Francesco Masala

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  1. SaCraba
     
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    ieri, frugando tra le mie cose ho ritrovato il libro "Riso sardonico" di Francesco Masala, lo comprai in una di quelle bancarelle di libri "inutili" che i venditori buttano sui banchi alla modica cifra di 1 euro... stava tra libri di ricette e cartine turistiche... non ho mai smesso di chiedermi come mai questo libro costasse così poco o se forse sarebbe stato il caso di regalarlo a tutti i sardi ....è evidente che Francesco Masala soffrisse della "malattia" comune a noi sardi, la "sarditudine" :lol: malattia genetica,ereditaria e soprattutto incurabile..

    ecco cosa scriveva dei Sardi e della Sardegna....alla faccia del misero euro che ho sborsato per averlo

    Frantziscu Masala (Nughedu San Nicolò, 17 settembre 1916 - Cagliari, 23 gennaio 2007)
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    da" Riso sardonico" prefazione (dedicata agli ultimi moicani nuragici)

    La "storia",di necessità,è la storia dei vincitori: i vinti non "hanno" storia.Tutti conoscono la storia di Caino e Abele,i due fratelli della Bibbia,e tutti sono convinti che le cose andarono così: il cattivo Caino uccise il buon Abele.La Bibbia fu scritta dai "pastori" e ,perciò,fu il contadino Caino ad uccidere il pastore Abele.Se la Bibbia fosse stata scritta dai "contadini",sarebbe stato Abele ad uccidere Caino.Vogliamo dire, insomma,che è lecito diffidare di tutta la storia,quella sacra compresa.

    La "storia della Sardegna" ( diceva Fulano) può essere vista da sopra e da sotto.Se, per esempio,uno storico scrive,con tutte le pezze d'appoggio dei documenti d'archivio,che la cristiana maestà di Carlo Quinto ha inviato,graziosamente ,in Sardegna,quattrocento starelli di grano ,e non ci dice chi se li è mangiati,gli alcadi spagnoli o i contadini sardi,bene,questo non è fare storia ma è fare la storia dei vincitori.

    E,ancora,se uno storico scrive,con tutte le pezze d'appoggio dei "petrogiornali" del tempo,che lo Stato Italiano ha inviato,democraticamente,in Sardegna,quattrocento miliardi per il Piano di Rinascita,e non ci dice chi se li è mangiati,l'Ingegner Rovelli o gli operai sardi,bene,questo non è fare storia ma è fare storia dei vincitori.

    Gli "storici", insomma,scrivono la storia con la complicità degli archivi (sos papiros) lasciati dai vincitori: i vinti non possono lasciare mai nulla negli archivi.

    Le meningi di milioni di storici ,in Sardegna,spremono "storia". Lo storico sardo (dice Fulano) pretende di essere il cervello del mondo.E' vero il contrario: il mondo è il cervello dello storico,cioè la memoria storica collettiva,la tradizione orale,i miti popolari,poesias,contados,le affabulazioni,tutta la storia non scritta del mondo dei vinti.

    In questo senso ,se è vero (come afferma Fulano) che oggi, coi mass-media,il mondo è diventato un villaggio,allora questo "Riso sardonico" non è un libro di storia ma è la cronaca semiseria del Villaggio-Sardegna,redatta proprio nel momento in cui, nell'Isola dei nuraghe,alla società contadina si è sovrapposta la società industriale e alla" cultura agro-pastorale" si è sovrapposta la "monocultura al petrolio".

    Il passato (nefando) e il presente (ancora nefando) sono stati guardati da "sotto", con la complicità dell'etnos e dell'etos della "nazione sarda: perciò,in fondo,questo libro vuole essere una storia dei vinti.

    C'è una parola,nella lingua sarda,che contiene in sè vasti significati:su connottu,il conosciuto,l'esperienza del passato,la memoria storica collettiva,il codice non scritto,la tradizione popolare,il mito popolare,insomma.

    In una società,come quella sarda,sempre vinta ,che non ha fatto mai "storia" ma è sempre "oggetto storico " in mano del vincitore,tutta l'esperienza esistenziale,a pensarci bene,si stratifica nel mito .

    Il termine "mito popolare",qui usato per evitare il termine esotico e deteriorato di "folklore",vuole significare,almeno per quanto riguarda la terra di Sardegna,non un rottame del passato ma una permanenza nel presente,non una evasione dalla realtà ma un riassunto della realtà: il mito,come il fiume,trascina lamemoria delle cose dalla sorgente del passato alla foce del presente.

    Appunto,nel significato di particolare concezione del mondo vuole essere guardata la tradizione popolare dei Sardi,un popolo isolano e isolato,chiuso in sè stesso per avere scoperto,attraverso millenni di dominazioni straniere,la sua impossibilità di essere uguale agli altri sul piano politico-culturale e , dunque,portato ad elaborare miti e riti che sono la rivelazione etnica ed etica della sua civiltà: una tradizione popolare,in fondo,come resistenza alla violenza di forze estranee che hanno sempre tentato di estirpare lingua e valori interni per imporre lalingua e i valori esterni,dei vincitori.Una tradizione popolare,insomma,come storia dei vinti.

    Certamente,non è facile decifrare i millenari codici di questa storia non scritta,decodificare le stratificazioni di questa geologia,l'anima collettiva della nazione sarda,interpretare l'etnos e l'etos dell'uomo sardo,la sua dimensione,il suo essere così-qui-ora,spiegare le permanenze, dare ad esse un senso,risalire alle sorgenti,quando l'uomo sardo,appunto,sacralizzò i "fatti" della sua condizione esistenziale e del suo destino implacabile,con miti e riti che appaiono,ma sono ,incunaboli dell'antichità.

    E' lecito accettare,almeno sul piano dell'ipotesi,l'affermazione di Lawrence che l'uomo sardo identifica il proprio io umano nell'io cosmico e che conserva,a bella posta,il suo oscuro paradiso dell'ignoranza per lasciare che il resto dell'Italia si crogiuoli nel suo illuminato inferno.Ma è altrettanto lecito aggiungere subito che, oggi come oggi,c'è qualche difficoltà a realizzare tutto ciò,dal momento che ci stanno pensando tre moderne divinità ad illuminarlo: il Dio Petrolio,il Dio Cemento e il totem di Perdasdefogu,il missile dentro le pietre di fuoco.

    Una prima considerazione: in Sardegna,il trapasso dalla società contadina alla società industriale si è risolto in una ennesima operazione colonizzante contro il popolo sardo da parte di "quelli che vengono dal mare".La cosidetta rivoluzione industriale è stata abnorme e deforme: non ha creato nè ricchezza,nè lavoro,nè cultura.Le cattedrali nel deserto,le petrolchimiche,drenano tutti i capitali pubblici,hanno impedito totalmente lo sviluppo di una moderna agricoltura industrializzata.

    Così su connottu,cioè le antiche forme dell'economia agro-pastorale e l'antico tessuto socioculturale,rimane immutato e, per questo,la tradizione popolare sarda continua ad elaborare i suoi prodotti come immutata sovrastruttura culturale di una immutata struttura economica.

    Un filo rosso lega, dunque,gli eventi e i personaggi della dura realtà sarda alle figure e alle figurazioni del rito e del mito: nuraghe,le pietre fitte.le domus de janas,le statuine di bronzo,i tappeti metafisici,le bisacce astratte,la mastrucca dei mamutones,la soka degli issokadores,le àrdie religiose,le bardane profane,le danze rituali,il rituale matrimoniale de su ballu tundu, il rituale militaresco de su passu torrau, i canti d'amore,serenate,albate,disisperate,i canti di culla,anninnàre-anninnià,i canti di lavoro,su graminatorgiu , s'andirainnòrandìra,su bobborobò,i canti di morte,s'attìtidu,il "ciclo dell'uomo" (nascita,battesimo,infanzia,giovinezza,matrimonio,famiglia,vecchiaia,morte),il "ciclo dell'anno" (le stagioni,il lavoro,la festa), il "ciclo della cultura" (diritto,medicina,scienza,religione,magia,fiabe,proverbi,indovinelli,giochi,giocattoli), tutta la tradizione popolare della nazione sarda,insomma,ancorata,nel tempo e nello spazio,ad una concreta vicenda quotidiana,il succedersi alterno del lavoro e della festa,dell'amore e del dolore,dell'abbondanza e della carestia,del male e del bene,della vita e della morte.

    D'altronde,la gente sarda,che non ha mai fatto "storia" ,conosce bene la "morale della storia",che è questa: il nemico viene sempre dal mare. Il male che viene dal mare sta dentro la memoria storica della sarditudine: la malaria, ,importata dai Cartaginesi; i cani mastini,portati dai consoli romani contro i Sardi, mastrucati latrones; i bougrus,le sanguinose bardane dei Goti; le scorrerie dei Mori per portare negli harem le bianche agnelle di latte; sos caddos birdes istruìdos,i cavalli verdi distruttori dei caballeros spagnoli; sas cortes de sas furcas del mnistro Bogino,così illuminista che,in sardo,su buginu significa proprio il boia; sas tancas serradas a muru della Legge delle Chiudende,la delittuosa privatizzazione delle terre comunitarie sarde fatta da Vittorio Emanuele I; la caccia grossa degli ottocenteschi bersaglieri italioti che sparavano ai Barbaricini come se fossero cinghiali; i pugnali degli squadristi fascisti che vennero dal mare per tagliare la gobba a Gramsci e il pizzo a Lussu; fino all'ultimo nemico venuto dal mare,il piede nero di sporco caprone del Dio Petrolio.

    Da tutto ciò,il rifiuto,da parte dei Sardi,della "storia dei vincitori" e il loro rifugiarsi nella propria "storia dei vinti",cioè nella loro tradizione popolare,che è,appunto,la sintesi,spesso misteriosa e segreta,della loro lungodolente realtà.

    continua...

    Edited by SaCraba - 16/2/2010, 20:51
     
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  2. ARRUIASA DE GHENTIANA
     
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    CITAZIONE (SaCraba @ 3/2/2010, 12:51)
    Frantziscu Masala (Nughedu San Nicolò, 17 settembre 1916 - Cagliari, 23 gennaio 2007)

    ieri, frugando tra le mie cose ho ritrovato il libro "Riso sardonico" di Francesco Masala, lo comprai in una di quelle bancarelle di libri "inutili" che i venditori buttano sui banchi alla modica cifra di 1 euro... stava tra libri di ricette e cartine turistiche... non ho mai smesso di chiedermi come mai questo libro costasse così poco o se forse sarebbe stato il caso di regalarlo a tutti i sardi ....

    MEGLIO FAR LEGGERE A MENTI GIOVANI E MALLEABILI TESTI ITALICI E ITALIOTI.....
    GUAI APPRENDERE NOZIONI SOVVERSIVE !!!

    CITAZIONE (SaCraba @ 3/2/2010, 12:51)
    ....è evidente che Francesco Masala soffrisse della "malattia" comune a noi sardi, la "sarditudine" :lol: malattia genetica,ereditaria e soprattutto incurabile..

    CONFESSO CHE MI SENTO FELICEMENTE COLPITO DA QUESTO GRAVISSIMO MALE!!! :salute: :salute:

     
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  3. Eracle
     
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    Purtroppo non tutti i sardi hanno la sarditudine...
     
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  4. ARRUIASA DE GHENTIANA
     
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    verissimo,

    la sarditudine colpisce tutti (o quasi) i sardi, è certamente genetico, atavico,
    una sorta di imprinting collettivo, la consapevolezza inconsapevole di appartenere ad un popolo con le radici salde sulla terra dove vive da MILLENNI.
    E guai a staccarsene, la SAUDAGI SARDONICA è dietro l'angolo,
    a darti un cazzotto in pancia ogni volta che pensi a quei monti aspri
    carichi di fascino primitivo,
    a quelle colline dolci costantemente battute dal vento forte che le modella, a quel mare di vetro che carezza le spiagge d'oro e d'argento, alle pietre antiche,
    al sapore dolce aspro degli amici lontani, alle feste, ai balli, alla musica cadenzata, alle braccia serrate nella danza,
    non hai scampo.
     
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  5. SaCraba
     
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    :blink: peccato che spesso e volentieri i nostri conterranei sardi non siano contemplati in questi pensieri d'amore profondo e sincero... ecco il vero problema.. la sarditudine spesso implica la presa di distanza psicologica da tutto e tutti.. questa malattia a volte rende immuni dalla comprensione degli altri ..insomma.. ce ne sbattiamo di tutti e tutto.. si è egoisti per forza maggiore..ognuno tende ad "arrangiarsi" da solo ,come può, se si può fare a meno degli altri è sicuramente molto meglio... ecco il guaio
     
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  6. ARRUIASA DE GHENTIANA
     
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    non credo sia del tutto così, non nelle piccole cose almeno.....
    ....di certo è così per le GRANDI questioni di carattere sociale e sopratutto politico.

    Ma ho dei sospetti fondati che in Sardegna lo stato italiano applichi sistematicamente una vecchia pratica assai efficace in questi casi:

    dividi et impera

    In politica e sociologia si utilizza per definire una strategia finalizzata al mantenimento di un territorio e/o di una popolazione, dividendo e frammentando il potere dell'opposizione in modo che non possa riunirsi contro un obiettivo comune. In realtà, questa strategia contribuisce ad evitare che una serie di piccole entità titolari di una quantità di potere ciascuna possano unirsi, formando un solo centro di potere, implementando così una nuova e unica entità più rilevante e pericolosa. Per evitare ciò, il potere centrale tende a dividere e a creare dissapori tra le fazioni, in modo che non trovino mai la possibilità di unirsi contro di lui.
    Quindi questa tecnica permette ad un potere centrale, che può essere un governo dispotico, o un governatorato coloniale-imperialista, numericamente modesto, di governare e dominare su una popolazione sensibilmente più numerosa.
    Elemento tipico di questa tecnica consiste nel creare o alimentare le faide e i dissapori tra le fazioni autoctone: facendo ciò si contribuisce all'indebolimento e al successivo deterioramento dei rapporti tra le fazioni o le tribù dominate, rendendo impossibili eventuali alleanze o coalizioni che potrebbero mettere in discussione il potere dominante. Altra caratteristica è il concedere aiuti e promuovere eventuali tendenze a rendersi disponibile e fedele al dominatore. Questa tecnica è applicabile solo se accompagnata da abilità e conoscenze politiche nei suoi campi specifici: scienze politiche, storia politica e psicologia generale e nella fattispecie politica.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Divide_et_impera
     
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  7. SaCraba
     
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    da Riso sardonico di Francesco Masala

    La lingua dei vinti

    Sono nato in un villaggio di contadini e di pastori,fra Goceano e Logudoro,nella Sardegna settentrionale e,durante l'infanzia,ho sentito parlare e ho parlato solo in lingua sarda: in prima elementare,il maestro ,un uomo severo sempre vestito di nero,ci proibì ,a me e ai miei coetanei,di parlare nell'unica lingua che conoscevamo e ci obbligò a parlare in lingua italiana,la" lingua della Patria", ci disse.Fu così che, da vivaci e intelligenti che eravamo,diventammo ,tutti tonti e tristi.

    In realtà,la lingua sarda è il linguaggio del grano,dell'erba e della pecora ma è ,anche , la lingua dei vinti: nelle scuole,invece,viene imposta la lingua dei vincitori,chiamiamola pure linguaggio del petrolio e del catrame,cioè la lingua della borghesia italiana del Nord,che ha concluso il Risorgimento colonizzando industrialmente il Sud ma convincendoci di aver unificato la Patria.E' proprio vero che,in Sardegna, gli unici "italiani" sono gli "intellettuali",che parlano in "italiano" ma mangiano in "sardo".

    In uno spiazzo,vicino alla scuola elementare,il maestro vestito di nero fece piantare un certo numero di alberelli e lo denominò "Parco della Rimembranza".Ogni alberello fu dato in consegna a un balilla-guardia d'onore.Io ebbi il mio alberello da guardare,sul mio onore.Un bel giorno,una capra,penetrata nel Parco della Rimembranza,si avvicinò al mio alberello e cominciò a scorticarlo.Io, forse perchè ero tonto o perchè avevo paura delle capre,non ebbi il coraggio di cacciarla via e la capra si divorò tutto l'alberello.Il maestro,severamente,in piena classe,mi chiamò traditore della patria e mi licenziò da guardia d'onore,con grossi paroloni,tutti naturalmente in lingua italiana.Io,altrettanto naturalmente,non capì i paroloni ma,da quel giorno,mi sentì disonorato.Ovviamente,in me,cominciavano a nascere delle riserve sul concetto di patria.

    Comunque,la mia carriera scolastica (dalle elementari del mio villaggio contadino fino all'Università ,a Roma,l'Urbe) mi ha lasciato bilingue: cioè,voglio dire,è stato l'itinerario di un antico fanciullo agro-pastorale verso la piccola borghesia cittadina,allora deformata,gonfiata,travestita dalla retorica del fascismo.

    Ero sotto il "balcone" di Palazzo Venezia il 10 giugno 1940,il giorno in cui il "duce",con una orazione alla finestra,trascinò l'Italia e la Sardegna nella seconda guerra mondiale: noi studenti dell'Università di Roma facevamo un casino del diavolo,con grida e applausi,in appoggio all'oratoria epica e colloquiale del Mussolini,soltanto perchè c'era la possibilità di riempire di "diciotto" il libretto d'esami,senza aprire nè libro nè bocca.

    A pensarci bene,però, la guerra mi tolse,per così dire,dagli occhi,le bende di due retoriche ufficiali: da un lato,quella della "eroica piccola patria sarda" e, dall'altro lato,quella della "grande imperiale patria italiana".

    A scanso di equivoci,prima di andare oltre,anche per evitare nuovamente ,l'accusa di traditore della patria,mette conto di dire che,la guerra,l'ho veramente fatta,sono stato decorato al valor militare,sono stato ferito in combattimento sul fronte russo,cioè, come comunemente si dice,ho versato il sangue per la patria.Ma mi è capitato ciò che già capitò a mio nonno, gambadilegno,che perdette la gamba destra nella Battaglia di Custoza,durante la Terza Guerra d'Indipendenza: anche la mia intrepida gamba destra si è beccata la sua eroica pallottola,russa,stavolta,là,fra il Dnieper e il Don.Voglio dire,insomma,che io e mio nonno,ambedue di nazionalità sarda,abbiamo fatto le guerre italiote: da leali sardi,s'intende,eroi buoni,in tempo di guerra,ma cattivi banditi,in tempo di pace: in guerra,nelle patrie trincee,in pace,nelle patrie galere.

    In compenso,se compenso c'è,in Russia cominciai la stesura del mio "bellico" romanzo,Quelli dalle labbra bianche,scoperto e pubblicato ,molti anni dopo da Giangiacomo Feltrinelli,buonanima,quando,venuto in Sardegna,da bravo milanese,confuse la mia isola con l'isola di Cuba.

    Al mio ritorno in Sardegna,alla fine della guerra,mi capitò di poter comprendere che, con la caduta del fascismo,in sostanza,poco o nulla era cambiato nella terra dei nuraghe: capitalismo fascista e capitalismo democratico,stato accentratore democratico erano la stessa musica,anche se i musicisti erano cambiati.

    Con regio decreto,il 27 gennaio 1944,fu nominato Alto Commissario della Sardegna uno della nostra regione,Pietro Pinna. sardo sì,ma generale italiota.Comunque,fu una stagione di grandi democratiche speranze,di grandi democratiche promesse,di grandi democratiche bugie e di grande democratica fame.E se è vero,come è vero,che la Rockefeller Fondation ci liberò dalla zanzara anofele, non è men vero che questa liberazione segnò la ricomparsa della sanguisuga,il continentale,il nemico che nuovamente veniva dal mare,non più tenuto lontano dalla paura della malaria.I sardi,come al solito,senza sapere che in continente c'era l'inflazione,vendevano ai continentali,al prezzo d'anteguerra,grano,lana,pelli,formaggio.Quando qualcuno se ne accorse,propose di stampigliare i Quattro Mori sui biglietti della Banca d'Italia circolante nell'Isola.Era una forma di separatismo monetario.Forse per questo,appunto,nacque a Sassari il Banco di Sardegna.



    continua....
     
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  8. ARRUIASA DE GHENTIANA
     
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    Frantziscu Masala era un grande!!!! :salute: :salute:

    rientra a pieno titolo tra gli uomini e donne illustri dei popoli del mare
     
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  9. SaCraba
     
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    e visto che siamo in tema, salvo questo articolo ..

    CITAZIONE
    GIOVEDÌ 4 FEBBRAIO 2010

    Il Premio Deledda ritorna a parlare in sardo

    di Francesco Casula

    Il pericolo che il Premio letterario nazionale “Deledda” fosse mutilato è stato per fortuna sventato. Dopo solo due giorni in cui l’assessore provinciale nuorese alla cultura nonché presidente della fondazione “Grazia Deledda” Peppino Paffi aveva annunciato l’esclusione dal premio della sezione di narrativa in limba, gli organizzatori fanno marcia indietro e la ripristinano. Un sussulto di resipiscenza da parte dell’Assessore o la paura delle proteste? Forse l’uno e l’altra.
    Subito dopo la notizia dello scippo infatti aveva protestato il Comitadu pro sa limba definendo le motivazioni date da Paffi, per il grave provvedimento, “non solo risibili e criptiche (“nelle ultime due edizioni ha subito un notevole rallentamento”), ma assolutamente illogiche. Invece di incoraggiare la presentazione di opere in sardo, -è scritto- mai come in questi ultimi tempi abbondanti e di qualità, si abolisce la sezione del Premio ad esse dedicate”. Rivolgendosi poi al presidente Cappellacci e all'assessore regionale alla cultura “fa appello perché la Regione non contribuisca con i soldi dei sardi a questa inconcepibile decisione in conflitto sia con il buon senso sia con la politica della Regione per la tutela e la valorizzazione della lingua sarda”.
    L’esclusione del Sardo suscita la protesta anche di due scrittori, Franco Carlini e Paola Alcioni, vincitori del Premio per la sezione sarda della narrativa, il primo con “Basilisa” nel 2002 e la seconda, insieme ad Antonimaria Pala, con “Addia” nel 2008 . Carlini: ”Ci sono problemi economici? Si rinunci alla costosa presenza più o meno prestigiosa di certe personalità, più o meno attinente alla manifestazione delle quali queste sono ospiti e si diminuisca la cifra dei premi ai vincitori delle varie sezioni, nessuno si scandalizzerebbe”.
    Alcioni: ”Mentre i giovani possono senza problemi partecipare alla sezione generale, agli scrittori in lingua sarda toccherebbe il paradosso di partecipare come “stranieri”, purché traducano in italiano la loro opera”. Oltre alle proteste c’è chi, come il poeta ollolaese Michele Podda, impersonandosi nella Deledda, scrive quest’ottava:

    ”Gràssia narat: Si apo iscritu a sa continentale
    àteru modu deo non tenia
    pro dare lughe a sa cultura mia
    cheriat limba abberu ispetziale
    oe su sardu est limba nazionale
    puru fora 'e noghe nd'at balia;
    Nùgoro amada, cun s'italianu
    dàeli importu a su sardu galanu.”


    http://gianfrancopintore.blogspot.com/

     
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  10. SaCraba
     
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    continua....

    da Riso sardonico di Francesco Masala

    La lingua dei vinti


    (....) Il giorno 8 maggio 1949 fu eletto il primo Consiglio regionale della Regione Autonoma della Sardegna.A me non piace la "storia",i libri di storia,intendo,perchè essi sono ,sempre, "storia dei vincitori": in questo senso la Storia,come dire,è una grande tappatrice di buchi.Andate a leggervi la recente Storia dei trent'anni di autonomia per la Sardegna,scritta da quattro storici,pubblicata a spese della Regione Autonoma,curata dal Comitato dei Festeggiamenti per il Trentennio dell'Autonomia.Gente allegra!! un poeta del mio villaggio mi aveva preavvertito con questo epigramma:
    "Gallileo aveva un amico,/ anche lui scienziato,/anche lui ,per conto suo,/ aveva scoperto/ che la terra girava intorno al sole,/ ma non disse nulla,/perchè aveva moglie e figli."

    Il fatto è (diceva Emilio Lussu) che l'Autonomia è nata come un cervo maschio,con le corna.Man mano che è diventata adulta,le corna sono cresciute e ramificate.A trent'anni, chiaramente,l'AUTONOMIA è diventata una perfetta ETERONOMIA: raffinerie milanesi,basi militari americane,alberghi musulmani.Dopo due lunghe gravidanze,la Regione ha partorito due "Piani di Rinascita": due "Piani",dico,ma la "rinascita",come la Signora Godot,non si è fatta ancora viva.

    Alla fine dell'Ottocento,cioè dopo la cosidetta "unità" delle patrie,la Sardegna,tosata e munta dai formaggiari continentali,veniva chiamata ,con una similitudine agro-pastorale,la "pecora d'Italia": ora,alla fine del Novecento,cioè dopo la cosidetta "autonomia" regionale,la sardegna,violentata e inquinata dal Dio Petrolio,la possiamo tranquillamente chiamare,rispettando la similitudine agro-pastorale,una "forma di formaggio marcio".

    In compenso,l'isola esporta "emigrati" che ,a onor del vero,trovano tutti lavoro,fuori casa, qualunque lavoro,magari facendo lo scimpanzè in un circo equestre,come è capitato a un emigrato del mio villaggio,sopranominato Mamutone,a causa della sua bruttezza e del suo corpo peloso.Esportiamo ,pure, "sequestratori",anche se non sono più nè belli,nè feroci,nè prodi,come ai tempi di Sebastiano Satta,comunque portano l'etichetta "made in Sardinia".

    E gli intellettuali? Il monolinguismo italiota si è divorato tutto, limba,letteratura,arte,musica,tutta la cultura,insomma,della Nazione Sarda.Il referendum Popolare sul Bilinguismo giace,morto sotterrato,sotto il culo dei Consiglieri Regionali.Sembra compito specifico dell'intellettuale sardo,oggi,franare ideologicamente il maggior numero possibile di volte.La frana ideologica ( lo diceva Machiavelli) è necessaria per campare la vita.Il poeta del villaggio ci ha fatto sopra un altro: " Un tempo ero un giovane cane,/ senza fune nè pane,/ ora ho la pancia piena,/ son diventato un cane da catena".

    Ciò premesso,ritorniamo al privato,cioè dalla storia alla autobiografia.Qualcuno,infatti,potrebbe chiedersi:" Ma,tu, non fai altro che parlare del villaggio?" Bene,gli risponderò che Tolstoj,Leone Tolstoj,mi ha detto all'orecchio : " Descrivi il tuo villaggio e diventerai universale; se cerchi di descrivere Parigi,diventerai provinciale".

    In questi trent'anni di "storia dei vinti",di "autonomia tradita",di "nazione mancata",mi è capitata la sorte di poter scoprire che, se volevo fare lo "scrittore" e non il pisciatinteri ,il pisciainchiostro,non dovevo fare il "piffero dell'universo":era meglio fare quello che i francesi chiamano l'avvertisseur del villaggio, una specie di cane da caccia,con la coda dritta indietro e il muso dritto in avanti,per fiutare e scovare la volpe nascosta.Mal me ne incolse: gli issokatores mi hanno preso al laccio e sono diventato un mamuthone.

    Mi è di consolazione un ultimo epigramma del poeta del mio villaggio: " C'è un momento,/ nella storia di ognuno di noi,/ in cui se tu dici /che due più due fa quattro,/ ti crocifiggono./ L'importante non è di sapere/ quanto soffre colui che è messo in croce./ l'importante è sapere/ se, veramente,sì o no,/ due più due fa quattro".
    L'importante è che la terra continua a girare,nonostante il parere contrario del Tribunale dell'Inquisizione.


    continua...........
     
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  11. Shime'on
     
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    CITAZIONE (SaCraba @ 3/2/2010, 13:51) 
    ieri, frugando tra le mie cose ho ritrovato il libro "Riso sardonico" di Francesco Masala, lo comprai in una di quelle bancarelle di libri "inutili" che i venditori buttano sui banchi alla modica cifra di 1 euro... stava tra libri di ricette e cartine turistiche... non ho mai smesso di chiedermi come mai questo libro costasse così poco o se forse sarebbe stato il caso di regalarlo a tutti i sardi ....è evidente che Francesco Masala soffrisse della "malattia" comune a noi sardi, la "sarditudine" :lol: malattia genetica,ereditaria e soprattutto incurabile..

    ecco cosa scriveva dei Sardi e della Sardegna....alla faccia del misero euro che ho sborsato per averlo

    Frantziscu Masala (Nughedu San Nicolò, 17 settembre 1916 - Cagliari, 23 gennaio 2007)
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    da" Riso sardonico" prefazione (dedicata agli ultimi moicani nuragici)

    La "storia",di necessità,è la storia dei vincitori: i vinti non "hanno" storia.Tutti conoscono la storia di Caino e Abele,i due fratelli della Bibbia,e tutti sono convinti che le cose andarono così: il cattivo Caino uccise il buon Abele.La Bibbia fu scritta dai "pastori" e ,perciò,fu il contadino Caino ad uccidere il pastore Abele.Se la Bibbia fosse stata scritta dai "contadini",sarebbe stato Abele ad uccidere Caino.Vogliamo dire, insomma,che è lecito diffidare di tutta la storia,quella sacra compresa.

    La "storia della Sardegna" ( diceva Fulano) può essere vista da sopra e da sotto.Se, per esempio,uno storico scrive,con tutte le pezze d'appoggio dei documenti d'archivio,che la cristiana maestà di Carlo Quinto ha inviato,graziosamente ,in Sardegna,quattrocento starelli di grano ,e non ci dice chi se li è mangiati,gli alcadi spagnoli o i contadini sardi,bene,questo non è fare storia ma è fare la storia dei vincitori.

    E,ancora,se uno storico scrive,con tutte le pezze d'appoggio dei "petrogiornali" del tempo,che lo Stato Italiano ha inviato,democraticamente,in Sardegna,quattrocento miliardi per il Piano di Rinascita,e non ci dice chi se li è mangiati,l'Ingegner Rovelli o gli operai sardi,bene,questo non è fare storia ma è fare storia dei vincitori.

    Gli "storici", insomma,scrivono la storia con la complicità degli archivi (sos papiros) lasciati dai vincitori: i vinti non possono lasciare mai nulla negli archivi.

    Le meningi di milioni di storici ,in Sardegna,spremono "storia". Lo storico sardo (dice Fulano) pretende di essere il cervello del mondo.E' vero il contrario: il mondo è il cervello dello storico,cioè la memoria storica collettiva,la tradizione orale,i miti popolari,poesias,contados,le affabulazioni,tutta la storia non scritta del mondo dei vinti.

    In questo senso ,se è vero (come afferma Fulano) che oggi, coi mass-media,il mondo è diventato un villaggio,allora questo "Riso sardonico" non è un libro di storia ma è la cronaca semiseria del Villaggio-Sardegna,redatta proprio nel momento in cui, nell'Isola dei nuraghe,alla società contadina si è sovrapposta la società industriale e alla" cultura agro-pastorale" si è sovrapposta la "monocultura al petrolio".

    Il passato (nefando) e il presente (ancora nefando) sono stati guardati da "sotto", con la complicità dell'etnos e dell'etos della "nazione sarda: perciò,in fondo,questo libro vuole essere una storia dei vinti.

    C'è una parola,nella lingua sarda,che contiene in sè vasti significati:su connottu,il conosciuto,l'esperienza del passato,la memoria storica collettiva,il codice non scritto,la tradizione popolare,il mito popolare,insomma.

    In una società,come quella sarda,sempre vinta ,che non ha fatto mai "storia" ma è sempre "oggetto storico " in mano del vincitore,tutta l'esperienza esistenziale,a pensarci bene,si stratifica nel mito .

    Il termine "mito popolare",qui usato per evitare il termine esotico e deteriorato di "folklore",vuole significare,almeno per quanto riguarda la terra di Sardegna,non un rottame del passato ma una permanenza nel presente,non una evasione dalla realtà ma un riassunto della realtà: il mito,come il fiume,trascina lamemoria delle cose dalla sorgente del passato alla foce del presente.

    Appunto,nel significato di particolare concezione del mondo vuole essere guardata la tradizione popolare dei Sardi,un popolo isolano e isolato,chiuso in sè stesso per avere scoperto,attraverso millenni di dominazioni straniere,la sua impossibilità di essere uguale agli altri sul piano politico-culturale e , dunque,portato ad elaborare miti e riti che sono la rivelazione etnica ed etica della sua civiltà: una tradizione popolare,in fondo,come resistenza alla violenza di forze estranee che hanno sempre tentato di estirpare lingua e valori interni per imporre lalingua e i valori esterni,dei vincitori.Una tradizione popolare,insomma,come storia dei vinti.

    Certamente,non è facile decifrare i millenari codici di questa storia non scritta,decodificare le stratificazioni di questa geologia,l'anima collettiva della nazione sarda,interpretare l'etnos e l'etos dell'uomo sardo,la sua dimensione,il suo essere così-qui-ora,spiegare le permanenze, dare ad esse un senso,risalire alle sorgenti,quando l'uomo sardo,appunto,sacralizzò i "fatti" della sua condizione esistenziale e del suo destino implacabile,con miti e riti che appaiono,ma sono ,incunaboli dell'antichità.

    E' lecito accettare,almeno sul piano dell'ipotesi,l'affermazione di Lawrence che l'uomo sardo identifica il proprio io umano nell'io cosmico e che conserva,a bella posta,il suo oscuro paradiso dell'ignoranza per lasciare che il resto dell'Italia si crogiuoli nel suo illuminato inferno.Ma è altrettanto lecito aggiungere subito che, oggi come oggi,c'è qualche difficoltà a realizzare tutto ciò,dal momento che ci stanno pensando tre moderne divinità ad illuminarlo: il Dio Petrolio,il Dio Cemento e il totem di Perdasdefogu,il missile dentro le pietre di fuoco.

    Una prima considerazione: in Sardegna,il trapasso dalla società contadina alla società industriale si è risolto in una ennesima operazione colonizzante contro il popolo sardo da parte di "quelli che vengono dal mare".La cosidetta rivoluzione industriale è stata abnorme e deforme: non ha creato nè ricchezza,nè lavoro,nè cultura.Le cattedrali nel deserto,le petrolchimiche,drenano tutti i capitali pubblici,hanno impedito totalmente lo sviluppo di una moderna agricoltura industrializzata.

    Così su connottu,cioè le antiche forme dell'economia agro-pastorale e l'antico tessuto socioculturale,rimane immutato e, per questo,la tradizione popolare sarda continua ad elaborare i suoi prodotti come immutata sovrastruttura culturale di una immutata struttura economica.

    Un filo rosso lega, dunque,gli eventi e i personaggi della dura realtà sarda alle figure e alle figurazioni del rito e del mito: nuraghe,le pietre fitte.le domus de janas,le statuine di bronzo,i tappeti metafisici,le bisacce astratte,la mastrucca dei mamutones,la soka degli issokadores,le àrdie religiose,le bardane profane,le danze rituali,il rituale matrimoniale de su ballu tundu, il rituale militaresco de su passu torrau, i canti d'amore,serenate,albate,disisperate,i canti di culla,anninnàre-anninnià,i canti di lavoro,su graminatorgiu , s'andirainnòrandìra,su bobborobò,i canti di morte,s'attìtidu,il "ciclo dell'uomo" (nascita,battesimo,infanzia,giovinezza,matrimonio,famiglia,vecchiaia,morte),il "ciclo dell'anno" (le stagioni,il lavoro,la festa), il "ciclo della cultura" (diritto,medicina,scienza,religione,magia,fiabe,proverbi,indovinelli,giochi,giocattoli), tutta la tradizione popolare della nazione sarda,insomma,ancorata,nel tempo e nello spazio,ad una concreta vicenda quotidiana,il succedersi alterno del lavoro e della festa,dell'amore e del dolore,dell'abbondanza e della carestia,del male e del bene,della vita e della morte.

    D'altronde,la gente sarda,che non ha mai fatto "storia" ,conosce bene la "morale della storia",che è questa: il nemico viene sempre dal mare. Il male che viene dal mare sta dentro la memoria storica della sarditudine: la malaria, ,importata dai Cartaginesi; i cani mastini,portati dai consoli romani contro i Sardi, mastrucati latrones; i bougrus,le sanguinose bardane dei Goti; le scorrerie dei Mori per portare negli harem le bianche agnelle di latte; sos caddos birdes istruìdos,i cavalli verdi distruttori dei caballeros spagnoli; sas cortes de sas furcas del mnistro Bogino,così illuminista che,in sardo,su buginu significa proprio il boia; sas tancas serradas a muru della Legge delle Chiudende,la delittuosa privatizzazione delle terre comunitarie sarde fatta da Vittorio Emanuele I; la caccia grossa degli ottocenteschi bersaglieri italioti che sparavano ai Barbaricini come se fossero cinghiali; i pugnali degli squadristi fascisti che vennero dal mare per tagliare la gobba a Gramsci e il pizzo a Lussu; fino all'ultimo nemico venuto dal mare,il piede nero di sporco caprone del Dio Petrolio.

    Da tutto ciò,il rifiuto,da parte dei Sardi,della "storia dei vincitori" e il loro rifugiarsi nella propria "storia dei vinti",cioè nella loro tradizione popolare,che è,appunto,la sintesi,spesso misteriosa e segreta,della loro lungodolente realtà.

    continua...

    Salve a tutti. Pure io ho trovato questo libro in "regalo",e devo dire che mi é piaciuto molto.
     
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10 replies since 3/2/2010, 12:51   1145 views
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