gli dei e le stelle

tutte le correlazioni possibili tra mitologia e astronomia

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  1. manitowok
     
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    Omero, Iliade
    Libro XVIII vv.474- 607
    Versione di Rosa Calzecchi Onesti
    "(...)
    e bronzo inconsumabile gettò nel fuoco, e stagno,
    oro prezioso e argento; e poi
    pose sul piedistallo la grande incudine, afferrò in mano
    un forte maglio, con l'altra afferrò le tanaglie.
    E fece per primo uno scudo grande e pesante,
    ornandolo dappertutto; un orlo vi fece, lucido,
    triplo, scintillante, e una tracolla d'argento.
    Erano cinque le zone dello scudo, e in esso
    fece molti ornamenti coi suoi sapienti pensieri.
    Vi fece la terra, il cielo e il mare,
    l'infaticabile sole e la luna piena,
    e tutti quanti i segni che incoronano il cielo,
    le Pleiadi, l'Iadi e la forza d'Orione
    e l'Orsa, che chiamano col nome di Carro:
    ella gira sopra se stessa e guarda Orione,
    e sola non ha parte dei lavacri d'Oceano.
    Vi fece poi due città di mortali, belle.
    In una erano nozze e banchetti;
    spose dai talami, sotto torce fiammanti
    guidavano per la città, s'alzava molto Imeneo!,
    giovani danzatori giravano, e fra di loro
    flauti e cetre davano suono; le donne
    dritte ammiravano, sulla sua porta ciascuna.
    E v'era del popolo nella piazza raccolto: e qui una lite
    sorgeva: due uomini leticavano per il compenso
    d'un morto; uno gridava d'aver tutto dato,
    dichiarandolo in pubblico, l'altro negava d'aver niente avuto:
    entrambi ricorrevano al giudice, per aver la sentenza,
    il popolo acclamava ad entrambi, di qua e di là difendendoli;
    gli araldi trattenevano il popolo; i vecchi
    sedevano su pietre lisce in sacro cerchio,
    avevano tra mano i bastoni degli araldi voci sonore,
    con questi si alzavano e sentenziavano ognuno a sua volta;
    nel mezzo erano posti due talenti d'oro,
    da dare a chi di loro dicesse più dritta giustizia.
    L'altra città circondavano intorno due Campi d'armati,
    brillando nell'armi; doppio parere piaceva fra loro,
    o tutto quanto distruggere o dividere in due
    la ricchezza che l'amabile città racchiudeva;
    quelli però non piegavano; s'armavano per un agguato.
    Il muro, le spose care e i piccoli figli
    difendevano impavidi, e gli uomini che vecchiaia spossava;
    gli altri andavano, Ares li conduceva e Pallade Atena,
    entrambi d'oro, vesti d'oro vestivano,
    belli e grandi con l'armi, come dèi
    visibili d'ogni parte; gli uomini eran più piccoli.
    E quando arrivarono dov'era deciso l'agguato,
    nel fiume, dov'era l'abbeverata di tutte le mandrie,
    qui appunto si accovacciarono, chiusi nel bronzo lucente;
    e v'erano un po' lontano due spie dell'esercito,
    spianti quando le greggi vedessero e i bovi lunati.
    Ed ecco vennero avanti, due pastori seguivano,
    e si dilettavan del flauto, non sospettavano agguato.
    Essi, vedendoli, corsero e presto
    tagliarono fuori le mandrie dei bovi, le greggi belle
    di candide pecore, e uccisero i pastori.
    Ma gli altri, come udirono molto urlio in mezzo ai bovi
    mentre sedevano nell'adunanza, subito sopra i cavalli
    scalpitanti balzarono, li inseguirono e li raggiunsero;
    e si fermarono e combatterono lungo le rive del fiume;
    gli unì colpivano gli altri con l'aste di bronzo,
    Lotta e Tumulto era fra loro e la Chera di morte,
    che afferrava ora un vivo ferito, ora un illeso
    o un morto tirava pei piedi in mezzo alla mischia.
    Veste vestiva sopra le spalle, rossa di sangue umano.
    E come fossero uomini vivi si mescolavano e lottavano
    e trascinavano i morti nella strage reciproca.
    Vi pose anche un novale molle, e un campo grasso,
    largo, da tre arature; e qui molti aratori
    voltando i bovi aggiogati di qua e di là, li spingevano:
    e quando giungevano alla fine del Campo, a girare,
    allora una coppa di vino dolcissimo in mano
    poneva loro un uomo, appressandosi; e solco per solco giravano,
    bramosi di arrivare alla fine del maggese profondo.
    Dietro nereggiava la terra, pareva arata,
    pur essendo d'oro; ed era gran meraviglia.
    Vi pose ancora un terreno regale; qui mietitori
    mietevano, falci taglienti avevano tra mano;
    i mannelli, alcuni sul solco cadevano, fitti, per terra,
    altri i legatori stringevano con legami di paglia;
    v'erano tre legatori, in piedi; ma dietro
    fanciulli, spigolando, portando le spighe a bracciate,
    le davano continuamente.
    Il re fra costoro, in silenzio,
    tenendo lo scettro, stava sul solco, godendo in cuore.
    Gli araldi in disparte sotto una quercia preparavano il pasto,
    e ucciso un gran bue, lo imbandivano; le donne
    versavano, pranzo dei mietitori, molta bianca farina.
    Vi pose anche una vigna, stracarica di grappoli,
    bella, d'oro; i grappoli neri pendevano:
    era impalata da cima a fondo di pali d'argento;
    e intorno condusse un fossato di smalto e una siepe
    di stagno; un solo sentiero vi conduceva,
    per cui passavano i coglitori a vendemmiare la vigna;
    fanciulle e giovani, sereni pensieri nel cuore,
    in canestri intrecciati portavano il dolce frutto
    e in mezzo a loro un ragazzo con una cetra sonora
    graziosamente sonava e cantava un bel canto
    con la voce sottile; quelli battendo a tempo,
    danzando, gridando e saltellando seguivano.
    E vi fece una mandria di vacche corna diritte;
    le vacche erano d'oro e di stagno,
    muggendo dalla stalla movevano al pascolo
    lungo il fiume sonante e i canneti flessibili;
    pastori d'oro andavano con le vacche,
    quattro, e nove cani piedi rapidi li seguivano.
    Ma fra le prime vacche due spaventosi leoni
    tenevano un toro muggente; e quello alto mugghiando
    veniva tirato; lo ricercavano i giovani e i cani,
    ma i leoni, stracciata già del gran toro la pelle,
    tracannavan le viscere e il sangue nero; i pastori
    li inseguivano invano, aizzando i cani veloci:
    questi si ritraevano dal mordere i leoni,
    ma stando molto vicino, abbaiavano e li evitavano.
    E un pascolo vi fece lo Storpio glorioso,
    in bella valle, grande, di pecore candide,
    e stalle e chiusi e capanne col tetto.
    E una danza vi ageminò lo Storpio glorioso;
    simile a quella che in Cnosso vasta un tempo
    Dedalo fece ad Ariadne riccioli belli.
    Qui giovani e giovanette che valgono molti buoi,
    danzavano, tenendosi le mani pel polso:
    queste avevano veli sottili, e quelli tuniche
    ben tessute vestivano, brillanti d'olio soave;
    ed esse avevano belle corone, questi avevano spade
    d'oro, appese a cinture d'argento;
    e talvolta correvano con i piedi sapienti,
    agevolmente, come la ruota ben fatta tra mano
    prova il vasaio, sedendo, per vedere se corre;
    altre volte correvano in file, gli unì verso gli altri.
    E v'era molta folla intorno alla danza graziosa,
    rapita; due acrobati intanto
    dando inizio alla festa roteavano in mezzo.
    Infine vi fece la gran possanza del fiume Oceano
    lungo l'ultimo giro del solido scudo."
     
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45 replies since 31/7/2008, 15:52   4274 views
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