Il Grande Popolo Megalitico

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  1. marcomer80
     
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    http://sly75.blog.tiscali.it/bp2403767/
    ho visto questo e l'ho messo nei preferiti. a poco a poco sto leggendo gli articoli, interessantissimi :salute:
    mi sembrava pertinente il discorso del libro sulla civiltà scomparsa di uriel perchè pur non nominando la sardegna parla di contatti antichissimi fra zone impensabili.

    grazie di tutto
     
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    STUDIOSO DEI POPOLI DEL MARE

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    Il libro "la civiltà scomparsa di Uriel" di Knight e Lomas si ispira al Libro di Enoch... dove la SARDINIA è menzionata Proprio in un viaggio che Enoch fa in una terra d'occidente, trasportato da Uriel... in questa terra vi era "UNA TORRE DI GRANITO, con dentro quattro cellette: tre scure e una luminosa... " chi ha visto un nuraghe all'interno?... :o:
    SHAR :devil:
     
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  3. anticheterre
     
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    cercherò questo libro in biblioteca...mi interessa molto ^_^

    Grazie a tutti e due di cuore!!!

    a presto, Sly :P
     
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  4. marcomer80
     
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    grande leo ;)
    dal libro in questione ho appreso una cosa curiosa...i reali della casa d'inghilterra si circoncidono..per tradizione.... tradizione propria degli ebrei..e dei shardana giusto?
    qualche arcano legame c'è? o sono coincidenze? la "pietra del destino" dice provenga da israele...dice che i re supremi d'irlanda sposarono principesse ebraiche.. qualche legame ci dovrà pur essere(?)
    sly, è l'unico libro che ho letto sull'argomento e mi è piaciuto molto, soprattutto la parte sulla matematica megalitica.
    degli stessi autori ho letto la chiave di hiram che si propone di ricercare le origini della massoneria e di hiram abif, individuandolo un faraone egiziano a cui gli hyksos volevano carpire i segreti cerimoniali di incoronazione per avere oltre che il potere politico anche quello spirituale.
    conclusioni diverse dalle sue leo, che ne pensa? lei dice che è un danita e nel mio piccolo sono più d'accordo con questa ipotesi (quella del faraone egizio è basata sul ritrovamento di una mummia che presenta gli stessi traumi subiti da h.a. secondo il mito massonico..bae e chirca chie fidi cussa mummia..!)
    sono un pò stanco ...forse ho fatto un pò di confusione con gli argomenti!
    ho preso l'ultimo numero di archeomisteri, c'è un articolo interessante su atlantide e parla anche dei popoli del mare, lo avete visto per caso?nell'altro numero parlava di mura ciclopiche attribuite ai pelasgi (popoli del mare, giusto) (almeno questo un pò di megalitismo sa .. :D ) e di strane teste con strane incisioni...boh..
    c'è da arrovellarsi il cervello
    mi sa che mi sono dilungato troppo..!!!
    se non passo prima, passate delle buone feste :salute:
     
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    Marco non meravigliarti se quanto affermato nel libro citato SEMBRA dico SEMBRA discostare da quanto io scrivo... sono interpretazioni diverse della stessa cosa. Il sapere di HIRAM in DANita gli veniva attraverso Ooliab di DAN (il copstruttore dell'ARCA), ma Ooliab veniva dall'Egitto, insieme al suo maestro Mose. E Mose dall'Egitto portò il SAPERE degli antichi PdM , "le Ossa di Juseppe"... che ossa non potevano essere, perchè la Mummia di Juseppe è stata ritrovata ancora in egitto (1905) ed è una mummia con i CPAELLI BIONDO-FULVO, quasi rossi... come gli Irlandesi appunto... i Tuatha de DANA. Mose era un seguace convinto e sacerdote di ATON, come AMENOPHE IV - AKENATON... i legami erano quelli... poi qualcuno li interpreta in modi diversi... per "ignoranza" cioè perchè non conosce i SHARDANA e non può immaginare che BABAI HIRAM shardana era! (DANita di Tiro). Puoi citare di più su archeomisteri? :rolleyes:
    grazie. Leo :devil:
     
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  6. marcomer80
     
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    si, così mi è più chiaro, l'egitto c'entra - però in quel libro (come nella stragrande maggioranza) non danno la giusta rilevanza ai PdM - anzi non li citano per niente -
    allora, in effetti anche se non dicono la parolina magica shardana :vandal: e popoli del mare siete meno lontani di quello che sembrerebbe in una prima lettura.
    adesso magari dico una cosa che non c'entra niente....mio padre mi ha sempre detto che in tempi antichi i sardi erano alti, con i capelli rossi e lentigginosi, simili quindi agli irlandesi ed in effetti nella sua famiglia c'erano diverse persone con queste caratteristiche. risulta, o sono solo credenze infondate?
    archeomisteri l'ho scoperto da poco, il mio edicolante lo tiene sotto una catasta di altri giornali....
    l'articolo parla di antichi linguaggi berberi e libici, di un'atlantide posizionata tra la tunisia e la sicilia e in un paragrafo anche dei popoli del mare.
    nel numero precedente parlava di mura ciclopiche in calabria e di strani ritrovamenti attribuiti ai pelasgi.
    si lu potto faghere..lu potto finzas copiare tottu innoghe...si bos interessedada e non bos offendides
     
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    Copia pure l'articolo di archeomisteri e postacelo... :B):
    Uomini alti e con i capelli biondo fulvo 8eosso irlanda) in sardinia... si, nei paesi dell'interno vi erano diversi casi... io personalemte conoscevo parecchie persone di orune, ozieri... anche un mio compagno di scuola di orgosolo... per quanto riguarda l'altezza... in uno dei libri di Christia Jaques su ramessu II figura un gigantesco Shardana guardia del corpo del faraone, che sovrastava il faraone stesso di 10-20 cm. Ramessu si sa che era di statura fuori dal normale... un gigante... :o: Quindi... Fu l'isolamento sopravenuto con la dismissione della flotta dei shardana e l'isolamento successivo alla disfatta delle città della costa a opera dei romani, a creare queste condizioni (non vi era più scambio di sangue con altri popoli, i matrimoni avvenivano tra parenti stretti... ecc... ora i sardi stanno .... tornando alla normalità... i nostri fligli... :B):
    saluti e auguri shardanici. :salute:
    Shar :devil:
     
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  8. marcomer80
     
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    bene meda :)
    dopo pranzo salvo impedimenti copio l'articolo del numero precedente (sui pelasgi) e l'ultimo che parla di atlantide etc.
    ci metto anche le foto.
    provate a visitare questo sito:
    https://digilander.libero.it/marcoguidocorsini/
    non ho ancora letto gli articoli ma dai titoli sembrano interessanti
     
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  9. marcomer80
     
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    MARINAI LIBICI E PUNICI ALLA CONQUISTA DEGLI OCEANI
    CARTAGINE E CIRENE RACCOLSERO L’EREDITA’ MARINARA DI ATLANTIDE
    Di Alberto Arecchi

    Nel 1558 l’Abate di Bellozane, Jacques Amyot (1513-1593), amico di Francesco I e consigliere di diversi re di Francia, ritrovò nella biblioteca d’un monastero italiano untesto di Plutarco (ca. 50-120 d.C.) ritenuto perduto, e ne pubblicò la versione in francese.Amyot fu un celebre umanista e tradusse sette libri di Diodoro Siculo, Dafne e Chloe di Longo, le opere morali di Plutarco, le opere di Eliodoro.Qualche anno dopo fu nominato vescovo d’Auxerre, ma questa traduzione di Plutarco l’appassionò sopra ogni cosa.
    Con le biografie di uomini illustri della Grecia e di Roma, l’opera di Plutarco comprendeva alcune opere scientifiche e letterarie.Tra queste un dialogo che ispirò varie scene del teatro shakespeariano, in cui l’autore narra d’aver ritrovato tra le rovine di Cartagine un antico manoscritto, nel quale si parlava di viaggi al di là dell’oceano (quello che oggi chiamiamo Oceano Atlantico).L’antica e gloriosa città marinara di Cartagine (QART-hadash significa “città nuova”, come il greco Neapolis) era stata fondata, secondo la tradizione, nell’814 d.C. da un gruppo di Tiri guidato dalla regina Elyssa-Didone, e rasa al suolo da Scipione l’Emiliano nel 146 a.C., due secoli prima di Plutarco.Le sue rovine erano state cosparse di sale, come augurio simbolico di eterna sterilità, mentre a breve distanza veniva costruita una nuova “Cartagine” romana.

    L’ISOLA OGYGIA E LE TERRE AL DI LA’ DELL’OCEANO.

    Ecco il brano in cui Plutarco parla del viaggio “Omero dice che lungi nel mare giace un’isola, Ogygia, a cinque giorni di navigazione dalla Britannia in direzione d’Occidente.Più in là si trovano altre isole, equidistanti tra loro, da questa in linea con il tramonto estivo.
    In una di esse, secondo il racconto degli indigeni, si trova Crono imprigionato da Zeus e accanto a lui risiede l’antico Briareo, guardiano delle isole e del mare chiamato Cronio. Il gran continente che circonda l’Oceano dista da Ogygia circa 5000 stadi, un po’ meno delle altre isole; vi si giunge navigando a remi con una traversata resa lenta dal fango scaricato dai fiumi.Questi sgorgano dalla massa continentale e con le loro alluvioni riempiono a tal punto il mare di terriccio, da aver fatto credere che fosse ghiacciato”.
    Il Prof. Barry Fell interpreta il senso del racconto di Plutarco come segue:
    “Se salperete dalla Britannia, passerete per tre gruppi di isole che giacciono verso nord-ovest, nella direzione del tramonto estivo.Esssi sono equidistanti l’uno dall’altro, e distano ugualmente dall’isola chiamata Ogygia, che si trova nel cuore dell’oceano, a cinque giornate di navigazione dalla Britannia.Si tratta di una descrizione abbastanza accurata delle distanze che intercorrono tra le isole Orcadi, le Shetland e le Faer Oer, ed infine l’Islanda, chiamata Ogygia, che si trova alla distanza indicata, se si tiene conto che una nave percorreva da 100 a 125 miglia al giorno.
    Plutarco prosegue: se viaggerete verso ovest per altri 5000 stadi (ossia 500 miglia), raggiungerete la costa settentrionale d’un continente (che egli chiama Epeiros, Epiro), al bordo del grande oceano (la Groenlandia meridionale si trova alla distanza e nella direzione indicate).Quindi-egli aggiunge-se navigherete lungo quella costa verso sud, attraverserete un mare ghiacciato e raggiungerete una terra in cui i Greci si sono stabiliti e si sono sposati con “barbare autoctone”.Inoltre afferma che gli insediamenti greci si trovano presso una baia, alla stessa latitudine del Mar Caspio.
    Il mare ghiacciato era qualcosa d’incredibile per Plutarco, che pensò dovesse trattarsi di un’antica e confusa indicazione, per indicare forse un mare fangoso.Ebbene, la parte meridionale dello Stretto di Davis, tra il Labrador e la Groenlandia, si trasforma in un’impenetrabile massa di ghiacci galleggianti proprio durante l’estate, quando è possibile percorrere questa rotta, come Jorg Lechler ha ben indicato nelle sue analisi sulle rotte vichinghe.
    Quanto alla terra raggiunta dai Greci, ove si sposarono con barbare autoctone, il New England il New Brunswick e la Nova Scotia si trovano nella posizione indicata da Plutarco, ossia la latitudine del Mar Caspio.Berry Fell suppone che quei marinai di lingua greca fossero originari del Nord Africa e giungessero in America con flotte cartaginesi, da Cirene e da Tolemaide, nei secoli IV-III a.C.
    Diodoro Siculo, nel primo secolo a.C., scrisse; “I Fenici in epoca molto antica furono spinti dalla violenza del vento al di là delle colonne d’Ercole, fuori dall’Oceano aperto.Ad ovest dell’Africa, a molti giorni di navigazione da quel continente, scoprirono un’isola enorme, fertile e ben irrigata da fiumi navigabili. La scoperta fu presto nota ai Cartaginesi che vivevano in Africa ed ai Tirreni dell’Italia. I cartaginesi allora intrapresero un viaggio verso quelle nuove terre, e dopo un’invasione di Mori e di Tiri si lanciarono al di là delle colonne, oltre Cadice, sino a raggiungere quella regione, in cui si stabilirono.La politica ufficiale di Cartagine obbligò però ad abbandonare quella colonia e fu emanata una stretta proibizione, che impediva a tutti i cittadini d’intraprendere nuovamente tale viaggio, dichiarato fuorilegge”.
    I ritrovamenti avvenuti in America, a partire dal 1976, di monete ed oggetti provenienti da Cartagine, hanno fornito una tale stupefacente conferma degli scritti di Plutarco da convincere il Prof. Barry Fell e tutto il gruppo degli studiosi “diffusionisti” che i racconti di Diodoro Siculo e di Plutarco si basassero veramente su antichi scritti, ritrovati tra le rovine di Cartagine.
    All’epoca di Plutarco si sapeva da tempo che il mondo era un globo; le linee di latitudine e di longitudine erano state adottate sin sal sec. III a.C., all’epoca del matematico, geografo ed astronomo Erastotene. Talvolta però riusciamo a dimenticare quanto fossero progredite le idee dei nostri antenati e quanto essi conoscessero riguardo alla Terra, all’astronomia ed alla navigazione.
    Poiché sembra che i Greci dell’Europa abbiano lasciato poco o nulla sull’argomento affrontato da Plutarco, mentre i Greci del nord Africa intrapresero il cammino della scienza che condusse a scoprire che la terra è sferica, e quindi ne intrapresero la mappatura,è logico dedurne che i Greci dell’Epiro d’America, citati da Plutarco, se mai esistessero, provenissero dal nord Africa.Barry Fell crede si trattasse d’una popolazione mista di libici e berberi, ricca di tradizioni marinare, che parlava un dialetto greco con forti influssi del vocabolario nordafricano. Lo storico Polibio (200-118 a.C.), che visitò il Nordafrica nel sec. II a.C., considerava i greci nordafricani come un popolo considerevolmente diverso dai Greci della Grecia.Si chiamavano Greci ma-scrive Polibi- erano di pelle olivastra e rappresentavano una fusione tra i Greci ed i Nordafricani.Erano, di fatto, Libici, un popolo fortemente legato al mare.La costa Mediterranea dell’Africa, da Cirene ad est, con la sua Pentacoli, alla Tripolidella Sirte, verso ovest, sino alle Colonne d’Ercole di Gibilterra, ospitava già allora un intreccio di sangue berbero con elementi camitici, semitici ed indo-europei.Le loro navi navigavano in alto mare e attraversavano gli oceani.I diffusionisti sono convinti d’avere trovato tracce tangibili in America e nel Pacifico.

    LA DIFFUSIONE DELLE LINGUE.

    Il lessicografo Dr. Silas Rand, autore del dizionario dei Micmac, dopo un lungo lavoro sul campo, identificò molte radici derivate dall’antico greco nei vocaboli in uso presso quella popolazione algonchina, che vive nell’estuario del fiume San Lorenzo. Rand pensò che ciò indicasse un’antica relazione tra quel popolo del nord-est americano e popolazioni che parlavano greco, o un’idioma simile. Egli era convinto che i dialetti autoctoni della Nova Scotia e del Maine presentassero derivazioni da qualche fonte indo-europea.Si trovano in questi linguaggi termini tecnici, che potrebbero essere stati introdotti nelle espressioni degli Algonchini proprio da quei marinai greci che-secondo Plutarco-arrivarono sino a qui e si accasarono.
    Nel libro Saga America (1980) Barry Fell aggiusta il tiro, rispetto alle elaborazioni del precedente America B.C. (1976), e si avvicina molto alle mie ipotesi sull’Atlantide mediterranea (pur senza trattare il tema di Atlantide).Forte di un importante periodo trascorso in Libia come visiting professor, a contatto diretto con esperti delle lingue araba e berbera, Fell intuisce l’importanza che la scrittura e le lingue libico-berbere dovettero ricoprire nella diffusione della cultura e dei commerci per via marittima, in un’antichità remota. La scrittura degli Algonchini Micmac, in caratteri ideografici, nel secondo libro non è più attribuita all’influsso di viaggiatori egizi, ma libici orientali. Segni come quelli dei Micmac si trovano in un’iscrizione bilingue d’un re libico del sec. II a.C.”Gli studi più recenti hanno condotto alla conclusione che il contatto dei Micmac non avvenisse con persone che scrivevano in antico egizio, ma piuttosto con libici orientali, delle zone di confine tra l’Egitto e la Libia.La regione era anticamente abitata dalle tribù degli Adramachidi, i quali-secondo Erodono-avevano adottato modi di vita egiziani.Erodoto ricorda che i Libici dell’Oasi si Siwa parlavano un miscuglio di fenicio e di egiziano.
    Tra il 1827 ed il 1840, il missionario metodista James Evans, che operava tra le tribù canadesi, apprese e sviluppò i loro sistemi di scrittura, per usarli in tipografia. Egli visse in particolare presso i Cree d’Occidente, un gruppo algonchino insediato tra l’Ontario e le Canadian Rockies.Anch’essi, come i Micmac, prendevano appunti scritti su cortecce di betulla.La forma di scrittura da loro impiegata è stata messa in relazione da Fell con l’antica lingua iberica.

    IL PRESIDENTE THOMAS JEFFERSON.

    Fell pone in evidenza la figura del Presidente Thomas Jefferson(1743-1826).Uomo di cultura, mosso da grandi curiosità per la storia e l’archeologia, interruppe i propri studi durante due mandati presidenziali.Sotto la sua presidenza, gli Stati Uniti intervennero nel Mediterraneo, in due campagne navali contro la pirateria barbaresca (1801-1815).In quel periodo gli Usa aprivano uffici consolari in Nord Africa.
    Nel 1823 William Shaker, console degli Usa ad Algeri (allora capitale d’un regno vassallo dell’Impero Ottomano), sottopose all’American Philosophical Society i primi appunti sulla lingua berbera.Secondo Fell, Jeffers ormai vecchio, comprese la grande importanza di quella lingua,e di
    Quel popolo per la storia americana,La maggior parte dei suoi appunti personali, però, a causa d’un furto durante un trasporto, finì distrutta nelle acque del James River.
    Gli studi sulla lingua berbera furono sviluppati dal francese Edmè Francois Jomard (1777-1862), segretario della commissione scientifica egiziana, che nel 1845 pubblicò il primo studio sulla lingua libico-berbera in francese.
    Gli alfabeti individuati erano di due tipi:il tifinagh, più recente, tramandato in particolare dalle donne tuareg ed usato per le lingue berbere tuttora vive, ed il libico (o numidico), più antico, antenato del fenicio, che si ritrova in tutta la regione settentrionale dell’Africa dal Sudan al Marocco, ma anche su alcuni dolmen spagnoli e nelle isole Canarie.Inoltre, come abbiamo visto in precedenti articoli, è stato identificato da Fell in graffiti rupestri, nelle isole del Pacifico ed in varie località del continente americano.
    Abbiamo trattato in un precedente articolo la “Leggenda di Rata e Maui”, i due personaggi mitici che sono ricordati in tutto il Pacifico come i sovrumani “fondatori primigeni” d’ogni civiltà.Nel libro America B.C. e din altri sui studi, Barry Fell pensa che tali nomi fossero quelli del capitano e del navigatore d’una flotta, inviata a circumnavigare il mondo dal re alessandrino Tolomeo III nel sec. III a.C..Nel suo secondo libro Saga America, Fell riconosce che il termine mawi (in arabo:”l’uomo dell’acqua”) è tuttora usato in Egitto per indicare un navigatore, tuttavia continua a propendere per l’ipotesi che il nome MAui, inciso sulle rocce in varie parti dell’America e diffuso nelle leggende in tutta l’area del Pacifico, indichi un unico personaggio, mentre-secondo le nostre ipotesi-si può trattare solamente di tracce diverse, lasciate nel tempo da diversi navigatori provenienti dal Nord Africa.
    Fell partì in un primo momento dall’ipotesi che la comune origine camitica rendesse la lingua libica simile ad un dialetto dell’antico egizio.Ciò non l’aiutò però a decifrare tutte le iscrizioni,Le scoperte successive, egli afferma “apparvero molto interessanti alle università ella Libia e del mondo arabo, e gettarono una luce totalmente nuova sulle terre a sud del Mediterraneo e dei loro rapporti con il mondo arabo e con le Americhe.
    Inoltre Fell individuò possibili relazioni tra l’antica lingua libica e le lingue della Polinesia,”Fu presto evidente l’esistenza di tali connessioni, e sin dal 1975 diversi studiosi (lo svizzero Prof. Linus Brunner, il neozelandese Dr. Reuel Lochore ed io) abbiamo contribuito all’etimologia della lingua polinesiana, sulla base di studi delle lingue semitiche e del nord Africa.
    Chi erano quegli antichi libici? Chi furono i loro predecessori, e come giunsero alle coste del Nordafrica? Barry Fell non poteva saperlo, ma l’abbiamo accertato nopi con le nostre ricerche su Atlantide. Ciò che Fell non poteva chiarire era l’esistenza di un potente regno o impero, commercialmente evoluto, che doveva per forza reggere imprese transoceaniche di tale importanza.
    In un primo momento, la ricerca di tale struttura organizzata lo spinse a pensare al regno tardo-egizio dei Tolomei.In seguito, rinunciò a formulare ipotesi.
    L’unica possibile realtà statale, capace di lanciare spedizioni attraverso i mari,la cui lingua fosse quella libico-berbera, appare essere quella dell’Atlantide, come da me è stata formulata.

    I POPOLI D’ATLANTIDE.

    Comunemente si riteine che l’espansione araba nel Maghreb, nel sec. VII d.C., abbia “colonizzato” popolazioni etnicamente molto diverse.Fell è tato indotto ad una radicale revisione etnico-linguistica dalla scoperta d’espressioni della lingua araba in un testo numidico (la tomba d’un legionario romano, nell’attuale Marocco).Egli sottolinea anche il termine arabo benian , per indicare un edificio, identificato nell’iscrizione dedicatoria d’un tempio alla memoria di Massinissa, del 139 a.C..Ciò non indica una presenza di Arabi ante litteram, ma mostra che termini linguistici d’origine semitica erano usati in Nord Africa 800 anni prima dell’arrivo degli eserciti arabi (la cosa non è certo stupefacente, se si pensa alla forte presenza fenicia e punica su quelle coste). D’ altra parte Sallustio, nel sec. I a.C., affermava che i libici discendevano da un popolo dell’Asia Minore e che parlavano una lingua imile a quella di fenici. Lo storico greco Procopio, vissuto nl sec. VI d.C., afferma che i marocchini discendono dai Cananei, e che i loro antenati si allontanassero dalla Fenicia all’epoca delle guerre del Re David. Simili racconti sono tramandati da storici arabi, come El Bekri, Una lunga tradizione di linguaggi arabo-semitici del nord africa si può d’altra parte identificare facilmente nei toponimi delle aree d’influenza fenicia e cartaginese. Ventimila anni prima della nostra era, durante il periodo che chiamiamo Magdaleniano, una cultura di cacciatori si sviluppò in Nord Africa, simile a quelle della Spagna e della Francia.I ricordi della loro vita sono rimasti impressi a colori nelle rocce, con immagini d’elefanti, rinoceronti, ippopotami, giraffe e coccodrilli. Fu la cosiddetta “fase pastorale”.
    La zona era fertile, al centro si trovava un ampio bacino d’acqua dolce, come un mare, che raccoglieva le acque d’un vasto bacino, pluviale, dall’attuale massiccio degli Aures a nord, a sud sino ai massicci del Tassili e dell’Ahaggar, dal quale scendeva, come un secondo Nilo, il fiume che oggi ha il nome di Wed Igharghar.Le sue acque, aloro volta, alimentavano un emissario che scendeva verso est, al Mediterraneo: un fiume perenne, che irrigava le terre della vasta pianura.
    Non si può dubitare che in quella conca esistesse anticamente un vasto mare, sin da quando l’ing. Edmond Fuchs, nel 1874, nel corso di una proiezione geologica insieme a De Lesseps, intesa a studiare il progetto di allagare nuovamente la regione degli Chott, riconobbe un’antica spiaggia marina, ad una quota di 12-15 m sul livello attuale del mare, contenente specie che sono ancora viventi nel Mediterraneo, tra Sfax e Scusse.
    La gran distesa d’acqua dolce aveva una forma arrotondata, con una superficie di oltre 280.000 km quadrati, paragonabile per estensione alla penisola italiana.Nel fondo del suo bacino c’è oggi un gran sedimento di sabbia, il Grand Erg orientale (Igharghar): uno dei deserti sabbiosi più estesi del mondo.
    A sud-ovest, ad un adistanza di altri 500 km, si ergeva verso il cielo il grande massiccio roccioso dell’Atlante.Abbiamo già notato che con questo nome Erodono indicava il massiccio montano oggi noto con il nome berbero di Ahaggar, “nobile”.
    Ricorriamo alla descrizione offertane da Erodono: “E’ stretto e circolare da ogni parte ed alto-a quanto si dice- tanto che le sue vette non si possono scorgere:giammai infatti le abbandonano le nubi, ne d’estate ne d’inverno. Gli indigeni dicono che sia una colonna della volta celeste”.

    Le cime più elevate di quel massiccio, nell’Atakor, sono a quasi 2800 m sul livello medio delle acque dell’Oceano.Racconta Erodono che “daqul monte gli abitanti del paese hanno tratto il nome, si chiamano infatti Atlanti.Si dice che essi non si nutrano di alcun essere animato e che non abbiano sogni”.
    Due percorsi conducono dalle sponde del Mediterraneo verso le montagne dell’Ahaggar, e corrono l’uno lungo la sponda ovest dell’antico Mare dei Giardini (è la strada che conduce alle oasi di El Golèa e di Ghardaia”alti luoghi” del turismo sahariano, i cui wed-quando portano acqua-puntano ancora in direzione del grande mare disseccato), l’altro lungo la sua sponda orientale, ed è la grande “strada dei carri”, cosparsa di dipinti e graffiti rupestri, descritta nelle sue tappe e oasi dal racconto di Erodono, percorsa a suo tempo anche dalle truppe romane che penetrarono l’africa sino al bacino del Niger.Il fondo disseccato di quel grande mare è occupato oggi da un impenetrabile deserto di sabbia.
    In quella regione viveva un popolo libico o “pre-libico”, prospero per agricoltura e commerci, dotato di una propria struttura di “stati confederati” in una sorta d’impero.Quegli uomini erano grandi costruttori e grandi navigatori e usavano una scrittura, presumibilmente simile a quella libico-berbera.

    Fu Paltone, nei dialoghi Crizia e Timeo, a coniare il termine Atlantòi. Diversi popoli erano loro confederati o vassalli (e se ne ritrovano taluni nell’elenco dei Popoli del Mare, che sciamarono verso l’Egitto, dopo la catastrofe finale). Nei geroglifici egiziani, gli uomini del popolo libico “scomparso” erano chiamati Tjehenu (un termine di cui i primi Greci trassero il termine “Titani”) e Tiemehu si chiamava l’altro popolo a loro maggiormente vicino.L’iscrizioe di Ramses III, a Medinet Habu, dice che essi “furono distrutti nelle loro isole…la forza di Nun (il Diluvio) irruppe abbattendosi in una grande ondata su città e villaggi..La Sacra Terra (Ta Nether) delle loro città è finita sotto il mare e non esiste più”.
    Così scomparvero, poco prima dell’invasione dei Popoli del Mare.Secondo gli indizi offerti dai vari autori dell’epoca classica, il popolo dei Tjehenu-Atlantòi dovette raggiungere le coste del Mediterraneo dalla grande montagna dell’interno, detta Atlante, al di là del mare “sospeso”, con una migrazione di oltre 2000 km.Verso il 3000 a.C., i Tjehenu costruivano fortezze nuragiche con grandi blocchi di pietra e vivevano in costante confronto con l’impero dei Faraoni, in quel lungo confronto che è stato chiamato “guerra del bronzo” le miniere di rame nativo a cielo aperto (orei-chalkos, ossia “rame di montagna”) si trivavano (e si trovano tuttora) sulle colline alle spalle della pianura d’Atlantide, ma una grande innovazione tecnologica fiu costituita dall’uso del bronzo, lega tra rame e stagno, con migliori caratteristiche di durezza e resistenza.Ciò comportava l’approvvigionamento dello stagno, che non esiste in Africa.Gli egizi se lo procuravano ad oriente, verso l’Anatolia ed il Caucaso, mentre i Tjehenu andavano ad approvvigionarsi nella penisola Iberica e nelle isole britanniche (e più tardi in America, secondo le ipotesi di Fell e dei diffusionisti). I Garamanti, il cui nome è conservato in quello della loro capitale Derma (antica Garama), erano guerrieri e cacciatori, abili nel condurre i carri a cavalli, che vivevano nella parte ovest dell’attuale Libia. La “fase dei cavalli” corrisponde al periodo finale della vita di Atlantide e termina intorno al 1200 a.C., quando la grande pianura che si trovava di fronte alla Piccola Sirte, tra la Tunisia e la Sicilia, fu travolta dalle acque dolci del lago interno e poi sommersa da quelle salate dell’Oceano, e i Popoli del AMre, loggiati da tutti i porti del Mediterraneo Orientale, sciamarono verso il Delta del Nilo. Tra di loro erano gli Shardana (o Sherden), che indossavano copricapo piumati ed erano armati con lunghe spade e scudi rotondi. Un guerriero dallo stesso aspetto è stato individuato in un petroglifo presso Veronal, nello Utah.

    I POPOLI DEL MARE E L’EGITTO FARAONICO.

    Nei resoconti di Karnak e di Athribis, il faraone Meneptah (1236-1223 a.C.) dichiara di aver riportato una grande vittoria in Libia nel suo quinto anno di regno (1232 a.C.) contro un esercito di Libici e di Meshwesh (i “Maxyes” d’età più tarda), appoggiati da un’alleanza di forze marittime del settentrione. I loro nomi sono resi nella forma Ikwsh (vocalizzata variamente in Akawasha, Akaiwasha o Ekwesh), Trsh (Teresh o Tursha), Lk (Lukku o Lukka), Shrdn (Sherden o Shardana), Shkrsh (Sheklesh o Shakalasha).Raffigurazioni di questi popoli si possono vedere in numerose scene di trionfo egizio e questo aiuta ad identificarli. Gli Sherden, noti nei testi egiziani come mercenari sin dal tempo di Amenophis III, sono rappresentati, nei rilievi egizi, privi di barba e con un elmetto molto caratteristico, talvolta fornito di un soggolo, con grosso pomolo o disco alla sommità e ornato con enormi corna taurine sporgenti. Impugnano uno scudo rotondo ed una grande spada a doppio filo di tipo caratteristico, adatta sia per menar fendenti che per colpire di punta. Un esemplare unico, ora al British Museum, venne ritrovato nel 1911 a Beit Dàgàn, villaggio palestinese vicino a quel centro che una volta si chiamava Giaffa (non a Gaza, come spesso si dice per errore). Gli Sherden sono stati identificati, in maniera molto plausibile, con quella popolazione di bronzieri che ha eretto in Sardegna le torri di pietra o nuraghi; si tratta di un gruppo etnico le cui notevolissime statuette bronzee rappresentano spesso guerrieri armati di scudi rotondi e con elmetti che assomigliano al tipo degli Sherden, senza per altro il pomolo o disco all’apice, che degli Sherden è tipico. Un altro elemento di contatto tra la Corsica e gli herden si desume dalle recenti osservazioni di R.Grosjean, il quale ha mostrato che le pietre tombali a guisa di menhir, che ancora si elevano in Corsica raffigurano guerrieri con corsetti e fasce, pugnali ed elmetti che una volta erano ornati da corna inserite separatamente entro fori nelle pietre e ora da tempo scomparse. E’ più che verosimile che gli Sherden fossero marinai e pirati; questo si accroda bene con il fatto che i costruttori dei nuraghes comparvero improvvisamente in Sardegna intorno al periodo tra il 1400 e il 1200 a.C., ma mancano indicazioni circa la loro regione di provenienza.L’esercito egiziano di Ramses II era armato con archi e frecce, come si vede nel monumento celebrativo di Medinet Habu, che raffigura la grande battaglia contro i Popoli del AMre (ca. 1194 a.C.).Gli sconfitti furono dispersi ed andarono a popolare la Sardegna, la Sicilia, la Palestina. Gruppi di Shardana furono arruolati come mercenari nell’esercito egiziano, in un periodo di decadenza, nel corso della XXI dinastia. Ci fu un momento in cui i re libici sopraffecero i faraoni Egizi.
    Quando fu compiuta la prima traversata del Pacifico – scrive Barry Fell – una regina libica andò in sposa al faraone. Verso il 950 a.C. un capo Shardana di nome Shishonq si ribellò e prese il potere, installandosi come faraone nella città di Bubastis.
    Egli unificò i regni d’Egitto e di Libia sotto la XXII dinastia detta anche “Dinastia Libica”.L’Egitto divenne in quel periodo una potenza marinara.In Spagna si trovano vasi d’alabastro che recano il cartiglio col nome di Sishonq e degli altri faraoni libici, Il mome di Shishonq appare anche in iscrizioni trovate in America, ma non si sa se tali memorie fossero contemporanee a lui o citazioni d’epoche posteriori. Gli Shardana e gli altri Popoli del AMre sono raffigurati sui monumenti egiziani come guerrieri di pelle chiar, simili ai Greci ed agli Ittit. I monarchi Libici furono espulsi dagli egiziani verso il 750 a. C..In quel periodo, colonie di commercianti fenici si erano stabilite lungo la costa nordafricana, in particolare a Cartagine, a Leptis (poi chiamata Leptis Magna), ad Oea (l’attuale Tripoli) e nel sito che i Greci avrebbero poi chiamato Cirene, presso l’attuale Benghasi. Queste città si resero in seguito indipendenti dai Fenici del Libano.Verso il 650 a.C., una colonia di Spartani si stabilì sulla costa africana e fondò la città di Cirene.L’influsso greco si diffuse sulla regione circostante.Nella regione intermedia tra la Libia e l’ Egitto, che comprende l’oasi di Siwa (Ammonia), s’installarono popolazioni di costumi misti Fenici ed Egizi, la più importante delle quali si chiamava Adrimachidi.Nel periodo alessandrino, sotto il regno dei Tolomei, la Libia fornì un gran numero di sapienti e di scienziati alla corte d’Alessandria.

    MONETE ED ISCRIZIONI IBERICHE E LIBICHE IN AMERICA.

    Nell’anno 1880 fu scoperto nell’Ohio un gran numero di pietre e di oggetti in terracotta rotondi, di forma particolare, con iscrizioni di strani caratteri.Accadde più volte che qualche coltivatore, nell’arare propri campi, s’imbattesse in ciò che riteneva essere uno strano reperto indiano, lo conservasse e se lo portasse a casa. In diversi casi il dottore o l’avvocato del paese venne a sapere di quesi oggetti, li vide e ne fece menzione alla locale società storica.
    Poiché l’ebraico era l’unica scrittura conosciuta, che somigliasse – sia pur alla lontana – ai graffiti presenti su quelle pietre, esse erano classificate come “iscrizioni sacre ebraiche”, per la particolarità dei caratteri incisi, oppure con espressioni similari.In alcuni casi tale definizionecorrispondeva, secondo i pareri dei rabbini delle città dell’Est. La maggior parte delle iscrizioni, però non era in ebraico.
    Qualcuna fu anche denunciata come un falso, da parte di studiosi biblici. Ciò provocò purtroppo la distruzione di parecchi manufatti iberici o scritti in altri alfabeti. Questa vicenda è nota grazie alle ricerche storiche di due studiosi dell’Ohio, il Prof. Robert Alrutz, zoologo della Denison University, e Dana C. Savane di Dover, Ohio.All’epoca in cui Barry Fell scrisse Saga America (1980), i due stavano conducendo ancora i loro studiFell, consultato per le sue capacità di linguista e decifratore, fu tuttavia autorizzato a parlare di un oggetto, scoperto verso il 1890.Si tratta d’un anello di terracotta e somiglia superficialmente alle pesanti e rozze monete bronzee prodotte dai Celti del Nord Italia, ad imitazione di quelle etrusche chiamate aes grave, prodotte nel sec. V a.C..Sulla superficie, esso presenta un’iscrizione retrograda in lettere greco-iberiche, simili all’alfabeto fenicio.Se trascriviamo l’iscrizione in alfabeto latino, leggeremo :”ODAKIS EBIOM”, una formula nota ai numismatici sin dal 1920, ma del tutto ignota negli anni 1880-1890, quando l’oggetto fu trovato.
    ODAKIS è la forma iberica d’una parola greca che significa “moneta”, ed EBIOM indica la città celtica di Evia, presso l’attuale Alcacer do Sal, in Portogallo.
    Si tratterebbe di una rozza copia, fatta in America, di un’antica moneta bronzea di Evia, col volto della Medusa su una faccia ed una parodia della testa di Ercole sull’altra. Non sembra possibile dubitare che sia una copia fatta in America, d’una moneta proveniente dall’Europa, risalente con probabilità al 200 a.C., forse una “copia di necessità”, in mancanza di reali monete provenienti dalla fonte. Non si tratterebbe di un caso raro nella storia: basti risalire alle monetazioni provvisorie realizzate durante le guerre mondiali o ai famosi “assegnino” dell’Italia negli anni 70. Secondo Fell la scrittura di tipo arcaico e l’estrema rozzezza dell’oggetto sono tli da far escludere radicalmente l’ipotesi di un’imitazione o falsificazione “moderna”, e tale oggetto potrebbe essere “la più antica moneta americana conosciuta” e risalire all’anno 300 ca a.C..Un’altra presumibile “moneta” paleo-americana – questa però d’origine libica – fu segnalata da James Whittall in un’incisione dell’opera di Thruston, edita nel 1890.Il testo qui dice, in lingua libica occidentale : “I coloni garantiscono la copertura (del pagamento)”.
    La lingua somiglia molto all’arabo.Il disco di pietra appare essere anche qui un sostituo di moneta. Una curiosa tavoletta con iscrizione, ritrovata nel Texas, presso Big Band, secondo la decifrazione di Fell dice che gruppi di fedeli del dio solare Mitra giunsero sino a lì dall’Iberia. Altriritrovamenti, in odore di falsità, furono compiuti nel Tennesee e nel Kentucky, e parrebbero di Ebrei sfuggiti alla distruzione di Gerusalemme (69-70 d.C.). Purtroppo, proprio gli aspetti dei ritrovamenti (veri o presunti) collegati alle vicende bibliche, compiuti nell’800 sul suolo americano, riduce la credibilità degli stessi ritrovamenti. Si tratterebbe infatti (come casualmente) proprio delle scoperte che i diversi gruppi religiosi presenti in America desideravano allora trovare.
    Al contrario, la frequenza d’iscrizioni che Barry Fell identificò come libiche – e di quelle iberiche – può far propendere per un’autenticità delle iscrizioni (almeno di talune di esse), pur se non completamente compresa, ne adeguamente interpretata.Come mai – salvo qualche raro caso – non si trovano nelle iscrizioni identificate in America, né la scrittura ne la lingua egizia né quella Greca?
    Sembrerebbe – stando all’interpretazione di Barry Fell – che per questi prodotti di “esportazione” gli egizi preferissero usare la lingua e la scrittura dei vicini popoli libico-berberi…ma l’ipotesi appare piuttosto forzata.Anche se gli egizi avessero fatto ricorso a flotte composte di marinai libici, sembra infatti logico pensare che la lingua in uso sulle navi delle loro flotte (se non l’unica lingua “colta” e scritta, da parte del personale di comando) dovesse essere quella ufficiale, non un “dialetto” nativo, poiché tale la lingua libica doveva essere ritenuta presso il regno dei Faraoni.
    Le iscrizioni dovrebbero invece presentarsi con la lingua ed i caratteri egiziani o piuttosto con quelli greci, nei casi attribuiti all’epoca delle dinastie tolemaiche. Barry Fell sostiene che: “si stanno ritrovando le tracce della navigazione dei popoli arabi pre-islamici.Libici che in qualche modo diressero le loro prore verso il sole nascente per traversare gli oceani Indiano e Pacifico, e scoprire il Nuovo Mondo dalla direzione opposta di quella dei loro predecessori Cartaginesi”.

    I BERBERI ED I PUEBLOS.

    E’ impressionante la similitudine formale tra i villaggi scavati e costruiti nelle fiancate delle falesie delle erosioni fluviali, tanto in Algeria e di AMrocco (dalle valli degli Aurès a quella del Todra), come in Oklahoma, Colorado ed Arkansas. Naturalmente, tale similitudine può essere attribuita alle somiglianze della posizione geografica e del materiale roccioso, che spontaneamente inducevano i costruttori a soluzioni quasi identiche. Barry Fell e Gloria Farley hanno però individuato alcune iscrizioni, sulle falesie dei fiumi americani.
    In una di queste, trovata presso il fiume Cimarron, si mescolano caratteri libici e latini, mostra un guerriero nudo, armato di due spade.Sia il testo libico, sia quello in caratteri latini, l’identificherebbero come il Dio Marte.

    CONCLUSIONI

    Occorre riconoscere che sei diffusionisti avessero voluto creare un falso “ad hoc”, avrebbero potuto usare una scrittura geroglifica (o meglio greco-alessandrina, con riferimento al periodo dei Tolomei e di Erastotene), senza doversi arrampicare sugli specchi due volte, prima per decifrare un linguaggio come quello libico-berbero (tutto sommato ben poco conosciuto, anche agli studiosi di lingue antiche), e poi per giustificarne l’uso in documenti ufficiali della spedizione. Le medesime considerazioni possono valere per tutte le altre iscrizioni dello stesso tipo che il gruppo dei diffusionisti ritiene di aver ritrovato e tradotto, sia nell’area del Pacifico, sia sul Continente Americano. Anche in altri casi, ad esmpio in graffiti rupestri lungo l’arco alpino, è capitato che i ricercatori abbiano fatto ricorso a letture ed interpretazioni che si rifanno all’uso di un alfabeto e di una lingua di matrice libico-berbera.Dobbiamo constatare che i ricercatori diffusionisti hanno trovato documenti inspiegabili anche per loro, mentre – se si trattasse di falsi o di adattamenti interpretativi – sarebbe stato più semplice e logico “crearli” sulla base delle lingue e delle scritture in uso presso gli egizi, e non di un’altra scrittura e di un’altra lingua che, oltre a presentare altrettante – se non maggiori – difficoltà interpretative, comportasse anche il riferimento ad un popolo misterioso, come gli antichi Libici.
    I diffusionisti hanno ipotizzato il ricorso, da parte dei Faraoni a flotte composte di marinai d’una nazione vicina, che non fu mai, nei secoli d’oro della civiltà egizia, in rapporti pacifici con il popolo delle piramidi.
    Marinai talmente acculturati da usare la propria lingua, ben diversa dall’egiziano, in tutti i loro appunti, e addirittura in documenti ufficiali, qual è “l’atto di possesso” inciso dal navigatore Maui sulle montagne a sud di Santiago del Cile.Tutto ciò tende a collegarsi alle ipotesi formulate nel 20001 dal sottoscritto, di “riscoperta” dell’antica Atlantide in una collocazione al centro del Mediterraneo, che doveva corrispondere proprio con un antico regno libico-Berbero. La crittura e la lingua usate in tutte quelle iscrizioni ci condurrebbero quindi all’antica Atlantide, senza possibilità di dolo da parte di chi le ha interpretate, poiché i ricercatori che lo fecero non erano minimamente al corrente di tale ipotesi e non lavorarono in vista di essa, né per dimostrarla.Eppure, le uniche circostanze che possano aver permesso la diffusione “planetaria” di una lingua arabo-berbera e del suo sistema di scrittura, attraverso rotte marittime transoceaniche, appaiono legate all’aesistenza d’un grande impero marinaro, nel periodo in cui Atlantide era signora dei mari (quindi prima del 1200 a.C.).Non è invece credibile che marinai libici, arruolati nella marineria egizia, andassero a scrivere “atti di possesso” sulle rocce dell’attuale Cile, nella propria lingua, a nome del Faraone d’Egitto.
    Possiamo concludere con tre considerazioni principali:
    1 – Nell’elaborazione del proprio pensiero sugli scambi internazionali, il grande studioso diffusionista Berry Fell individuò una gran quantità d’iscrizioni in lingue ed alfabeti che si possono identificare come paleo-libici (paleo-berberi);
    2 – Dopo un promo periodo, in cui Fell attribuiva tale grande attvità di marinai africani alla loro presenza sulle navi dell’Egitto faraonico, sembra che tale ipotesi lo convincesse sempre meno.
    3 – Berry Fell morì nel 1994 e non potè conoscere le mie ipotesi – attualmente in fase di sviluppo – su un’Atlantide situata al centro del Mar Mediterraneo, popolata dagli antenati dei popoli libici e berebri.
    Possiamo però intuire che una tale ipotesi lo avrebbe affascinato, così come al momento attuale essa si sta discutendo anche in una ristretta cerchia di studiosi diffusionisti, suoi seguaci e fedeli interpreti.





    ecco l'articolo, anticheterre spero interessi pure a te, anche se non pè proprio pertinente al 100% col titolo della sezione (forse era il caso di metterli nella parte "Popoli del Mare?- ci ho pensato adesso). ho copiato pure l'articolo del numero prededente, parla dei Pelasgi e di Atlantide, che a mio parere è un campo minato dove mi sembra che si possa cadere nelle farneticazioni più pure e si può cedere il fianco troppo facilmente a chi vuole smontare certe teorie non ortodosse. che ne dite?
    scusate il ritardo, avevo detto dopo pranzo ma non ho specificato il giorno, ieri sono stato occupato; questi articoli sono lunghissimi spaccano gli occhi a leggerli nel pc!
    tanti auguri di buon natale a tutti!!!!
    I PELASGI DELLE SERRE JONICHE CALABRESI E IL “CONTINETE PERDUTO”
    Di Domenico Raso

    Nel Gennaio del 1972 l’Avvocato Matio Tolone Azzariti di Girifalco (CZ) a seguito di una rovinosa alluvione con piogge torrenziali durate 48 ore e che aveva sconvolto tutto il territorio delle Serre Joniche catanzaresi, fu incaricato da alcuni amici e dai parenti di periziare l’entità dei danni verificatisi nelle proprietà attorno a Girifalco.
    Le piogge torrenziali avevano prodotto larghe e profonde crepe soprattutto nella valle “Caria” a mezzogiorno del paese su uno sperone di roccia.
    Nel corso di quella ispezione l’avvocato, che mai prima si era interessato ala ricerca di antichità, notò sul fondo di una crepa profonda sei metri, assieme ad altri strani reperti, una grossa pietra, rotondeggiante ancora incrostata di fango e sabbia. Fu la forma che ricordava una testa umana a richiamare la sua attenzione. Fattala prelevare la lavò e la ripulì con cura e cautela, attento a non alterare i segni che conteneva; si trovò così di fronte ad una testa di uomo, per quanto assai enigmatica nei tratti e nella fisionomia; ma soprattutto, perché cosparsa in tutta la sua superficie di strane segnature che interessavano unicamente il viso. C’erano in effetti gli occhi od almeno l’intenzione di rappresentarli; al margine esterno dell’occhio destro compariva la segnatura di una “lacrima”.Vi erano le arcate sopracciliari e persino la traccia evidente di segmenti paralleli che rappresentavano o parevano rappresentare le sopracciglia.
    L’avvocato li contò per curiosità: l’arcata destra ne portava 18 mentre la sinistra 20. Pensò ad un errore dell’incisore. Vi figurava anche uno strano naso, tozzo e rincagnato, la cui esecuzione maldestra il Tolone attribuì alla imperizia dell’inciore; figuravano anche delle labbra mentre la parte frontale e quella anteriore del cranio esibiva altre misteriose segnature che credette dovute alla particolare importanza dello sconosciuto personaggio che si voleva rappresentare. Sulla guancia destra compariva poi una fossetta che ritenne essere dovuta ad una abrasione o ad una frattura; la guancia sinistra era parimenti interessata ed altre segnature sconosciute che invadevano anche lo zigomo sinistro sino al margine dell’occhio sovrastante.
    Nel suo complesso la pietra, ripulita e osservata figurativamente, offriva una impressione sgradevole di bruttezza, incapacità figurativa, primitività.
    Noi stessi, la prima volta chelo vedemmo 30 anni or sono, lo definimmo “Lo Stralunato”.
    Questi reperti nulla avevano a che vedere con la grecità e con la preistoria convenzionale.
    Il nostro filo di arianna fu costituito dal mare di segnature che la raccolta alla fine veniva a presentare, e fu quello lo spunto per individuare un ragionevole criterio selettivo.Dovunque trovavamo quelle segnature eravamo almeno certi di trovarci al cospetto della medesima civiltà quale che essa fosse.
    Navigammo per anni nell’ipotesi che si trattasse di una qualche forma di scrittura monosillabica sconosciuta, nella quale, come nel caso di ogni forma di scrittura, ad ogni segno doveva corrispondere un suono. Ma dovemmo, più tardi, scartare quella improduttiva ipotesi approdando in fine alla constatazione meditata e maturata che eravamo al cospetto di una pre scrittura ideopittografica nella quale ad ogni segnatura (ideogramma o pittogramma che fosse) corrispondeva una idea, un concetto, il nome di una cosa, una frase.
    Il resto (ossia la decifrazione testuale e contestuale) è avvenuto negli ultimi venti anni faticosamente e gradualmente ma senza intoppi od ostacoli consistenti.
    Come nella Tavola di Biblo, nella Tular di Bagno a Ripoli (FI), nella Pietra del Chianti (FI), negli innumerevoli reperti di Glozel (Francia), nei corpi di prescritture della Libia e nelle sequenze di “Rune” della Scandinavia e delle coste settentrionali dell’America (Canada) ci trovammo di fronte a veri e propri corpi di epigrafia pelagica e dei Popoli del Mare in prescrittura.
    In moltissimi posti del Mediterraneo e dell’Atlantico i “divini Pelasgi” (Odissea,XIX,177),avevano comunicato,raccontato,ricordato, trasmesso ed insegnato unicamente mediante la loro prescrittura databile come già pienamente formata al XII millennio a.C.
    Ma quei resoconti minuti, talora dettagliati e precisi non penetrarono ai tra le fonti della ricostruzione della vera storia dell’Occidente a causa dei pregiudizi dei filologi e glottologi unicamente attenti alle scritture fonetiche.
    All’atto del rinvenimento e pur dopo aver ripulito il reperto Lo Stralunato, ne il Tolone né noi stessi per lungo tempo potemmo capire che quella strana pietra tondeggiante era un “falso figurativo” pelagico (vezzo presente in tutta l’ècumene pelagica ma che non ebbe seguito nelle facies di civiltà più tardive).Approfittando degli accenni figurativi ad un volto umano, esso non solo rappresentava la più antica “carta nautica” dell’atlantico e del Mediterraneo ma distesamente raccontava come il divino Popolo del AMre aveva abbandonato a più riprese l’antica, compianta patria sprofondata nel mare più occidentale (e si tratta certamente dell’Atlantico) per stabilirsi lungo le coste e alll’interno delle terre del mare più orientale, ossia del Mediterraneo.
    Si tratta in realtà della storia del primo esodo dei Pelasgi, come in parte verremo dicendo, della loro più antica terra di residenza.
    Abbiamo potuto annoverare e resocontare in effetti, grazie ai reperti di Tolone, a quelli di Glozel e alla Tavola bronzea di Biblo, un secondo esodo databile questa volta attorno al 5.500 a.C.Esso ebbe quali terre di provenienza l’Anatolia, la Siria, l’Egitto e forse anche la Libia dove i Pelasgi avvano risieduto una volta fuggiti dalla patria sprofondata per oltre tremila anni.
    Il trasporto in lingua italiana del racconto in prescritture del primo esodo fu reso possibile quantdo, osservata bene la fossetta sulla guancia destra del reperto che c’era parsa a tutta prima una frattura o un’abrasione casuale ci accorgemmo che quella incavatura era frutto di un’incisione intenzionale; l’ingrandimento portava a piena evidenza una incisione infossata e sotto livello (evidentemente della distesa del mare occidentale) di due forme ad isola, l’una assai più grande e l’altra affiancata alla prima e più a occidente, serpentiforme quasi che le due isole fossero separate da uno stretto braccio di mare.
    Non potremmo mai sapere delle segnature di prescritture pur presenti nella incisione, quale nome avesse quella terra sprofondata poiché le segnature pelagiche non restituiscono mai i nomi propri che venivano utilizzati soltanto nella parlata pelagica.Se si tratta, come potrebbe essere, dell’Atlantide di Platone, dobbiamo ritenere che questa denominazione non apparteneva alla parlata dei Popoli del AMre.
    Le segnature presenti sull’incisione, a parte il profilo esatto delle coste e a parte la forma complessiva, si riferiscono inequivocabilmente al posto di stanzialità dei pascoli primaverili ed estivi dei Popoli dei pastori nel meridione di quella terra; le segnature composte permettono, secondo il verso di lettura, una ulteriore interpretazione integrativa della prima, che esprime i concerti euforico-positivi di “luogo adatto ai pascoli” dove vengono collocati i villaggi delle madri, verso il sud e viceversa.
    In tutta l’ecumene pelagica (in Libia, sulle Serre Joniche Calabresi, nella Maremma toscana e sul Rodano) la vita pastorale, attestata principalmente sui bovini, era parte importantissima dell’organizzazione delle enclaves dei Popoli del Mare, tradizione che venne dunque perpetuata a cominciare dallo stesso “Continente Perduto”.
    Annoteremo il passaggio in ogni caso come la dizione “Villaggi delle Madri” (come anche nella bassa Maremma pelagica) mantenne il doppio significato di luogo di rifugio invernale delle donne dei pastori. Ma a sud della patria perduta compare anche nelle pertinenze dei siti pastorali l’ideogramma universale, nell’ècumene pelagica, del rombo col significato inequivocabile di “luogo di sepoltura” e assieme a questo l’ideogramma di “porto” a forma di doppia coda di rondine. La linea di costa nord orientale presenta anche la forma di una insenatura marina sulla quale si appoggia a mò di porta la segnatura di cammino, strada, inizio di percorso pedonale.
    L’interpretazione del messaggio della fossetta presente sulla guancia destra del reperto che giustifica dunque la presenza del pittogramma della “lacrima” a margine dell’occhio destro con il significato di “..della compianta nostra terra sommersa” apre come antefatto il racconto ora completo del manufatto pelagico unicamente sulla scorta e con l’appoggio delle segnature in prescrittura, esso è il seguente “..e per espressa volontà della divinità suprema in seno all’emisfero settentrionale ci siamo trasferiti in navigazione a meridione dell’estremo occidente all’oriente più lontano
    Nel mare più occidentale abbiamo abitato in un arco di cielo di diciotto tacche e in quello abitavamo nella nostra compianta terra sprofondata nel mare e formata da due isole, l’una assai grande e l’altra che l’affiancava a occidente, più piccola.In quella terra perduta abbiamo lasciato per sempre le sepolture dei nostri antenati, i nostri porti, le strade, le montagne lungo le quali madri e pastori si trasferivano ogni anno dal nord al sud.
    Siamo partiti con le nostre navi dai nostri cantieri e dalle nostre miniere attraversando un lungo stretto marino posto tra due grandi terre di cammino trasferendoci a più riprese nella terra dei granai (Libia e focui del Nilo) dopo aver lasciato i feretri dei nostri morti in una grande isola posta nel mare più orientale (Sardegna meridionale).Dalla terra dei granai abbiamo raggiunto con navigazione da sud tre punti posti a nord-ovest fondandovi cantieri e ricercando miniere (triangolo delle Serre meridionali della Calabria, l’Argentario-Amiata in Toscana, il massiccio centrale in Francia).Nel mare più orientale abbiamo dominato ed abitato terre nell’arco del cielo di venti tacche”.


    ah..scusate..oggi vi sto rompendo abbastanza e riempendo le pagine... nel post precedente ho detto che avrei copiato l'articolo sul megalitismo dei pelasgi, ma questo dela testa dello stralunato anche se meno pertinente con l'argomento megalitico, è più interessante (anche se forse più "fantasioso" a parer mio), tanto fuori dal tema ero già uscito..eheheh
    alla prossima :salute: :beoni:
     
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    Marco, in un altri THread mi chiedi di risponderti su questi argomenti... hai una giornata a disposizione? :rolleyes: Scherzo... il tuo posto è intreressante, ma lunghetto? su cosa vuoi che risponda? Se assisterai a una delle prossime conferenze, troverai mote di queste risposte... ivi compresa quella riguardante i viaggi oceanici e le mappe dei POPOLI DEL MARE... :B):
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  11. marcomer80
     
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    salve prima di tutto e ben trovati
    in questi giorni non ho un secondo
    no, volevo sapere solo se l'ho avevate visto, ci ho messo una sera a copiarlo.
    è lungo perchè l'ho copiato pari pari dalla rivista
    l'argomento è complesso e ci vorrebbe veramente un sacco di tempo per discuterne!
    poi se ne leggono tante di teorie su atlantide (che a me pare un campo minato...) e molte fanno a cazzotti fra loro.
    spero solo l'abbiate trovato interessante.
    alla prossima
     
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  12. marcomer80
     
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    eccoci qua!
    nell'ultimo numero di archeomisteri c'è un altro articolo sui pelasgi, di quelli stanziati in Calabria, parla di pre-scrittura ecc., interessante ma non aggiunge granchè al discorso, anzi trovo più interessante quello chilometrico che ho scitto l'altra volta.
    Antiche terre come va? avevi poi avuto occasione di leggere la civiltà scomparsa di uriel? io ho appena finito di leggere "le astronavi del Sinai" di Z. Sitchin, molto interessante, e se non ricordo male è citato da Leo nei suoi libri.
    Teorie ardite ma mi pare ragionevoli e fondate (sicuramente non meno di quelle spacciate come dogma).
    alla prox
     
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    Se a Sitchin togli la fissa delgi extraterrestri, è prezioso per la ricca documentazione sui Sumeri e gli Akkadi... ecco perchè melis attinge dal buon Zecharia... :rolleyes:
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  14. ShemsuHor
     
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    Approposito di Pelasgi, mi interessano molto...
    Ultimamente mi sono interessato un po' al loro rapporto con la città di Atene, secondo alcune tradizione fondata proprio dai Pelasgi... Non è che abbia trovato molto, anche perchè ho poco tempo...
    Appena ho tempo magari scrivo qualcosa... Aspettate fiduciosi... :rolleyes:

    Leo, perchè non ci racconti un po' il "backstage" della trasmissione di domenica??? :D

    Ciao a tutti...
    Andrea

    P.S. Leo sto leggendo un libro sull'Egitto predinastico. Si parla anche dell'ipotesi dell'invasione dell'Egitto da parte di un popolo di navigatori provenienti dal Mar Rosso, cosa che, se non ricordo male, hai nominato anche tu. Si potrebbe parlare anche di questo...

    Ri-ciao
     
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    STUDIOSO DEI POPOLI DEL MARE

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    I PELASGI erano i PdM... uno dei nomi con cui i Greci solevano chiamarli. Più precisamente erano i PHELESET, come il nome DORI indicava i Popoli del Mare arrivati 100 anni dopo la Grande iNvasione, ma noi sappiamo che il nome DORI deriva da una parte dei PdM: i TJEKKER, che avevano fondato la città di Dor in Palestina... li chiamavano anche ERACLIDI (questi erano i figlòi che eracle ebbe dalle 50 figlie ti Tespio e portati da Jolao in Sardinia... i SHARDANA)... Li Chiamavano TIRRENI ( questi forse erano i THURSA)... ecc...
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    P.S. Leo sto leggendo un libro sull'Egitto predinastico. Si parla anche dell'ipotesi dell'invasione dell'Egitto da parte di un popolo di navigatori provenienti dal Mar Rosso, cosa che, se non ricordo male, hai nominato anche tu. Si potrebbe parlare anche di questo..

    sono i "Tuoi" SHEM-SU.HOR... In egitto ad ABIDOS hanno trovato "navi d'alto mare con la prua alta, lunghe 42 m.!"... alcune incisoni che mostro nelle conferenze ripoducono navi nel deserto egizio con ESSERI a bordo "Muniti di Corna" a bordo di navi a prua alta... il tutto datato 3000 a.C. ... il periodo del faraone DEN (SHER-TANI-ATET) 4° della 1^ dinastia... :rolleyes:
    SHAR :devil:
     
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58 replies since 14/4/2006, 09:12   6495 views
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