Gara poetica e Poesia sarda

spazio per chi ha piacere scrivere in Sardo

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  1. SaCraba
     
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    ^_^ bravoo Elcerdea... :evil:


    ps: matrigna in algherese si dice madrasta?... da noi bidria
     
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  2. ELCERDEA
     
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    Quella di alghero è una leggenda, a proposito leggi questo:

    http://sasardanatzione.blogspot.com/2009/0...me-tessuti.html

    c'è qualcuno che ancora, per questioni editoriali opta verso questa stupidata,ma ti posso assicurare che gli algheresi sono e la maggior parte si sentono sardi



    X CRABY,
    si se diu madrastra...
    grazie per i fiori... li metto nel vasetto :)
     
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  3. SaCraba
     
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    :lol: i fiori non fumarteli... consegnali alla tua fidanzata..mi raccomando

    mi permetto di riportare qualcosa dell'articolo che ci hai proposto:

    (... )La società tutta deve aiutarci a superare quel complesso di inferiorità che le politiche statali hanno perpetrato fino a spingerci in molti alla vergogna delle nostre lingue. La società tutta deve aiutare i giovani a superare i complessi iniettatici dalle direttici continentali, a conoscere la nostra storia, quella esclusa ingiustamente dai libri di storia e riconoscere infine nella nostra insularità la fonte di ricchezza che cela quello strato di vergogna posato indebitamente sulla nostra terra e sulle nostre lingue.
    Publicado por Davide Casu Artista en 2:36
     
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  4. ELCERDEA
     
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    No, fortunatamente ho smesso di fumarmeli, la mia ragazza accetterà volentieri, anche se mi ha fatto morire le piante in terrazza...
    Non ti preoccupare per l'articolo, pubblicato anche da alghero eco, ti inviero la versione ufficiale...
     
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  5. suonosardo
     
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    ELCERDÈ c'è posta per te ( fa pure rima :D )

    - Mariner, bon mariner,
    que Deu vos dongui bonansa,
    vist haveu i conegut
    el meu amador de Fransa?

    - Jo l'he vist i conegut
    i sèp hont se troba en eix dia
    i l'estan ara casant
    ab la princesa de Hungria.

    - Sòn set anys que l'he esperat,
    altres set l'espero encara;
    i si dintre set no vè,
    monja me troba posada,

    monja del monastir sant
    que tè 'l nom de Santa Clara
    - Si vos posèssiu monja,
    ell se posarà frarèt;

    ell se posarà frarèt,
    i vos prendrà confessant;
    i calleu-vos, vos, la bella,
    que jo so lo vostre amant...

    -Si vos fèssiu anguileta,
    ell se ferà pescador,
    ell se ferà pescador,
    i vos prendra pescant;

    i calleu-vos, vos, la bella,
    que jo so lo vostre amant.
    - Si vos fèssiu orinella,
    ell se ferà cassador;

    ell se ferà cassador,
    i vos prendrà cassant;
    i calleu-vos, vos, la bella,
    que jo so lo vostre amant.

    mariner,bon mariner Alghero da Scanu 1964



     
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  6. SaCraba
     
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    Da "Miele Amaro" di Salvatore Cambosu


    IL RE PASTORE

    Ollolai Ollolai / cando hat a benner
    sa die / chi torres comente a mai?
    Ollolai Ollolai / quando sarà il
    giorno / che ritornerai com’una volta?

    Stando a quanto racconta lo zio Antico, Ospitone era il re
    dei pastori. Alto, barbuto, mangiatore di carne, valentissimo
    fromboliere, era nato a cavallo. Non sapeva né leggere né
    scrivere: illetterato del tutto, afferma lo zio Antico. Perciò era
    costretto a farsi leggere e spiegare le lettere latine che il pontefice
    (Gregorio Magno) gli mandava di tempo in tempo da
    Roma per rallegrarsi della sua salute, di quella del corpo e di
    quella dell’anima. Perché infatti, stancatosi di adorare le pietre
    e le fonti, s’era convertito alla religione di Cristo e a questa
    convertì le sue genti. La sua sede era l’alpestre Ollolai, città in
    quel tempo, ora villaggio: il quale sconta con pazienza un suo
    peccato antico: d’avere bruciato il convento ai frati, dopo
    averli coinvolti in un delitto di cui erano innocenti. E quei
    sudditi decaduti ora vanno a piedi o con cavallini pelosi di
    villaggio in villaggio e gridano la loro merce che consiste in
    cestini, corbole di giunco e d’asfodelo sopra i cui fianchi sono
    disegnati, in memoria dell’antica dinastia, animali, alberi
    ed erbe, che ora non ci sono più. Il loro ballo è un medicamento
    magico: a passo lento e solenne arrivano a una ridda
    in cerchio, a mani incatenate, la quale non appena è matura
    dà loro la forza di stare librati ma solo un momento, per farli
    poi ricadere e ritornare come prima; e poi ricominciare; sempre
    così, “Giuoco del dimenticare”, si chiama.
    Anche allora da Ollolai a Belvì, da Belvì a Seulo, tutti si
    vantavano del loro Gennargentu, che significa, e una volta
    l’aveva, porta d’argento che una sola parola poteva aprire, e
    questa parola se l’è portata via il vento. Ancora avvoltoi e
    mufloni, elci e querce, e castagni e fitti boschi, e aquile e
    cuccumei...e fiumi che gli uomini hanno finalmente ammansito.
    Sentiva, Ospitone, parlare dei mangiatori di pane e permetteva
    ai suoi di far rapide scorrerie in quelle pianure, ma,
    quando si fu convertito, invece di chiudere tutt’e due gli occhi
    su quelle imprese, ne chiudeva uno solo.
    Della sua morte non si racconta niente di preciso. Sembra,
    però, che le sue genti non lo considerassero mai morto.
    I più, infatti, continuarono a fare i pastori.
    Nonostante la distanza, questi si consideravano parenti
    di quei di Gallura, soprattutto perché il nome del loro re ricordava
    l’ospitalità di quella contrada che salva l’ospite nel
    nemico mortale. Parenti anche per l’aranciata e per il corbezzolo,
    pasto alle api che danno il miele amaro.
    E sempre, quasi fino a ieri, guardavano ai Campidani, e
    chiamavano gli abitanti mangiatori di grano, e anche maurreddus
    perché si sentivano chiamare gabillus. Cosa che ha
    cominciato a non avere molta importanza, e ne perde di
    giorno in giorno sempre di più come la zanzara, da quando,
    di fronte alla morte, in questa e in altre guerre, scoprirono
    d’essere figli della stessa madre. E anche quelli che lavorano
    sotto terra tali si sentono. Tutto questo un poeta senza lettere
    lo ha cantato in una canzone che comincia così: «Nel nostro
    cuore due terre, due amori ...».


     
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  7. ELCERDEA
     
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    Marinaio buon Marinaio,
    che Dio vi dia vento buono
    avete visto e conosciuto
    il mio amante francese

    L'ho visto e l'ho conosciuto
    so dove si trova in questo giorno
    lo stanno sposando adesso
    con la principessa di ungheria

    so sette anni ora che l'ho aspettato
    altri sette l'apettero'
    e se dentro di altri sette non viene
    mi troverà fatta monaca

    monaca del santo monastero
    che ha il nome di santa clara
    se vi voterete monica
    lui si voterà frate

    lui si farà fraticello
    e vi sorprenderà confessando
    e tacete, voi la bella
    che io sono il vostro amante

    se vi faceste anguilletta
    lui si farà pescatore
    lui si farà pescatore
    e vi acchiapperà pescando

    e tacete voi la bella
    che io sono il vostro amante
    se voi vi faceste rondinella
    lui si farà cacciatore

    lui si farà cacciatore
    e vi afferrerà cacciando
    e tacete voi, voi la bella
    che io sono il vostro amante.

    P.S. Bel testo, ancora molto catalanizzante per motivi che iniziava in quei tempi la fortuna della letteratura algherese in catalunya, quindi erano pressioni editoriali. Ho qualche dubbio su "orinella", comunque a casa ho un dizionario di algherese e controllero...
    nei prossimi giorni vi postero dei testi più moderni
     
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  8. ELCERDEA
     
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    Ragazzi pigliate questo che scrivo come una critica costruttiva:

    oh ma la poesia è poesia, questo purtroppo è un limite che dobbiamo superare, abbiamo il vizio di riservare la letteratura minoritaria alla cosa che è antica, sa cosa de domo, sos ammentos de sa pizzinnia, mentre invece per la nostre lingue è importante dare merito a quella letteratura che le faccia essere anche lingue che ci esprimono nella nostra modernitá... senno veramente rischiano di morire, sopratutto algherese tabarchino gallurese e sassarese... fatemi il favore di poterli postare... grascias meda
     
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  9. suonosardo
     
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    Ninna nanna de Anton'Istene (1)

    Ninna nanna pizzinnu, ninna nanna
    ti leo in coa e canto a duru duru,
    dormi pizzinnu dòrmidi seguru,
    ca su cane ligadu ap'in sa gianna.

    Babbu tuo de penas nd'est pienu,
    cant'est pienu s'òrriu de trigu
    ma tue dormi com'in logu aprigu
    cun cara tunda e animu serenu.

    Si malos bisos faghes in su sonnu
    tue non timas, ne piangas mai,
    cando t'ischidas, t'ischide mammai
    nèndedi contos de nonna e de nonnu.

    Unu caddittu tap'a copmporare
    cun sedda bella e cun frenos de oro;
    des'andare in Gaddura e Logudoro
    e tott'a tie den'invidiare.

    Ti ponz'a coddu soga cun fusile
    e duos canes ti peso pro cazza,
    canes de Fonne, canes de arrazza
    pro ti fagher difesa in su cuile.

    E poi ti regalo elveghes chentu
    e una tanca tottu fiorida,
    una veste de pannu colorida
    e t'accumpanzo fin'a Gennargentu.

    Dae nie des bier custa terra
    sardignola chi amo e des amare
    sas lineas lontanas de su mare
    s'isplendore lughent'e ogni serra.

    Poi ti do una fortuna manna
    pro chi mai in sa vida apas dolore.
    A la cheres? M'iscultet su signore!
    Ninna nanna pizzinnu ninna nanna!

    (1) Anton'Istene - l'ultimo mio nato. In un giorno di grande tristezza così cantai per lui.

    Antioco Casula ( Montanaru )
    Video

    Edited by suonosardo - 8/8/2013, 01:53
     
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  10. ELCERDEA
     
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    bellissimissima
     
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  11. suonosardo
     
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    Ninna nanna piccolino ninna nanna
    ti prendo in grembo e canto a duru duru
    dormi piccolino addormentati tranquillo
    che il cane ho legato dietro la porta.

    Tuo babbo di pene ne è pieno
    com'e pieno il silo di grano
    ma tu dormi ora in luogo ameno
    con la faccina tonda e l'animo sereno.

    Se brutti sogni fai nel sonno
    non aver paura e non pianger mai
    quando ti svegli che ti svegli mamma
    raccontandoti del nonno e della nonna.

    Un cavallino ti voglio comprare
    con una bella sella e con le staffe d'oro
    andrai in Gallura e in Logudoro
    e tutti dovranno a te invidiare.

    Ti metto al collo col laccio un fucile
    e due cani ti allievo per la caccia
    cani di Fonni, cani di razza
    che ti sian di difesa nell'ovile.

    E poi ti regalo di pecore cento
    e una tanca tutta fiorita
    e una veste di panno colorata
    e ti accompagno fin'al Gennargentu.

    Da li devi vedere questa terra
    sarda che amo e che amerai
    le linee lontane del mare
    e lo splendore lucente di ogni altopiano.

    Poi ti do una fortuna grande
    perchè nella vita mai tu abbia dolore
    la vuoi? mi ascolti il signore!
    ninna nanna piccolino ninna nanna.
     
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  12. ELCERDEA
     
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    De amor, de guerra i de poesia

    Jo treball al tzilleri del port
    que la nit es plè de artilleria
    entre un vi i un cafe cantant
    de amor de guerra i de poesia

    la vida mia naix de la marina
    dançant al sol de Maria Pia
    cercant aquell rocò
    entre l'anima sua i la mia

    i l'amor amb el vi cantant
    pareix dolç allò que era margant
    la mateixa tassa de vi
    que beus tu duru duru
    quan cantas duru duru
    amb mi

    i la lluna es matinera
    quan va a jugar amb lo dol
    los soldats venen a beure
    la nit cercant lo sol
    la mia falda es de seda
    als ulls porta confort
    de qui demá en frontera
    o mata o resta mort

    Jo so nada amb a los sons
    de les bombes damunt de casa mia
    i ès la remor dels canons
    la mia primera melodia

    so creixida amb a incursions
    de musica i de policia
    i ara ofreix las cançons mias
    de amor de guerra i de poesia


    Io lavoro al bar del porto
    che a notte è pieno di artiglieria
    tra un vino ed un caffe cantando
    di amore guerra e poesia

    la mia vita nasce dal mare
    danzando al sole di maria pia (spiaggia di alghero)
    cercando quella roccia
    tra la sua anima e la mia

    e l'amore con il vino cantando
    sembra dolce ciò che era amaro
    lo stesso bicchiere di vino
    che bevi tu duru duru
    quando canti duru duru con me

    e la luna è mattutina
    quando giocherá con il dolore
    i soldati vengono a bere
    la notte cercando il sole
    la mia gonnella è di seta
    agli occhi porta conforto
    di chi domani alla frontiera
    o uccide o resta morto

    io sono nata con i suoni
    de le bombe sopra casa mia
    ed è il rumore dei cannoni la
    mia prima melodia

    sono cresciuta con le incursioni
    di musica e di polizia
    ed adesso offro le mie canzoni
    d'amore guerra e poesia

    Antonello colledanchise-2009
    poeta, cantautore algherese, ed amico

    x suonosardo, significativo su foeddu orriu, presente pure il lingua asturiana horreu, dove determina il magazzino dei cereali
    http://es.wikipedia.org/wiki/H%C3%B3rreo

    Edited by ELCERDEA - 7/10/2009, 22:05
     
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  13. ELCERDEA
     
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    Is frores iskidanta
    assoru 'e su mare,
    ruet dae chelu un luttia
    po lis iscuccare,
    si prenan sas chimas
    ca est s'arbeschida

    dia cherrer zocare
    cun is pilus de su chercu
    ca 'iver già no cherzo
    in sas 'iddhas de oe

    Dia cherrer bolare
    po no poder torrare
    mai a tie abbaidende
    chi morres bocchida padente
    po more 'e nuddha.

    Dia cherrer torrai
    nessi po una lisinga
    a tie donai.
     
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  14. ELCERDEA
     
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    Ve la ricordate???




    Est s’ora ‘e s’avreschida,

    su ‘eranu incantadu at sa die

    ei sa zente si movede

    che abba frisca dae montes de nie

    in su riu falat riende.

    Ei su re ballat sa dansa.

    Canta… a cuncordu!

    Canta… s’andira andirò!



    In su mentres s’est bestidu

    su manzanu chin bentu e traschia.

    Ma su nie ladu est frocchende

    ei su re tancat sa janna.

    Canta… a cuncordu!

    Canta… s’andira andirò!



    Pro sa zente mia su disizzu aìa

    de manzanu lughente.

    Custu isettu meu, si lu cheret Deus,

    siat ladinu a sa zente!



    Cando avreschet cominzat

    sa fadiga, siat sole o siat nie,

    ca sa zente non lassat

    s’isperanzia, gherrende onzi die

    in sa vida, colet riende.

    Non prus re, muru né janna.

    Canta… a cuncordu!

    Canta… s’andira andirò!



    Pro sa zente mia su disizzu aìa

    de manzanu lughente.

    Custu isetu meu, si lu cheret Deus,

    siat ladinu a sa zente!

    A sa zente mia luminosa e bia

    su manzanu est naschende.



    A sa zente mia luminosa e bia

    su manzanu est naschende.

    Pro sa zente mia su disizzu aìa

    de manzanu lughente.

    Custu isetu meu, si lu cheret Deus,

    siat ladinu a sa zente!

    A sa zente mia luminosa e bia

    su manzanu est naschende.

    Testi dei Tazenda
     
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  15. SaCraba
     
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    da " Miele Amaro" di Salvatore Cambosu

    A CAVALLO DEL TORO

    Il boaro che, al ritmo lentissimo del suo carro a buoi,
    cantava che per la sua bella avrebbe ripetuto le gesta di Paride,
    e fatto per lei persino il corsaro e addirittura atterrato
    montagne e rupi, non si faceva prendere sul serio. A parte
    che chi ha in animo di passare ai fatti difficilmente lo grida,
    sia pure per le più solitarie strade di campagna, un carro rustico
    non può condurre lontano e con la sua pace finisce col
    dissuadere dalle più epiche imprese.
    Ma tant’è il boaro cantava:

    Si fit a modu de ti nde furare
    comente Paris a s’ermosa Elèna,
    dia andare corsariu in terra anzena
    pro una bella a mi fagher ladrone.
    Tando mi dia ’antare cun rejone
    de tenner un’Elèna in manu mia.
    Bella, pro t’haer sempre in cumpagnia,
    montes e roccas nde dia bettare.
    GIAN PIETRO CUBEDDU (1748-1829)

    Se potessi rapirti / come Paride la bella Elena / me n’andrei
    corsaro fuori dell’isola / a fare il ladrone per una bella: / allora
    sì, mi potrei vantare / di avere un’Elena nelle mie mani.
    / Bella, per averti sempre accanto / montagne e rupi le atterrerei…

    A un tratto il boaro, alla vista d’una chiesetta di campagna,
    abbandonò l’impresa e passò dagli endecasillabi ai settenari.
    I buoi affrettarono il passo.

    A Santu Bacchis ando
    a caddu cun su boe:
    già mi cheria hoe
    comente fia tando...

    Vado alla festa di San Bacchisio / a cavallo del bue: / vorrei
    essere oggi / come ero allora.

    Anche in questo caso il boaro, pur esprimendo un suo
    sincero segreto rimpianto del tempo felice, non si rendeva
    conto che quell’usanza era ormai tramontata: un sardo che è
    uomo, da quando i Cartaginesi hanno importato il cavallo
    nell’isola, preferirebbe fare la strada a piedi per qualsiasi distanza,
    piuttosto che cavalcare un toro.
    Salvo non si dia il caso d’un voto, d’una promessa sacra
    per grazia ricevuta. Allora anche un barbuto può imbrancarsi
    coi ragazzetti, i quali, pur di cavalcare, non vanno per il
    sottile: cominciano dalle canne e dalle ferule, passano sul
    dorso degli asinelli e poi su quello dei cavalli, e infine, purché
    sia festa grande, specialmente per Sant’Isidoro che era
    un contadino che si rimboccava le maniche, persino sui
    buoi. I buoi con le arance infisse sulla punta delle corna, al
    collo uno scialle di seta violetta e corruscanti specchietti in
    fronte, coi cavalieri bambini che si voltano a guardare il santo
    agitando croci di pervinca...
    Se è vero che gli antenati, in occasione di certe feste rustiche,
    lasciano le loro sedi e vi partecipano invisibili, essi si
    saranno tante volte compiaciuti che almeno i bambini siano
    rimasti fedeli alle loro usanze, a certe loro usanze almeno,
    come quella del cavalcare il toro, l’animale che essi un giorno
    adorarono. La loro divinità sotterranea aveva l’aspetto di
    toro. L’elmo di talune statuette di bronzo sovrumane - quattro
    occhi, quattro braccia - è decorato d’ampie corna. Anche
    gli elmi di molte statuette di guerrieri atteggiati a rigidità devota,
    sono ornati di corna; le ampie corna taurine, segni caratteristici
    del dio eponimo che chiamavano padre, erano
    portate da loro nell’abito di guerra. Sacro animale, il toro,
    anche presso i popoli dell’Egeo e presso quelli di Babilonia
    e dell’Egitto e dell’Asia minore e dei Persiani e degli antichi
    Indiani: la vittima per eccellenza...
    Che Dio lo protegga e difenda e salvi dalla morte improvvisa e dalla gente senza legge.

    Molti e molti anni prima, alcuni millenni prima, un suo antenato nuragico,
    a cavallo d’un toro anche lui, ringraziava la divinità con la stessa
    cavalcatura.
    image
     
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137 replies since 29/9/2009, 18:19   15912 views
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