L'isola al tempo dei giganti e della grande onda

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  1. Ithokor
     
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    La Nuova Sardegna, venerdì 22/02/2008
    www.lanuovasardegna.it

    L’ISOLA AL TEMPO DEI GIGANTI E DELLA GRANDE ONDA
    Pauli Arborei, tra mito e antichi racconti, testimonianze su sospetti ritrovamenti ossei
    Dall’inviato Walter Porcedda
    In un tempo lontano. Molto, ma molto lontano. All'epoca delle possenti torri dei nuraghi e delle navi che solcavano il mare per andare verso lidi dai nomi esotici viveva in un posto, non troppo distante dal mare, un popolo di adoratori delle stelle e della luna. Alcuni di questi erano dei giganti. Vivevano in città circondate da fiumi e canali ma che un giorno
    vennero spazzate via, sommerse da un onda gigantesca arrivata dal mare... Potrebbe essere il racconto giusto per far innamorare un poeta della narrazione come il compianto Sergio Atzeni, autore dell'intrigante e visionario romanzo dedicato ai sardi, «Passavamo sulla terra leggeri», dei quali ne evoca poeticamente origini e destini. Eppure di questi ed altri accidenti si ascolta a Pauli Arbarei, centro della Marmilla. Tra storia e leggenda, il mito si intreccia con il racconto orale, passato da padre in figlio, di generazione in generazione proprio come il rito antico e oscuro di Antonio Setzu, il custode del tempo del libro di Atzeni, che trasmette la memoria collettiva al suo giovanissimo discepolo.
    «Diecimila anni fa vivevano da queste parti un re con dieci dame di corte e una flotta di milleduecento navi». Così rievoca tziu Alfredo Garau, 69 anni, mentre con gli occhi misura i filari ben ordinati del suo orto. Piccole e regolari cunette di terra grigia scura come la cenere, così come è da queste parti, dentro le quali iniziano a spuntare dei germogli verdi. Ed è come se tutto fosse accaduto appena ieri. «Là nella città perduta vivevano anche des' ominis mannus che nessuno poteva toccare». Poi un giorno la catastrofe. Quello che era un grande lago con canali navigabili fino al mare diventò solo una palude d'acqua (e il nome Pauli Arbarei potrebbe proprio voler dire questo).
    «S'unda manna» annientò così una grande civiltà. E poi? «Quel posto era rimasto sacro nella memoria di tutti.
    Non si poteva e doveva violare. Invece... Dai campi ogni tanto saltavano fuori delle ossa. Tantissime e tutte in sa idda boccia. Grandi, enormi. Io stesso ho visto, avevo allora 17 anni, una tibia grande come questo tavolo. Sa, non si sapeva bene cosa fossero, si prendevano e si buttavano via. Poi arrivarono i trattori e queste finivano frantumate sotto i cingoli... anche per la paura che bloccassero tutto».
    Così continua l'anziano di questo villaggio a un tiro di schioppo dalla Statale 131, dove scorre senza soste il fiume argenteo delle auto e dei tir.
    Qui è come una piccola Macondo dove il tempo sembra essere rallentato. Vie linde e strette, dove sfilano antichi portali di legno, si indovinano giardini rigogliosi di erbe e profumati d'aranci. Dappertutto, nell'aria, l'odore pungente di fuochi accesi dentro i cammini. Dove un silenzio calmo e di pace sembra avvolgere come una morbida coltre segreti nascosti nel cuore degli uomini.
    Molti di questi parlano anche dei Giganti. Aveva appena dieci anni Luigi Muscas, oggi ultraquarantenne quando, mentre pascolava le pecore a Corte e Baccasa, altipiano sopra il paese, allo scoppiare di un temporale si era rifugiato tra le rocce, dentro una cavità. Enorme lo stupore nello scoprirvi all'interno un grande scheletro mummificato. Corre trafelato in paese ad avvisare il nonno che, dopo aver condiviso senza alcun stupore la scoperta, inizia a tramandare al nipote le antiche leggende del luogo. Leggende che da allora per quel pastorello, oggi diventato scultore, sono diventate una grande passione, fino a raccoglierle in un libro, «II popolo dei giganti» (sarà presentato oggi alle 16,30 a Oristano nella sala conferenze ex Ept di Oristano in piazza Elenora d'Arborea) che, certo lungi da pretese di essere un volume con il crisma della scientificità, non solo raccoglie storie, dubbi e interrogativi senza risposte ma è di fatto — questo l'elemento più interessante — un bell'incontro tra mito e conto popolare. Al suo interno infatti ci sono le testimonianze di ben ventiquattro persone del paese e del circondario. Una sorta di antologia alla Spoon River revocatrice di immagini sfocate dal tempo e consegnate in quel limbo fluttuante tra il sogno e la realtà. Ed è come se così fosse un solo uomo a parlare, o meglio a narrare con le ansie e pure le contraddizioni, ma sempre con austera e rispettosa sacralità, quella che è dovuta agli avi. Grandi o piccoli che fossero.
    Così il racconto di Virgilio Saiu, di 92 anni. «Io, un gigante l'ho visto davvero. Era il 1950, lavoravo con altri due operai vicino alla locale chiesa di Sant'Agostino. Fui io per primo a colpire con il picco una lapide di pietra. Pulii la terra attorno al coperchio e aprii una enorme bara di pietra. Dentro c'era lo scheletro di un uomo grande tre volte la mia altezza. Oltre i due metri e mezzo. Era mummificato e nelle braccia si vedeva no le arterie pietrificate. Nelle mani aveva tre monete lucenti. Che diedi al parrocco, don Sideri perché (così mi disse) avrebbe dovuto farle vedere a Cagliari. Ma non le ho più riviste. Lo scheletro? Ci disse di farlo a pezzi e seppellirlo». Ma non fu l'unica volta. «Sì. L'anno prima facevo dei lavori come bracciante nella vigna di Nadali Pusceddu vicino a Nuraxi e'Passeri.
    Scavando, scoprimmo una ventina di scheletri tutti allineati. Alcuni avevano caviglie grandi come quelle dei buoi».
    Tanti concordano nel dire che i Giganti (dei quali vengono mostrati ipotetiche ossa, qualche stranissimo dente, resti che molti si augurano vengano analizzati scientificamente) appartenuti a una gens e a una civiltà cancellata da «s'unda manna» vivevano là nella città dimenticata.
    Nell'altopiano sopra il paese, in effetti, numerose sono le tracce di siti che forse andrebbero studiati e tutelati meglio (e finora purtroppo solo preda degli agguerriti tombaroli che spogliano e distruggono senza curarsi della memoria e della scienza). Nuraghi interrati, massi ciclopici rovinati, cocci etc... E perstno grandi e pesanti anelli di ferro che dicono servissero per l'attracco delle navi. «Erano nella giara, sotto il nuraghe de S'ununcu e su sensu» dice Eugenio Cuncu che rivela: «demolendo una vecchia casa ne trovammo una quarantina che gettarne in una discarica di Ussaramanna». Ma non ci sono solo Giganti. Adriano Picchedda, 82 anni svela che «fino all'età di 17 anni, con miei genitori e altre persone in certe notti andavamo attorno a delle pozze d'acqua a pregare le stelle e la luna. Per chiedere che l'annata fosse buona».
    Ecco forse l'estremo indizio di una memoria che dal mito diventa poesia. Ultimo segnale di un popolo che come scrisse Atzeni nella sua affascinante saga non lasciò «altre tracce che i nuraghe, le navi di bronzo di Urel di Mu e i piccoli uomini cornuti, guardiani dell'isola che molti fecero imitando Mir. Nessuno sapeva leggere e scrivere.
    Passavamo sulla terra leggeri come l'acqua».

    LE TRADIZIONI ORALI VANNO ASCOLTATE
    L’opinione del giornalista Sergio Frau

    Scavando dentro leg-gende senza tempo, anche tra i vecchi di Pauli Arbarei che rievocano storie di giganti e popoli marinai, torna l'eco sotterranea di un grande onda che dal mare cancellò una civiltà.
    Per primo lei, in «Le Colonne d'Erede, un'inchiesta» ha ipotizzato scenari diversi per la storia della Sardegna, quella che lei stesso ha nel Mediterraneo. Cosa ne pensa di questo reperto di tradizioni popolari?

    Non vorrei prendermi meriti altrui... Di Plafone soprattutto: è stato lui a parlarne per primo. In quel mio libro io, infatti, ho semplicemente verbalizzato le sue parole, quelle di Omero e quel che la Memoria degli Antichi d'Oriente — in Grecia, in Egitto — aveva conservato a proposito di una strabiliante e ricchissima Isola d'Occidente, al di là delle prime" Colonne d'Erede, nel l'Oceano di Omero: qui da noi, quindi! Le stesse storie dicono che poi, però, intorno al XII secolo a.C. quell'isola fu colpita da terribili cataclismi marini che la ferirono a morte. I taccuini di scavo di Giovanni Lilliu (in cui racconta di quando tolse 30 metri di fango dalla sua Barumini) e un'occhiata
    ai tanti nuraghi sotto il fango in pianura, mi hanno convinto che le tradizioni orali vanno ascoltate e verificate con rispetto e attenzione. Del resto, ormai, l'antropologia di alto livello lo fa ovunque...»
    — Cosa fare per trovare ulteriori indizi che possano dare un supporto scientifico a questi racconti?
    «Non c'è nulla di meglio che incrociare il rigore nella ricerca delle fonti testimoniali con campagne di analisi geologiche ben fatte. A volte, poi, basta soltanto metter da parte pre-giudizi e ragionare con mente serena...».
    — Nel sottosuolo dell'isola c'è ancora molto da scoprire. Tanto da dover riscrivere la storia del nostro popolo?
    «A mio avviso la prima storia della Sardegna è già stata scritta: è quella che ci raccontano Omero, Ramses III, con gli Shardana sulle mura di Medinet Habu. Giustamente Lilliu si è raccomandato di non scavare più tanto! Sono ormai troppe le meraviglie rinchiuse da anni nelle casse. Riordiniamo prima quelle! E, piuttosto, cerchiamo di capirlo cos'è successo davvero al nostro territorio: come mai Losa e migliaia di altri nuraghi sembrano fatti ieri? E come mai nelle piane troviamo a centinaia altri nuraghi sepolti dal fango? Finito il libro l'ho fatto avere a Mario Tozzi, geologo del Cnr che stimavo ma ancora non conoscevo: è stato proprio lui a confermare molti dei sospetti
    che ormai avevo. E ora — nel nuovo catalogo della mostra Atlantikà: Sardegna, Isola Mito — ci sono decine e decine di foto, fatte da Francesco Cubeddu con il suo paramotore: stringono il cuore tutti quei nuraghi del Sinis e del Campidano, sepolti come giganti abbattuti. Chiunque potrà giudicare e ragionarci su: solo se ha voglia di ragionare, ovviamente...». (w.p.)
     
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  2. Sisera
     
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    Vorrei segnalarvi quanto sostiene Gigi Sanna:

    “I figli di Dio nel Sinis hanno sempre l'appellativo di gghnloy. Ognuno di essi è cioè gigahntuoloy; persone, con ogni probabilità, della stirpe dei nefilim di cui parla anche il libro della Genesi".

    Che il ricordo di una stirpe di “giganti” in Sardegna non sia altro che il ricordo dell’appellativo gigahntuoloy dei membri della stirpe reale nuragica di cui parla Sanna?

    Ciao a tutti
     
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  3. Ithokor
     
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    Sicuramente le statue di Monti Prama nelle forme e dimensioni erano dei giganti...
     
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  4. SuEntu
     
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    Sono curioso anch'io verso la storia dei"giganti", da piccolo mi ricordo che i vecchi del paese ne parlavano, che alcuni scheletri vennero trovati in una tomba, ma mio padre diceva che erano tutte frottole, raccontate anche a lui da piccolo. Però che tutte queste leggende siano tramandate da padre in figlio mi da da pensare, insomma, dove c'è fumo c'è sempre un fuocherello... :)
     
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    SRDN

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    è un peccato che il sito della nuova sia malfunzionante....
    in famiglia non compriamo questo giornale...e l'unione fa schifo, un articolo sull'archeologia manco a pagarlo.
    Che vergogna.
     
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    STUDIOSO DEI POPOLI DEL MARE

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    Caro Ale... sui giornali sardi hai ragione. Il convegno di oristano ha visto una sala stracolma di gente arrivata da ogni parte della Sardinia.... il giorno dopo ho cercato qualcosa sullìUNIONE... in cronaca di oristano ho trovato coem articolo più interessante: <smarrito un mazzo di chiavi...>... questi sono i giornali che abbiamo. Esistono per un unico motivo i CONTRIBUTI pubblici. Devono solo RIEMPIRE PAGINE con pubblicità e sciocchezze per poter uscire in stampa e avere i NOSTRI SOLDI. Nessuna amministrazione di DESTRA o SINISTRA ELIMINERA mai i contributi ai giornali... perchè li pubblicano LORO, i Partiti. :angry:
    shar :devil:
     
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  7. SuEntu
     
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    Per non parlare delle Tv, ho cercato qualche notizia della conferenza nel tg di Nova televisione, la tv di Oristano, niente di niente, solo le solite notizie riportate dai giornali, ma della conferenza nada. Purtroppo chi ha i mezzi (quarto potere) di solito non ha i denti, è una vita che non vedo più un'inchiesta giornalistica fatta dai vari giornalisti, sia tv che stampa, sui problemi veri della nostra isola e sul nostro passato. I casi sono due: o non abbiamo bravi giornalisti ma solo passanotizie o il quarto potere è in qualche modo manipolato e frenato. Insomma vedo una certa scrematura di notizie. Stampa libera, ma quando mai! :(
     
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    SRDN

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    L'unica soluzione è la rete....
     
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