni sempre crescenti da politici evidentemente corrotti, se non nelle tasche non essendoci prove evidenti, ma sicuramente nell'animo, oggi tenta il raddoppio e alle sue porte sono stati boccati camion pieni di fumi radioattivi.
    Questa fabbrica deve chiudere o riconvertirsi eliminando i fumi d'acciaieria.
    Ad Ottana è il deserto e la cartiera di Arbatax un lontano ricordo.
    A Porto Torres i tentativi di riconversione sembrano le solite truffe di avventurieri della finanza e comunque il polo chimico è in disarmo.
    La Regione con la sua minima Autonomia speciale, ma solo amministrativa, è impotente.
    Sino a quando non avrà poteri statuali, ottenibili con un nuovo Statuto di sovranità, non potrà far altro che la prefica delle chiusure coloniali.
    Lo Stato italiano, sotto qualsiasi regime e governo, ha preso dalla nostra Isola e non ha mai dato, di fronte alle vere multinazionali è impotente malgrado cerchi di offrire soluzioni ormai incompatibili con le loro strategie globali e con le regole dell'Unione Europea .
    Lo Stato italiano dall'inizio dell'Autonomia ha dato ci ha offerto ciò che era rifiutato altrove oppure vecchio e da buttare. Ci ha utilizzato come pattumiera del Mediterraneo, terra di confino e carcere, serbatoio elettorale, base nucleare marina, basi aeree e terrestri, per poligoni militari a fuoco reale anche con uranio impoverito, per l'industria degli armamenti e spaziale solo a favore delle industrie e degli affaristi continentali e internazionali.
    Sede di produzioni primarie velenose e che hanno distrutto l’ambiente e caricato di malattie gravissime la popolazione: sfruttamento minerario, raffinerie, chimica di base, fibre sintetiche, produzione di alluminio, piombo e zinco.
    Tutte monocolture con la vita segnata e con la fine ad orologeria, la cui morte è annunciata alla loro nascita e dopo la loro agonia e morte rimane il deserto sempre più avvelenato.
    E' il ciclo classico dell'economia coloniale.
    Spesso, come anche in questi giorni, giustamente si protesta ma con la totale mancanza di proposte e prospettive programmatiche che non siano quelle di conservare produzioni comatose in un polmone d’acciaio del solito assistenzialismo per mantenere in vita realtà decotte e garantisca i salari ma non lo sviluppo.
    L'errore è considerare la crisi industriale sarda uguale a quella continentale quasi che fossimo parte di una stessa realtà omogenea e la Sardegna non più l'isola più periferica del Mediterraneo con centinaia di miglia marine da attraversare per collegarsi col continente.
    Diversamente che in Sardegna, hanno iniziatolo smantellamento del ciclo del cloro a Marghera e di tutte le produzioni di base velenose e inquinanti del Veneto, sostituendole con un enorme progetto di risanamento e di riconversione industriale moderna e pulita.
    I lavoratori veneti dell'Alcoa veneti saranno riconvertiti ad altre attività..
    Questo è possibile con il piano straordinario di finanziamento della riconversione pulita e ad alta tecnologia del polo Chioggia-Marghera.
    Ma quella è un'economia metropolitana, la nostra è un'economia coloniale.
    Si tratta di una differenza esclusivamente economica con rilevanti risvolti politici.
    L’economia coloniale si analizza conoscendo i suoi meccanismi di vita e prevedendo le crisi e soprattutto proponendo una via d’uscita, una resurrezione dalla morte annunciata di una economia che in quanto dipendente, eterodiretta e monoculturale ha la strada segnata verso il regresso ed il peggioramento.
    Non si tratta quindi di schierarsi,come molti fanno per reazione contro l'industria, ma contro un certo tipo d'industria.
    Se fosse possibile una transizione morbida, ma spesso non lo è, non tutto dovrebbe essere chiuso e mai bruscamente e l’industria, riconvertita o innovata completamente, dovrebbe essere mantenuta in Sardegna salvaguardando il patrimonio umano e di conoscenze acquisito dai sardi per nuove attività riconvertite o nuove più moderne e pulite.
    L'assenza di un analisi economica decolonizzante, da parte dei decisori politici sardi e delle categorie sociali più importanti genera l'assenza di un progetto ed una rivendicazione per pilotare le chiusure con ingenti fondi straordinari statali ed europei, come è accaduto in tutte le aree che si sono dovute riconvertire in Europa.
    Manca un progetto e una precisa e argomentata rivendicazione autonomistica verso lo Stato e l’Unione Europea per un effettivo risanamento delle zone stuprate dall’industrializzazione coloniale con richiesta di risarcimenti per restituire aree centrali e sul mare ad altre vocazioni, agroindustriali, turistiche e industriali leggere e ad alto contenuto di cultura, intelligenza e professionalità che la Sardegna oggi possiede.
    Manca un progetto realistico per affrontare, diminuire e risarcire la Sardegna dell’uso ed abuso della sua collocazione geografica per le necessità geopolitiche passate e presenti di sicurezza e difesa militare occidentale.
    Manca infine come cornice un progetto globale autonomistico avanzato come in Irlanda o in Catalogna, o nelle isole Canarie, sul quale puntare per i prossimi anni e per le prossime generazioni.
    Drammatica poi è l'assenza di una pur minima analisi e proposta di scenario o di area dei movimenti che si dichiarano indipendentisti ed alternativi agli autonomisti .

    Una proposta possibile: Un progetto speciale come per Bagnoli.

    Gli esempi propositivi, anche a noi vicini, non mancano
    Nei miei scritti faccio spesso riferimento come attuabile nei poli sardi in crisi, beninteso con formule specifiche adattate alla Sardegna, la soluzione utilizzata per il risanamento di Bagnoli.
    Nei 200 ettari di Bagnoli-Fuorigrotta, vicino a Napoli, è stato predisposto un piano per far rivivere la grande area nella quale un secolo fa s’insediò lo stabilimento siderurgico ILVA e nel 1937 l’Eternit.
    Per quasi un secolo, per fornire acciaio all'Italia, fu consumato uno scempio ambientale immenso dato che l’area industriale si estendeva in una zona bellissima nei Campi Flegrei, da Posillipo sino alla spiaggia di fronte alle isole d’Ischia e Procida.
    Nel 1991 terminarono completamente tutte le attività del centro siderurgico e delle produzioni del super cancerogeno amianto.
    Per fare un paragone di scempio ambientale è sufficiente proporre al confronto l’area di Portovesme dove dalla bauxite si produce alluminio e dai minerali e dai fumi d'acciaieria il piombo-zinco,di fronte a Carloforte o l'area industriale di Porto Torres per la chimica nel golfo dell'Asinara..
    Bagnoli è Italia e non la colonia Sardegna e alla crisi industriale si è risposto, come in altre realtà del Nord, con un piano di ammortizzatori sociali per gli occupati in esubero e con la nascita di altre attività in tutta l’area napoletana, nel settore aeronautico, dell’informatica, manifatturiero e nella ricerca scientifica e nel turismo e nei servizi.
    Nel 1994 il Cipe con il Piano di recupero ambientale disponeva una spesa di 261,136 miliardi di lire a carico dello Stato e 81,596 a carico dell’IRI per la bonifica e nel 1996 la legge speciale per Bagnoli n° 582 stabiliva, fra l’altro, le direttive per la bonifica e la fruibilità per usi diversi in armonia con gli indirizzi urbanistici di Napoli.
    Tutta l’area di Bagnoli, come Portovesme, è stata fortemente inquinata da metalli pesanti quali arsenico, piombo, stagno, vanadio e zinco, da idrocarburi, scorie d’acciaieria, loppe d’altoforno, amianto e un ventaglio vastissimo d’inquinanti d’ogni tipo.
    Tutte spiagge e la costa, bellissime e decantate dai viaggiatori europei dell'ottocento erano state degradate, distrutte ed avvelenate sin alle più profonde falde acquifere.
    La vicenda è complessa e la zona dopo essere stata qualificata come sito da bonificare d’interesse nazionale è stata interessata da una complessa attività legislativa che dopo vari passaggi ha consentito al Comune di Napoli la titolarità del territorio e del suo recupero con i fondi gestiti da un’apposita società di sviluppo, la Nuova Bagnoli Spa.
    Il futuro dell’area di Bagnoli è stato previsto con la creazione della Città della vela ed altre iniziative in attività produttive leggere e pulite nell’alta tecnologia e un rilancio del turismo e del tempo libero in sinergia con Napoli, Sorrento, Capri, Ischia, Procida, Amalfi e Pompei al fine di fare di Bagnoli un pezzo della promessa California italiana chiudendo con attività inconciliabili con un paese civile, sviluppato e con vocazione turistica.
    Se tutto ciò è stato fatto per Bagnoli, perché non può essere realizzato per la Sardegna?
    Non si possono più accettare i ricatti sui fanghi rossi, i fumi d’acciaieria e la volontà negativa dell'ENI.
    Non si riuscirà con ulteriori deroghe alle norme comunitarie ed alle leggi di mercato il rinvio delle chiusure e ritardare il coma terminale di queste fabbriche ed eliminare l’avvelenamento collettivo.
    Bisogna allora prendere un’iniziativa che oltre ad essere economica è soprattutto politica.
    Bisogna realizzare un piano che a fronte della chiusura delle attività metallurgiche e chimiche garantisca il salario e gli ammortizzatori sociali, per le buste paga interessate , per il tempo necessario alla rinaturalizzazione e riconversione dei poli coloniali
    Si preveda e finanzi con un'apposita legge del Parlamento un progetto di bonifica ambientale e di riconversione in altre attività restituendo alle zone di fronte a Carloforte e all'Asinara, come è stato fatto per Bagnoli che è di fronte ad Ischia, le loro caratteristiche di giardino dell’Eden e le loro potenzialità turistiche che recuperate offrirebbero senz’altro lavoro a moltissimi ex metallurgici e chimici e lavoratori e imprese dell’indotto.
    Bisognerebbe creare secondo la specificità sarda, insulare ed autonomistica, le condizioni d'attrattività e d’interesse esterno per capitali, tecnologie e personale qualificato, tali da insediare nelle zone recuperate e libere dalle vecchie strutture che dovrebbero essere rottamate e smaltite, nuove attività industriali e manifatturiere pulite ad alto tasso di conoscenza, oltre alle ricaduto di comprensori turistici ineguagliabili.
    E’ venuto dunque al pettine il nodo dell’ottusa opposizione di gran parte del sindacato e dei partiti all’idea della Zona Franca per la Sardegna, all’idea politico-economica che i padri dell’Autonomia promossero internamente al progetto politico dell’Autonomia regionale e speciale per la Sardegna.
    La zona Franca significava e significa ancora rovesciare i termini del discorso della dipendenza e uscire dalla subalternità coloniale aumentando al massimo compatibile col federalismo la sovranità dei sardi.
    Non bisogna offrire più soldi pubblici come in passato a rapinatori di passaggio ma defiscalizzazioni ed incentivi a che le imprese vengano in Sardegna non per rubare i finanziamenti a fondo perduto ed a tasso agevolato ( che dovrebbero ancora in diversa maniera essere confermati e offerti come in Irlanda ) ma per un effettivo interesse all’insediamento. La fiscalità di vantaggio può costituire un fattore competitivo rispetto ad altre aree offerte nel mondo attraverso una decisa ed originale creazione d’una grande piattaforma mediterranea Free zone, abbattendo i sovra costi dell'insularità
    Che si chiami Zona franca o Free zone o Piattaforma a fiscalità ridotta o di vantaggio non cambia i termini del problema.
    Si tratta di applicare il grande sogno autonomistico della libertà fiscale per la Sardegna attuando dopo sessant'anni e da subito l'Art.12 del nostro Statuto.
    Del resto si tratta di attuare il D.Lgs. 10 marzo 1998, n. 75, norma d'attuazione dell'Art. 12 dello Statuto sui punti franchi, che ha stabilito la realizzazione delle zone franche di Portovesme, Oristano, Olbia, Porto Torres, Cagliari e Arbatax.
    Mentre il mondo dell’economia isolana crolla rispetto a questa questione i sindacati, i sindaci più direttamente interessati, fanno orecchie da mercante e il mondo della politica regionale e dell'informazione protesta ma è senza reazione propositiva ai disegni del crollo colonialista.
    Eppure, ad esempio e in particolare almeno per l'emergenza più evidente , per l’area industriale di Portovesme o per Porto Torres si dovrebbero realizzare subito le relative zone franche .
    Contemporaneamente è necessaria UNA LEGGE SPECIALE, proprio come per Bagnoli, con la quale lo Stato e le aziende che hanno inquinato e tratto lauti profitti durante la loro attività, risarciscano la Sardegna per i danni causati, destinando le cifre necessarie per un piano speciale di recupero e rilancio e che non devono essere inizialmente inferiori ai 500 milioni di euro.
    Occorrerebbe però, e queste sono le dolenti note, una classe dirigente all’altezza del compito di governare la Nazione Sarda, per progettare il futuro della Sardegna e non come subalterni sudditi-ostaggio dei colonialisti di ogni tempo, colore e tendenza politica.
    Per governare l’Autonomia speciale occorre senso d’identità è orgoglio nazionalista oltre all’indispensabile senso dello Stato e comunitario.
    Senso dello Stato significa possedere alla base il Senso autonomistico e non autocensurarsi nei confronti del Governo centrale, di qualsiasi colore possa essere, nelle richieste d’indennizzo e finanziamento di un modello di sviluppo finalmente voluto e ideato da sardi per la Sardegna perché nello scontro dialettico d’interessi fra Stato e Regione si fanno anche gli interessi generali dell’Italia e dell'Europa.
    Ma la domanda che viene spontanea in mente è : MA SIAMO VERAMENTE ITALIA? SIAMO MAI STATI ITALIA NOI SARDI?
    Questa domanda è all'ordine del giorno anche per la vicinanza del 150 anniversario dell'Unità d'Italia, dei festeggiamenti, finanziamenti per opere e studi e manifestazioni che sono stati previsti, escludendo vergognosamente la Sardegna, che con il Regno di Sardegna è stata all'origine dello Stato Italiano.
    In verità lo siamo stati per poco tempo, male accolti e trattati da colonia esterna e interna con la repubblica. Quando siamo stati considerati cittadini italiani a pieno titolo è stato per versare il sangue ed il sudore dei nostri figli migliori.
    Questo essere stati considerati cittadini italiani di diverso livello, con un susseguirsi di nascita e morte di economie monoculturali e coloniali, senza autostrade, metano, ferrovie elettrificate, infrastrutture, vera continuità territoriale, con la lingua sarda negata, combattuta ed ancora esclusa dalle scuole e dai media, deve essere cancellato dal nostro orizzonte politico, rivendicando i nostri diritti autonomistici speciali da esercitare con un nuovo Statuto di sovranità, con l’obiettivo di non doverci porre un domani la domanda ancora più drammatica: SIAMO EUROPA O NON LO SIAMO?
    In questi giorni drammatici per l'economia ed il lavoro dei Sardi, bisognerebbe mostrare collettivamente più dignità e coraggio civile, per rivendicare con l'unità possibile e rispettosa dei diversi ruoli, un risarcimento e un progetto per il futuro a partire dalle questioni aperte dal crollo di un'intera economia, voluta ancora una volta da potenti interessi esterni alla Sardegna.


    https://www.facebook.com/notes/mario-carbon...150377330300403
     
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  14. SaCraba
     
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    Marea nera, lo stato delle coste

    Oppi: "La Regione sia parte civile"

    Questo pomeriggio l'audizione in Commissione Ambiente

    03/02/2011
    SASSARI. Il riversamento di olio combustibile nella zona di PortoTorres ha fatto capire quanto la Sardegna sia vulnerabile dal punto di vista ambientale. Anzi, la nostra isola è forse l'unica regione del bacino del Mediterraneo a non avere dei sistemi che permettano il controllo immediato delle zone dove transitano le petroliere. È stato il consigliere regionale del gruppo Misto Franco Cuccureddu, questo pomeriggio durante le audizioni in commissione Ambiente sul caso Porto Torres, a sottolineare l'estrema vulnerabilità della nostra regione in materia ambientale. A Porto Torres ha detto Cuccureddu dalle 22 alle 6 del mattino non è a disposizione neanche un mezzo antincendio, se dovesse esplodere una petroliera non si potrebbe agire immediatamente e si creerebbe un danno ambientale che non sarebbe risolvibile neanche in 300 anni. Ma nella zona non esiste neanche un radar di terra per gestire il traffico o un sistema che permetta di controllare le navi cisterna fino a quando lasciano le acque della Sardegna. Dunque, è necessario puntare anche sulla prevenzione per evitare i danni ambientali e salvaguardare il nostro patrimonio.
    Questo pomeriggio l'assessore regionale all'ambiente Giorgio Oppi i rappresentanti della provincia di Sassari, di Olbia Tempio , dell'Arpas e del corpo forestale sono stati sentiti in audizione dalla commissione Ambiente. Presieduta da Mariano Contu (Pdl), sullo situazione e sui danni ambientali causati dal riversamento di olio combustile nelle acque di Porto Torres.
    L'esponente della giunta ha detto di essere in una posizione critica rispetto al ministro Prestigiacomo e ha annunciato che proporrà alla giunta che la Regione si costituisca parte civile. Dagli interventi è emerso che il coordinamento messo in atto a livello regionale, provinciale e comunale ha funzionato e che i lavori a mare e a terra stanno procedendo per eliminare il combustile e per ripristinare i luoghi. Certo, l'immagine del nord Sardegna ha subito un duro colpo e già si temono i contraccolpi turistici anche visto che alcuni tour operator hanno tolto le località del Nord Sardegna dai loro pacchetti turistici. L'attenzione è massima ha detto il commissario straordinario dell'Arpas Antonio Nicolò Corraine dopo aver ripulito la sabbia provvediamo anche a rimetterla nella stessa spiaggia da cui è stata presa.
    Per l'assessore all'ambiente della provincia di Sassari Paolo De Negri la capitaneria di Porto già da una settimana non ha riscontrato materiale in mare. Ma non bisogna abbassare la guardia ha aggiunto perché l'olio combustile sopra i 20 gradi torna allo stato liquido. Quindi, è una lotta contro il tempo: si deve eliminare l'inquinamento prima che arrivi il caldo. Infatti, prosegue a ritmo serrato il lavoro a terra. Tra Porto Torres e Sorso sono state raccolte 500 tonnellate di sabbia in cui si è riscontrato il 5% di materiale catramoso. La sabbia opportunamente pulita sarà poi rimessa a posto. Più delicato si presenta il lavaggio dei ciottoli che deve essere effettuato, pietra per pietra, con dei macchinari particolari. Minuziosa anche la pulizia delle parti rocciose effettuata a mano con l'utilizzo di vapore acqueo e prodotti non inquinanti.
    Situazione sotto controllo anche nella provincia di Olbia Tempio la cui zona contaminata è lunga 38 chilometri. Le spiagge sono state già pulite e si sta procedendo al controllo delle rocce. Ma la bonifica ha detto Pietro Carzema, assessore all’ambiente della provincia di Olbia-Tempio deve avvenire nel più breve tempo possibile. L'assessore Oppi chiederà che facciano parte del comitato di vigilanza e di coordinamento in materia di inquinamento da idrocarburi, istituito con delibera della giunta regionale del 31 gennaio, anche i rappresentanti delle province e dei sei comuni interessati dal fenomeno.

    http://www.sassarinotizie.com/articolo-370...te_civile_.aspx
     
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  15. suonosardo
     
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    User deleted


    Niente parole solo tanta rabbia.... :angry:

    www.lastampa.it/2013/11/04/italia/c...ElM/pagina.html

    Quì le immagini del disastro

    www.lastampa.it/2013/11/04/multimed...dLO/pagina.html
     
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