Leggende Sarde

indagine sulle antiche credenze pagane sarde oscurate dal Cristianesimo

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  1. dedalonur9
     
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    ok Elce...perdona la diffidenza ma qui si entra in questioni un po delicate per me. megioun po di prudenza... ;)
     
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  2. suonosardo
     
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    Per chi dovesse interessare, la traduzione (parziale) de " li 12 parauli "

    Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, amen.
    Ora,
    chi è dentro non è fuori.
    San Martino uomo di preghiera:
    - ditemi quanti siete? -
    Uno..Uno è Dio e sopra di lui non vi è nessuno.
    Quando Gesù Cristo, attraversando mare e terra, scese a piedi a Gerusalemme.
    Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo,amen.
    Ora,
    chi è dentro non è fuori.
    San Martino uomo di preghiera:
    - ditemi quanti siete? -
    Uno..Uno, è Dio e sopra di lui non vi è nessuno.
    Due..Due sono le tavole di Mosè.
    Tre.. Tre, dono le tre Marie.
    Quattro..Quattro, sono gli evangelisti.
    Cinque..Cinque, sono le cinque piaghe.
    Sei..Sei, sono le candele accese sull'altare.
    Sette..Sette, sono i sette dolori.
    Otto..Otto, sono gli otto doni.
    Nove..Nove, sono i cori degli angeli.
    Dieci..Dieci, sono i dieci comandamenti.
    Undici..Undici, sono le undici vergini.
    Dodici..Dodici, sono i dodici apostoli.
    Tredici..Tredici, non è legge (non esiste)
    tredici passi di terra lontano da me.
    In nome del Padre etc..
     
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  3. suonosardo
     
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    "LU SUIDDATU" (il tesoro nascosto)
    Le persone che cercavano un "suiddatu", composto da una pentola di terracotta o di rame, piena di monete d'oro, non dovevano essere più di tre: una per la lettura " di lu libru di lu cumandu"o la recita "di li 12 parauli" (allo scopo di allontanare il demonio che custodiva il tesoro), le altre due, con zappa e pala, per scavare. La lettura o la recita, così lo scavo, dovevano avere inizio allo scoccare della mezzanotte e cessare al terzo canto del gallo. Chi zappava e chi faceva la lettura o la recita de " li parauli", doveva leggere o recitare in continuazione, ricominciando daccapo, appena arrivato alla fine, sino al rinvenimento della pentola con le monete d'oro. Mentre i tre eseguivano la propria incombenza, apparivano "di li spirienzi mali" (delle brutte apparizioni), una più terrificante dell'altra. Se uno dei cercatori provava un minimo senso di paura, un semplice brivido, tutti e tre dovevano abbandonare la ricerca; sarebbe stato inutile continuarla, giacchè il tesoro non sarebbe stato trovato e chi aveva avuto un'istante di smarrimento sarebbe morto entro l'anno.
    In altre zone, sempre tre persone, si occupavano della ricerca di "lu suiddatu", ma la cerimonia era completamente diversa dalla precedente. Prima si cercava di localizzare il nascondiglio del tesoro (spesso la segnalazione era fatta dal proprietario di una casa diroccata o di una grotta), poi, da mezzanotte alla una, si circoscriveva il sito con un cerchio segnato in terra, dopodichè al centro si collocavano: un tavolino con due candele accese, anche di quelle normali, e vicino tre sedie. Dopo che i cercatori le occupavano, quello seduto al centro leggeva "lu libru di lu cumandu pa la chjamata" ( il libro del commando per invitare il demonio a presentarsi), mentre gli altri due, detti " li testimogni" seduti ai lati del lettore, assistevano immobili e muti alla cerimonia. I tre, però, dovevano essere molto coraggiosi, non dovevano impressionarsi, quando si sarebbe presentato il demonio " cu li spirienzi mali". Il lettore, prima dell'inizio della cerimonia, avvertiva gli altri due che, se uno dei tre, per una qualsiasi ragione, fosse caduto in terra svenuto, questi doveva essere subito allontanato dal cerchio, altrimenti sarebbe stato ucciso dal demonio. Nel caso che il colpito dal malore fose stato lo stesso lettore, uno di " li testimogni" doveva immediatamente prendere il libro e leggere " la lizinziata" (parole per licenziare il demonio) scritta a piè di pagina. Se " la chiamata" la prima volta falliva si ripeteva la cerimonia nelle notti successive, sempre da mezzanotte alla una, finchè il maligno non si fosse presentato.
    Chi mi ha descritto la seconda cerimonia è una persona che vi ha partecipato più volte in qualità di " testimognu", perchè molto coraggioso. Una volta, anche a nome di altre persone, chiamò un tale che era in possesso di "lu libru di lu cumandu". Il tesoro era nascosto nelle vicinanze di un gruppo di case, nella campagna di San Pantaleo. Appena iniziata la lettura, si posò sul tavolino un'ape più grande del normale, ma non era un " abbu masciu" (un fuco). Il lettore continuò la lettura, chiamando il demonio con i più svariati nomi, ma l'ape, che era il demonio, avanzò verso di lui e gli si infilò sotto la camicia; subito l'uomo svenne e i due testimoni lo trascinarono immediatamente fuori dal cerchio, adagiandolo, sempre svenuto, sotto un'albero di olivastro, dimenticando, però, di fare la "lizinziata". Il poveretto, durante lo svenimento, aveva la lingua penzoloni e la bocca piena di schiuma. Dopo un pò l'ape uscì dal collo della camicia e volò via. I due testimoni ricordarono allora di non aver fatto "la lizinziata"; uno rientrò nel cerchio, afferrò il libro e fece la lettura. Il colpito dal maleficio, dopo circa mezzora rinvenne e fu portato in una delle case vicine dove erano molte persone accorse tutte dagli stazzi vicini in attesa del risultato della cerimonia. Il possessore "di lu libru di lu cumandu" fu malamente schernito, perchè in precedenza aveva decantato l'efficacia dello stesso libro e aveva preteso il pagamento anticipato di lre cinquanta ( il fatto è avvenuto nel 1937) e molti presenti si erano quotati per raggiungere tale cifra.
     
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  4. suonosardo
     
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    "L'almata di Rodas" (L'esercito di Erode)
    Sempre dal libro di Niccolino Cucciari.

    Una volta si credeva (e ancora oggi qualcuno ci crede) che Erode (Rodas) il Grande, quello che voleva uccidere il Bambino Gesù e ordinò, poi, la strage degli innocenti, e Erode Antipa suo figlio, quello, cioè, che ebbe una parte nel processo allo stesso Gesù, fossero la stessa persona: un re malvagio, crudele che, alla morte, fu mandato direttamente all'inferno.Giacchè Erode in vita aveava commandato degli uomini perchè re, così anche da morto, gli fu affidato il commando di 12 demoni, tra i più malvagi, forse in contrapposizione ai 12 apostoli di colui che egli aveva sempre perseguitato, gesù. Questi 12 demoni, con Rodas in testa, cavalcavano tutti un cavallo bianco, e dove passavano distruggevano tutto quello che incontravano lungo il loro cammino. "Pa lià l'almata" ( per bloccare, fermare i soldati = demoni ) erano efficaci anche " li 12 parauli", ma era necessario "sciuddilla" (scioglierla, liberarla) entro le 24 ore, giacchè dopo tale tempo, se non fosse stata liberata, sul posto si sarebbe formato l'inferno. Se chi l'aveava boccata, non conosceva gli scongiuri per liberarla, doveva chiamare un prete. Nel momento della liberazione si doveva indicare, ciò che nel viaggio di ritorno verso l'inferno doveva distruggere o portare via : di norma, per non arrecare danno alle persone si indicava un grosso albero o una roccia, così l'armata spariva distruggendo o portando con se quanto le era stato indicato "in un alcu di focu" lasciando sul posto un forte odore di zolfo. (...)
     
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  5. suonosardo
     
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    "Li Molti" (I morti)
    A mezzogiorno e a mezzanotte non si doveva passare in un sito dove era stato ucciso un'uomo, perchè lo spirito dell'assassinato, in quelle ore si aggirava nei dintorni.
    Se in una determinata zona della campagna si sentiva un "raspu" (un pianto disperato), acompagnato dalle parole : "lu mè maritu!, lu mè fiddolu!, Babbu meu!, oppure "lu mè frateddu!", entro l'anno in quella zona sarebbe stato ucciso qualcuno.
    Si racconta che in una notte dell'inverno 1946-1947, alcuni giovani mentre rientravano " da un baddattoggju" (da una festa da ballo) in Cugnana, lungo la strada provinciale per San Pantaleo, sentirono diversi "tunchj" (gemiti, lamenti); i giovani si fermarono per meglio ascoltare , perchè più a valle della strada che stavano percorrendo vi era un sentiero molto trafficato; temevano che fosse qualcuno malato o ferito. Per meglio controllare e anche dare soccorso all'eventuale infortunato, tutti assieme iniziarono a scavalcare il muretto di recinzione della strada, quando sentirono "un raspu", facendo i loro nomi, come se a piangere fossero i genitori di ciascun giovane. Uno di questi, sentito chiaramente il proprio nome, invocato con pianto disperato, si spaventò moltissimo e ricordando che tale "spirienzia" significava, a breve termine e cioè entro l'anno, l'uccisione di qualcuno nella zona, forse lui, diede il segnale della fuga gridando: " Raspu!!!!."
    L'autore dello scherzo, perchè di scherzo si trattava, amico degli stessi giovani, da lui riconosciuti, nel silenzio notturno, li sentì correre disperatamente verso casa (abitavano nella zona), dove appena arrivati accesero nella piazza antistante l'abitazione un gran fuoco che, uno alla volta, saltarono in croce.
    (il fatto mi è stato confermato dallo stesso autore dello scherzo)
    Da Magia e superstizione tra i pastori della bassa Gallura.
     
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  6. ELCERDEA
     
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    Ecco la leggenda di baratz, riportata dalla tradizione orale, sotto traduzione in algherese

    A cinque ore circa da Alghero, nel territorio della Nurra, vi è la cosiddetta "Pischina di Baracis" dove un tempo sorgeva la città dello stesso nome. Alcuni erratamente vogliono dire che ivi sorgesse Nure, fiorente città che diede il nome al territorio della Nurra, togliendo così ogni possibile esistenza a Barace; ma dagli storici più accreditati si ritiene che questa fiorisse ove si stende la palude e Nure nelle sue vicinanze.La tradizione, cui lo storico Fara accenna, e che io appresi da quei pastori in varie mie escursioni, dice che Barace per punizione celeste sprofondasse, e fosse assorbita e sepolta dalle acque,che sorsero e confluirono in questa palude. Questa ha molta somiglianza con la leggenda di una città di Edem nel lago di Santa Giusta e con quella del Lago di Elio2 già pubblicata in questa rivista le quali città furono inghiottite e sepolte dalle acque. Ecco come la raccontano i nostri pastori. Una volta Gesù domandò a Pietro:- Perchè non vai a chiedere l' elemosina a Baracis?- Dove vuoi che vada Maestro? - rispose il discepolo- una volta mi feci il giro di tutto il paese, ed ovunque mi fu negata.- Orbene! Voglio andarci io a provare se sono così crudeli ed avari come tu dici - soggiunse Gesù.Ed in abito da pellegrino vi andò da sconosciuto.Giro per il paese tutta una mattina, ma nessuno gli diede nulla. In ultimo si portò ad una casa, posta fuori di città, dove trovò una vedova, madre di numerosa prole, che stava per cuocere del pane: chiese la carità per amor di Dio e, con sua sorpresa, fu invitato ad entrare.- Venga buon uomo, s'accomodi, che sarà stanco; intanto abbia pazienza finchè sia cotto questo pane: non ne ho neanche un mico.Ma Gesù la pregò di porre sopra la brage un pezzo di pasta, dicendole che era molti giorni senza gustar cibo, e che si sentiva venir meno dalla fame.La donna allora, premurosamente tirata un po' di brage in un angolo del forno,vi pose una focaccina la quale, a poco a poco dilatandosi, in breve si fece tanto grande che occupò più della metà del forno. Alquanto sorpresa ne la tolse, e ve ne mise un'altra assai più piccola; ma questa divenne due volte più grande della prima. Questa volta, credendo a qualche miracolo, tolse la focaccia calda calda, e ne offrì poco più della metà. Cristo poco dopo le domandò :- A quale dei tuoi figli vuoi più bene?- Io? Io voglio bene a tutti - rispose la donna.- Ma - soggiunse il divin Maestro - sempre vi sarà uno al quale tu vorrai più bene.Ed ella :- Per dire la santa verità, io amo il più piccolo, quello, cioè, cui do latte.Allora Gesù, restituendo il pane che gli aveva dato:- Quando avrai finito di cuocere - disse - prendi questo bimbo ed il canestro del pane, e va verso quel monte( additò Monteforte): non voltarti indietro qualunque rumore tu senta, che sarà meglio per te.Così detto si partì.La donna non appena ebbe finito di cuocere il pane si avviò per Monteforte col canestro in testa ed il bimbo in braccio, lasciando, suo malgrado, gli altri figlioletti.Intanto da Montegirato fece impeto il mare, e si riversò terribile sul paese. Ella, atterrita dal fragore delle onde e dalle grida disperate e strazianti dei miseri che annegavano, non potè resistere: si volse indietro per vedere, ma rimase pietrificata.Oggigiorno, bene osservando, in fondo alla palude si vedono numerosi avanzi di costruzioni, e non molto distante, nella regione chiamata la Para de' l Canistret, si trova una roccia rappresentante la donna col canestro in testa ed il bimbo in braccio." - Carmen Dore, "lo llac de Bàratze""A cinq hores quasi de l' Alguer, en lo terme de la Nurra, hi es la que se' n diu Pesquina de Bàratxe, on un temps sorgia l' antiga ciutat del maitex nom.Algun erradament creun que an allà sorgìs Nura, florent ciutat que dona lo nom al terme de la Nurra, levant aixì l' existancia de Bàratxe; però los historics mès acreditats opinen que aquesta fos en el lloc on s'esten l ' estany, i Nura en los entorns.La tradiciò, de la qual parla l' historic Fara, diu qua Bàratxe per puniciò del Cel profundas i fos sepelida de les aigues que sorginen i confluiren en aquell estany.Aquesta tè molta semblança amb la llegenda d' una ciutat Edem en lo llac de Santa Giusta i amb aquella del llac d' Elio, les quals ciutats aixì maitex foren tragades de la terra i sepuldades de lea aigues.Veus acì com la conten los nostres pastors. "Una vegada Jesù ha dit a sant Pere:- Per què no vas a demanar l' almoina a Baratxe?- On vols que vagi magister? - responguè lo fidel deixeble - Una vegada he girat per tot lo paìs i en cada lloc m' ès estada negada.- I bè, vull anar-hi jo per provar si son aixi cruel i avaros com tu dius- diguè Jesù. I en habìt de pelegrì hi va desconegut. Girà per lo paìs toda la maitinada, però ningu li donà res.A la fi aniguè a una casa, que era fores de la vila, on trobà una viuda, mare de numerosos fills, que estaba por coure lo pa.Ell demanà la caritat per amor de Deu, i amb sua meravella veu que la dona lo va convidar a entrar, dient-li:- Vengui, bon home. Segui-se, que cert sera estrac. I tengui paciència mentre que cou aquest pa; no ne tenc tampoc una mica.jesù, però, la va pregar de posar sobre les brases un trosde pasta, dient-li que des molts dies no havia gustat pa i se sentiav morir de fam. Llavors la dona premurosament tira un poc de brasa en un àngul del forn, i li va posar una fogasseta, la qual a poc a poc allargant-se en breu va fer-se tan gran que prenia mes de la meitat del forn.Molt meravellada la dona ne la treu, i va posar-ne una altra encara mes petita; però vaquesta se tornà dues voltas mes gran de la primera. Llavors, creient que fos un miracle, ne trau la fogasseta calenta calenta i va ofrir-ne al pelegrì poc mes de la meitat.Jesùs llavors li preguntà:- A qual de los tous fills vols mès bè?- Jò vul bè a tots- respon la dona.- Però - diu Jesus - sempre hi serà u al qual tu voldras mès bè.i ella:- per diure la santa veritat, jo estim de mès lo mès petit, aquell al qual ancara donc la llet.Llavors Jesùs, restituint lo pa que ella li havia dat:- desprès que hauràs acabat de coure - li diguè - prens aquest minyonet i la canastra del pa i ves vers aquell mont - i va mostrar- li Montfort - però no te giris andrera qualsevol remor tu entenguis, que serà millor per a tu. Aixì dit, se' n va partir.La dona, apenas acabà de coure, va aviar-se vers Montfort amb la canastra plena de pa sobre al cap i lo minyonet en braç, deixant sou malgrat los altros fills a la villa.Poc desprès de Montgirat se sublevà la mar gitant-se terribilmente furiosa sobre el paìsla dona, espantada de la remor de los ones i dels crits desesperats i lamentosos dels probes que anegavan, no poguè mes resistir: se girà endrera per veure, però restà pedrificada>.Avui en dia, bè observant, an fos de l' estany se veun numerosos avanços de construccions, i poc distant, en la regiò denominada la Pala del Canastret se troba una roca que figura la dona amb la panera al cap i lo minyonet al braç
     
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  7. suonosardo
     
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    Riprendo dal libro di niccolino Cucciari "Magia e superstizione tra i pastori della bassa Gallura"

    PER FAR CESSARE UN TEMPORALE
    Quando scoppia un temporale con tuoni e fulmini e dura a lungo, si accende "lu tizzoni" del sabato santo o di Natale e si butta fuori di casa, recitando:< Santa Balbara di mezzu campu, salvetici da lu tronu e da lu lampu >. Se il temporale non accenna a finire, si recitano "li parauli". alla fine di ciascuna recita, si deve ricordare che < tutti li parauli> debbono essere recitati tre volte, il padrone di casa, o chi per lui, si affaccia all'uscio e spara in aria a salve un colpo di fucile nella direzione in cui c'è il temporale, poi si segna:
    Biatu Santu Baltolu,
    chi staggjìa solu solu
    e timori no aìa.
    Chi timori dìa aè
    cu la cruci di Maria 'iglini
    illu fronti?
    Ca diciarà chisti paràuli tre volti:
    sarà salvu di mala molti,
    di tronu trunatu,
    di lampu falatu,
    da criatura molta a latu,
    e lìbbari sarani
    setti casi di lu 'icinatu.
    Da dugna arrori sia salvatu,
    da dugna arrori salvatu sia,
    in nomi de Gjèsù e de Maria.
    Fortunato san Bartolomeo/che stava solo solo/e non aveva paura/Che paura dovrei avere/con la croce di Maria vergine/in fronte?/ Chi reciterà tre volte queste preghiere/ non morirà di morte violenta/da rombo di tuono/dalla caduta di un fulmine/non avrà nessun morto al fianco/e non saranno colpite/sette case del vicinato/Da ogni pericolo sia salvato/ da ogni pericolo salvato sia/ in nome di Gesù e di Maria.

    In qualche zona per far cessare un temporale, si prende un tizzone dal focolare, si apre la porta, si fanno tre segni di croce in direzione dello stesso temporale, recitando ogni volta: Patri, Figliu e Spiritu Santu.
    Prima di iniziare la recita, si deve accendere una candela benedetta e socchiudere una porta o una finestra. Durante ciascuna recita si devono fare segni di croce con la candela accesa in direzione dell'esterno (della casa), nella porta o nella finestra socchiusa:
    Und'andi Baltolu meu
    Andu pal mari e pal tarra
    a Gjerusalè:
    troni e accinni
    allalgu da me.
    Nomini Patri
    e cattru evangelisti,
    e di la molti
    ch'ha presu Cristu.
    Dove vai Barolo mio?/ Vado per mare e per terra/ a Gerusalemme/tuoni e lampi/siano lontani da me/ in nome del Padre/e dei quattro evangelisti/ e della morte/avuta da Cristo.
    (....)
     
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  8. SaCraba
     
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    :unsure: queste due leggende sono per dedalo caro... sperando che gli siano utili.. non ho trovato di più....

    :unsure: questi due racconti stranamente si somigliano...


    CITAZIONE (SaCraba @ 24/10/2009, 20:10)
    questa è una leggenda-racconto che guarda caso dice qualcosa del mio paese che non sapevo.. riguarda la tessitura... vi posto la foto di un tapino de mortu il quale riporta " asinelli in serie"

    foto e racconto sono tratti da " Miele Amaro" di Salvatore Cambosu ;)

    IL CERVO IN ASCOLTO

    Àppo intesu sonu ’e telarzu /
    e sa bidda no pariat piùs morta....
    Ho sentito un batter di telaio /
    e il villaggio non più sembrava morto....

    La sposa stava al telaio e aspettava il giovane marito che
    era andato a cacciare il cervo. Lo sposo non poteva oltre ritardare
    il suo ritorno: e lei era impaziente di confidargli una gioia,
    che aspettava un bambino. Era già nata sotto la spola la selva
    che ora doveva ricevere e nascondere un ospite, un cervo in
    ascolto. La tessitrice era tanto felice; solo la turbava di quando
    in quando un incomprensibile affanno, come di uno che le
    picchiasse al cuore. E diceva tra sé: - Dev’essere il bambino.
    Poi, a un tratto, sentì alla porta gente che bisbigliava: la
    porta si aprì ed entrò un vento gelido.
    Da quel momento la sposa riprese a tessere e ad aspettare,
    e tessé e aspettò finché non ebbe partorito.
    La bambina aveva occhi di cerbiatta, e la madre per
    quella grande gioia uscì dal silenzio della selva: celebrò il
    battesimo e prese il lutto.
    L’orfana crebbe al telaio aspettando lo sposo, e sua madre
    fece in tempo a vedersi nonna. Le nipoti si chiamavano
    Emanuela, Giusta e Daniela e crebbero anch’esse al telaio
    aspettando lo sposo. E gli sposi arrivarono e se le portarono
    lontano coi loro telai.
    Ognuna fece nido, quale in montagna, quale in pianura.
    I telai della montagna diedero tappeti folti d’ombre severe; i
    telai della Marmilla e dei Campidani feraci li diedero di festa,
    San Sperate li accese di colori. E le consanguinee se li scambiavano
    alle feste, e ciascuna si guardava intorno e onorava
    le erbe e gli animali e i colori e l’anima della sua contrada.
    Ma nella libertà di guardarsi ciascuna attorno e di essere
    diverse, era più forte di loro il dare testimonianza d'essere discese dalla stessa dinastia.
    E tutte mettevano in mostra
    trionfale vasi di palmizi, tralci di vite, melograni, garofani e
    rose, animali e angeli, coppie che danzano tenendosi per
    mano, re e regine, Lucrezie e Cristine, il cavallo alla fonte, il
    cavaliere o gli sposi a cavallo, gli asinelli e i cani e i cervi, le
    oche e le colombe, stelle innumerevoli di cieli inverosimili o
    suggerite dalla natura.
    E le nuove tessitrici stettero al telaio e aspettarono anch’esse
    lo sposo, e gli sposi venivano ma sempre più di rado
    da contrade lontane.
    E di discendenza in discendenza qualcuna quasi si dimenticò
    dell’origine e volse gli occhi all’Oriente. Così Nule diede il
    suo tappeto, e l’innalzò quasi insegna straniera per insoliti colori.
    E così Ploaghe col suo leone e il tralcio della vite.
    Morgongiori invece restò fedele all’aquila coi cervi e fantasticò
    castelli e torri e chiese. Mogoro diede cavalli quasi
    quadrati neri o rossi. Isili gli uccelli stecchiti, la cavalcata nuziale,
    la gente che balla in tondo, il guerriero che combatte
    coi cervi. Santa Giusta le confraternite d’angeli. La Marmilla il
    ballo tondo come gara di resistenza. La Barbagia la geometria
    che Nuoro alternò con gli uccelli. Gavoi, Bolotana e Oliena il
    tapinu de mortu . E Ruinas diede gli asinelli in serie, e Ilbono
    i garofani sanguigni, e Nulvi palme e uccelli e cagnolini.
    Senis, terra di pochi fuochi, cervi neri grecizzanti. E Terralba
    rose d’ogni colore. E Sarule calici e chiavi e clessidre.
    Tappeti antichi di ruvida lana che sfidano il sole di tutt’agosto
    senza perder colore. Nati dal dolore d’un’antica sposa.
    Le nipoti, ancora fedeli ai miti e ai telai, credono che il
    tessere porti fortuna: il battere del telaio nel silenzio della
    casa e nell’attesa e nella malinconia dei giorni non lascia infatti
    morire la speranza.

    image

    Ecco una versione poco conosciuta riguardante il Castel Medusa.. in questa in particolare, non si parla della famigerata musca muscedda come in tutte le altre che lo riguardano....

    tratto da "Il castello di Medusa" di Guido Bartolo e Gianfranco Muzzetto

    (....) un altro racconto che si disconsta dai precedenti,è narrato a Giorgio Farris da un pastore di Burgos,che l'aveva appreso dal nonno e del quale ignorava l'autore.
    Secondo questa leggenda,ambientata nel medioevo,Thorco,principe saggio e coraggioso,era signore di Samugheo e del Mandra Olisai.Un giorno decise di andare in Oriente per contribuire con i suoi cavalieri al buon esito di una delle crociate in difesa del Santo Sepolcro,lasciando ad attenderlo nel castello la moglie Costanza e la figlioletta Medusa,di soli otto anni.
    Partì tranquillo,in quanto la moglie e la bimba erano al sicuro nella inespugnabile fortezza,protette da uomini fedeli e circondate dall'affetto di sudditi devoti e laboriosi.
    Passarono vari anni senza che del principe si avessero notizie; Costanza si occupava dei problemi dei propri vassalli e dell'educazione di Medusa,diventata un'incantevole fanciulla,che l'accompagnava a cavallo quando andava a visitare i borghi del feudo,sparsi nelle vallate circostanti.
    Un giorno tornò al castello uno sparuto drappello di cavalieri provenienti dalla Terra Santa,stanchi e laceri,portarono la notizia dell'eroica fine di Thorco in difesa del Santo Sepolcro.Grande fu lo sgomento dei vassalli allorchè vennero a sapere della scomparsa del loro amato principe,ma chi soffrì maggiormente fu Costanza che, nonostante la presenza di Medusa,fu colta da una crisi di follia che la portò in breve alla tomba.
    Alla giovane e bellissima principessa restò quindi il compito di seguire le orme paterne nel governare con saggezza e lungimiranza il piccolo reame.Frattanto la fama della sua bellezza e bontà si era estesa a tutta l'isola e numerosi furono i corteggiatori che le fecero proposte di matrimonio,ottenendo però un cortese,deciso rifiuto.
    Una mattina la serena vita del castello fu movimentata dall'avvicinarsi di alcuni soldati che chiesero ospitalitàper sè e cure per il loro principe,Michael ,rimasto gravemente feritodurante una battaglia ai piedi di un remoto maniero.Medusa li ospitò volentieri e curò amorevolmente il ferito che, grazie a un balsamo procuratole dalla sua vecchia nutrice,guarì lentamente ma perfettamente.
    I due giovani si innamorarono l'uno dell'altra e passarono giorni di immensa felicità,sino a che Michael decise di partire per ricollegarsi ai suoi fedeli soldati,che avevano trovato rifugio in un lontano monastero.Medusa,colta da tristi presentimenti,cercò invano di trattenerlo,ma il principe,ormai deciso,lasciò il castello,promettendole di tornare al più presto.Da un piccolo balcone la fanciulla colse alcuni garofani e li lanciò al suo amato.......
    In effetti Michael tornò presto,al tramonto dello stesso giorno,riverso sul suo cavallo,trafitto da frecce scagliategli da un respinto corteggiatore di Medusa che gli aveva teso un vile agguato.
    La leggenda termina così,senza farci sapere nulla sulla dolorosa reazione della fanciulla,soltanto i tanti garofani selvatici che fioriscono ancora giù nella valle restano gli unici testimoni a suggellare questa infelice storia d'amore.

     
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  9. SaCraba
     
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    aggiungo qualcos altro su Medusa:

    Ma è solo nel 1792 che la leggenda di Forco e di Medusa è messa in relazione con il nostro castello.autore l'abate Matteo Madao che, nelle " Dissertazioni storiche,apologetiche ,critiche delle Sarde antichità" ,scrive che da oltre 4000 anni è viva tra i sardi la memoria di Medusa e che la sua antica abitazione,tuttora visibile,è chiamata " Sa domu de Medusa" e si trova alla sommità di un alto,inaccessibile monte.
    La leggenda più nota narra che Medusa,figlia di Forco,avrebbe regnato sulla Sardegna per 28 anni,secondo l'autorità di Isarcio.La giovane era non solo bella,ma anche molto ricca e dotata di una forza non comune,della quale dava meravigliosa prova nelle lunghe ed estenuanti cacce organizzate di frequente.

    Ma non per tutti Medusa era una giovane bella e ricca.Secondo un'altra tradizione Medusa era un uomo,un re,che sconfitto da Atlante,si sarebbe rifuggiato sulla rupe,facendosi costruire un castello,nei quali vasti e tenebrosi sotterranei avrebbe nascosto i suoi favolosi tesori ( protetti dalla musca muscedda :huh: ),per sottrarli alla cupidigia di ladri e banditi.
    dimorando nella fortezza,avrebbe allacciato una relazione sentimentale con una bellissima jana, Maria Incantada ( o Cantada),che abitava in località Peppudelei,sulla sommità di una collina ricoperta da un folto bosco,collina che da lei ha preso il nome.
    La ninfa trascorreva le giornate tessendo il lino su un telaio d'oro massiccio,che faceva un rumore simile al rintocco di una grossa campana,tanto che il suono era udibile anche in remote contrade.
    Quando il re percorreva a cavallo il lungo tragitto che separava il castello dalla dimora di Maria,per trarre in inganno i nemici ferrava all'inverso gli zoccoli dell'animale.Lungo il percorso si fermava a fare abbeverare il destriero a una fresca fonte ,che ancora oggi è nota come " Sa funtana de su rei".

    Un'altra variante a questa leggenda dipinge il re come un vinto,braccato dai nemici,sfuggito a stento alla morte unitamente alla moglie Medusa,assieme alla quale si sarebbe rifugiato nel nostro castello.L'aspetto del sovrano era mostruoso: aveva i capelli e barba incolti e orecchie molto lunghe.Un giorno il suo barbiere avrebbe scoperto che le orecchie del monarca erano simili a quelle di un asino eche per tale motivo egli disdegnava farsi accorciare i capelli.
    Ma il suo rifugio fu scoperto e il re fu costretto ascappare da Samugheo e a rifugiarsi a Lotzorai ove si fece costruire un'altra fortezza.Della regina Medusa esisterebbe un testamento negli archivi del convento di Barumini o in quello di S.Martino nella città di Oristano.....


    :B):e per finire in bellezza la storia del Castel Medusa vi lascio un link nel quale si trova tutta la STORIA DEL CASTEL MEDUSA, DEL BANDITO PERSEU E DI "SU CONCALI DE ARGONEUS"

    http://www.monteualla.it/public/index.php?...id=61&Itemid=69

    Edited by SaCraba - 25/10/2009, 23:26
     
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  10. suonosardo
     
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    MISSA SPROFUNDI (Messa per sprofondare un'anima nell'inferno)
    Dal libro di Niccolino Cucciari

    Per gli stessi motivi per i quali si recita "lu rosariu sprofundi", su celebra "la missa sprofundi". Questa consiste nella celebrazione, notturna, di una messa in latino e al rovescio: dall'ite messa est sino all'introibo ad altarem Dei. Il celebrante deve indossare i paramenti neri rivoltati, e sull'altare accendere sei candele già usate accanto ad una bara durante una messa funebre. "la missa sprofundi" è molto più efficace del "rosario sprofundi"; il difficile è trovare un sacerdote disposto a celebrare un tale rito. Sia la recita "di lu rosariu sprofundi" che la celebrazione di "la missa sprofundi", è peccato mortale. La pena di tale peccato non ricade però su chi la recita, o celebra, ma solo sul committente. In qualche zona questo secondo rito doveva essere celebrato da un numero dispari di sacerdoti (tre o sette) con paramenti neri rivoltati, e con sull'altare un'unica candela confezionata con la pece. Per il resto la cerimonia è come la precedente, salvo l'impossibilità di trovare sacerdoti disposti a celebrare un simile rito. "La missa sprofundi" come ""lu rosariu sprofundi" è in favore del demonio perchè mandi nel posto più profondo dell'inferno lo spirito del nemico, che si presenta in sogno o nella realtà con cattive intenzioni. Tale "Missa" si celebra anche quando un'anima non ha riposo da nessuna parte; dopo la celebrazione essa può riposare nel luogo più profondo dell'inferno.
    La celebrazione di una "missa sprofundi" in questi luoghi e della quale si abbia memoria certa, è avvenuta attorno al 1900, per trovare"un suiddatu" (un tesoro nascosto). Nell'abitazione di un tale, nelle campagne di San Pantaleo, tutti avavano paura a causa della presenza "di un suiddatu". Per scacciare il demonio, custode e padrone del tesoro, fu chiamato un prete che a mezzanotte, celebrò all'interno della casa "una missa sprofundi". Durante la cerimonia i figli del padrone di casa ancora ragazzi, si svegliarono ed uno di essi, già malaticcio, ne ebbe un tale spavento che il suo male si aggravò tanto che, dopo un certo periodo di tempo, si dovette ricoverarlo in manicomio, dove in seguito morì. La stessa celebrazione è avvenuta nelle campagne di sant'Antonio di Gallura (allora di Calangianus) nella prima metà di questo secolo. Il racconto mi è stato fatto da diverse persone, le quali con la massima serietà hanno detto che nelle campagne indicate era stata celebrata "una missa sprofundi" per lo spirito di un uomo "moltu di mala molti", che si aggirava sempre, di notte e a mezzogiorno, nei paraggi dove il suo corpo era stato fulminato da una fucilata, terrorizzando chi transitava in quelle ore.
     
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  11. suonosardo
     
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    L'alba lùccia (quadrifoglio)

    In mezzo al trifoglio selvatico, un quadrifoglio è rarissimo, non così tra il quadrifiglio seminato per foraggio, una volta le persone andavano alla ricerca del quadrifoglio nella convinzione che, trovandolo, avrebbero risolto qualsiasi problema, specialmente quello economico.L'erba rarissima alla quale si dava il nome di "alba lùccia" , si doveva cercare e raccogliere la mattina della festa di San Giovanni Battista, prima del sorgere del sole; confezionata, poi, "una punga", questa veniva portata continuamente al collo, chi portava "la punga" non vedeva "una spirienza mala" e non poteva avere alcun male ne alcun timore.
    Chi trovava un nido di pettirosso, con un ago acceccava gli implumi uccelletti. La madre madre dei piccoli cercava e coglieva "l'alba lùccia", con la quale curava gli occhi dei pettirossi che, guariti, abbandonavano il nido. Questo era poi preso e seppellito nel punto in cui passava il bestiame (cancello, viottolo etc.) che sarebbe cresciuto abbondante e immune da qualsiasi malattia, arricchendo il padrone.
    La capra il cui capretto era stato ucciso il giorno di sabato santo come "pascaiolu" (per la carne di Pasqua), la mattina appresso (giorno di Pasqua), come primo boccone brucava l'alba lùccia. Se il padrone riusciva a strappare dalla bocca della bestia il quadrifoglio, prima che l'animale lo inghiotisse, avrebbe avuto abbondanza di bestiame e fortuna negli affari.
    La mattina di "Pasca d'abrili", prima del sorgere del sole, si facevano uscire le capre "da la mandra" (dal recinto). Si doveva osservare attentamente se "una turiccia chi no aìa fattu fedu" (giovane capra che non aveva ancora figliato), si fosse inginocchiata; questo significava che avava trovato l'alba lùccia e la stava brucando. Se la stessa " turiccia" sempre prima di " fà fedu", era uccisa e la carne utilizzata per il pranzo di battesimo di un neonato, questi, da adulto, sarebbe stato fortunato nel bestiame e negli affari.
    Sempre la mattina di Pasca d'abrili, prima del sorgere del sole, si mungeva la capra, il cui capretto il giorno precedente era stato ucciso come "pascaiolu", il latte ottenuto si conservava, perchè guariva molte malattie, giacchè la stessa capra avava brucato l'alba lùccia.
    Se un gregge di capre passava in una zona dov'era una pianta di quadrifoglio, ed una capra vi si coricava, essa moriva subito; se ciò non fosse avvenuto, il gregge sarebbe cresciuto sano e abbondante.
    Se si fosse trovata una pianta di alba lùccia, una foglia doveva essere inghiottita, un'altra nascosta in un buco del muro della casa (dalla parte esterna), le altre due custodite nella stessa casa. Ciò avrebbe portato molta fortuna a chi l'aveva trovata e i suoi familiari.
     
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  12. suonosardo
     
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    Rimembranze dell'antica venerazione della luna?

    Quando uno al tramonto vede l'esile falce della luna si segna, dopodicchè E´sicuro di non morire entro l'anno. La stessa sera andando a letto deve recitare, segnandosi prima e dopo:
    Sanu (a) mi colcu,
    sanu (a) mi ni pèsu;
    folti che farru,
    e liceri che celvu.
    ( Mi corico sano (a)/ mi alzo sano (a)/ forte come il ferro/ e agile come il cervo.
    C'è chi ancora vedendo la nuova si segna e poi prega:
    Luna miraculosa,
    dammi la grazia di l'amina.
    (luna miracolosa, fa che mi salvi l'anima)
    Una volta quando qualcuno vedeva nel cielo la luna nuova, si segnava, poi poneva delle monete in un borsellino, lo agitava bene perchè le monete facessero rumore e diceva:
    Salutu e soldi (salute e prosperità)
    Quando un giovane (o una giovane ) vedeva la luna nuova, si segnava e poi recitava:
    Luna! Luna!
    Dammi fultuna,
    dammi dinà,
    chi m'haggju di cujuà.
    Luna! Luna! dammi fortuna/ dammi danari, che mi devo sposare
    Oppure:
    Sanitai,
    dilizia
    e cosi assai.
    (Salute felicità e ricchezza.)
    Qualcuno appena appariva la luna nuova, si segnava, poi bussava tre volte col palmo della mano aperta sulla tasca dicendo:
    Busciaccara piena di soldi ( tasca piena di denaro)
    Oppure, appena vedeva la luna nuova, prendeva in mano dei soldi e si segnava; questi sarebbero sicuramente aumentati.
    Ancora si crede che giacchè il lunedi è riferito alla luna e questa è mutevole per i suoi quarti, ogni lavoro iniziato in tale giorno non è quasi mai valido.


    Lu cuccu (il cuculo)

    Quando in primavera si sentiva cantare "lu cuccu", senza avvicinarsi molto, perchè sarebbe volato via, si interrogava come se il volatile fosse un oracolo:

    Cuccu di beddi dì
    cuccu di beddi anni,
    cant'anni haggj'a istà
    a cuiuani?

    Cuccu di beddi mani
    cuccu di beddi pedi,
    cant'anni vi oni
    a coiuani?

    Cuccu di beddi mani
    chi vidi li mè peni,
    dimmi, si mi 'oi beni,
    si maggj'a cuiani?
    (.....)

    Cuculo di belle giornate/cuculo di begli anni/fra quanti anni mi sposerò?/
    Cuculo di belle mani/cuculo di bei piedi/ fra quanti anni mi sposerò?
    Cuculo di belle mani/che vedi le mie pene/dimmi se mi vuoi bene se mi sposerò? (...)

    Ogni canto successivo alla domanda corrispondeva ad un anno di celibato.
     
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  13. kuiraba
     
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    Sono a conoscenza della leggenda di Santa Giusta, non ho potuto fare a meno di effettuare le connessioni.
    SANTA GIUSTA è nata nella periferia di ORISTANO una città chiamata EADEN i rituali pagani erano all'ordine del giorno in questa città.
    passo la storia che ruota intorno a questa santa, ma non ho potuto fare a meno di fare il collegamento con EA sumerico dio delle acque dolci e DEN per paradiso o forse DAN.
    SANTA GIUSTA villaggio si trova vicino a stagni di acqua oggi salmastra, ma forse in tempi antichi come il livello del mare era più basso di acqua dolce si confermerebbe allora EADEN e questo posto potrebbe doveva essere un paradiso.

    www.comune.santagiusta.or.it/export/sites/.../scopriSGiusta/.../LeggendaSG.pdf
     
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  14. shardar
     
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    Le leggende hanno sempre un fondo di verita'.
     
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58 replies since 10/5/2009, 00:04   11473 views
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